GIUSEPPE MARTUCCI

Quintetto con pianoforte in do maggiore

OTTORINO RESPIGHI

Quintetto per fiati in sol minore Quintetto con pianoforte in fa minore

Giuseppe Martucci fu figura di primissimo piano nella vita musicale italiana del secondo Ottocento. Nella sua veste di pianista e direttore d'orchestra, egli si dedicò alla diffusione della musica strumentale in pieno periodo verdiano, facendo conoscere opere di compositori italiani, ma anche francesi, tedeschi e inglesi. Per citare un caso limite, a Londra Martucci diresse la Irish Symphony di Charles V. Stanford di cui divenne amico. Come compositore egli mise a frutto la propria esperienza pianistica in una serie di opere concepite per il suo strumento, oltre a due Concerti per pianoforte e orchestra, due Trii per archi e pianoforte e il Quintetto per pianoforte e archi Op.45 che inaugura il presente disco. Su altri settori, non meno importanti, le 2 Sinfonie.

Il Quintetto Op.45 fu composto negli anni 1878-79 durante un giro concertistico compiuto da Martucci con il violoncellista Alfredo Piatti. Per questo lavoro Martucci aveva come punti di riferimento il Quintetto per analoga formazione di Schumann e quello in fa minore (che poi era un’elaborazione di un Quartetto per soli archi) di Brahms che il musicista napoletano avrà poi la fortuna di conoscere personalmente a Bologna nel 1888. Ma più che a Brahms sembra che Martucci abbia guardato a Schumann per certe forme e formule che contrassegnano la costruzione cameristica del musicista tedesco, come lo schema accompagnatorio del pianoforte, i richiami tematici e soprattutto i passaggi trasfigurati omofonicamente esposti dagli archi con sordino: un classico esempio in Martucci è desumibile dallo Scherzo (parte conclusiva, b.392-440) chiaramente improntato ad analoga prassi resa operativa da Schumann specialmente nei Quartetti per archi. Nondimeno, il Quintetto martucciano conserva un'impronta che si potrebbe, sia pure superficialmente, descrivere come mediterranea, fatta di arpeggi e scale eleganti che adornano il discorso degli archi, e colloqui cantabili svolti dai singoli strumenti per un'insopprimibile esigenza melodica. Opera complessa ma godibile, il Quintetto Op.45 fu premiato dalla Società del Quartetto di Milano nel 1878 e fu subito dato alle stampe da una casa editrice (guarda caso!) tedesca. Martucci lo dedicò doverosamente al Principe d'Ardore, un mecenate napoletano che aveva anch'egli creduto nella necessità di continuare la tradizione della musica strumentale nonostante l'ostracismo di Verdi.

Negli anni 1878-79 quando Martucci era ancora direttore del Liceo Musicale di Bologna, tra gli allievi figurava un certo Ottorino Respighi che di lì a poco avrebbe spiccato il volo per andare a studiare con Rimsky-Korsakov a Pietroburgo, qualificandosi in seguito come compositore di successo in campo internazionale. È proprio a quegli anni che risale la composizione del Quintetto in Sol minore per strumenti a fiato nella consueta formazione per flauto, oboe, clarinetto, corno e fagotto. Il lavoro è concepito in soli due movimenti: Allegro e Andante. Se il primo di essi pone in luce lo sforzo compiuto dal giovane musicista nel sottolineare le qualità tecnico-espressive dei cinque strumenti, è sul secondo che si potrebbe concentrare meglio l'attenzione dell'ascoltatore. Si tratta di 4 variazioni su un tema esposto dai fiati (salvo il flauto) per 24 battute, dopodichè il flauto, quasi per vendicarsi di essere stato escluso dalla esposizione si slancia in una serie di vivacissimi interventi puntando sull'agilità che gli è propria. Questo Andante basato su un simpatico e gioviale tema costituisce un vero e proprio studio sulle caratteristiche dei cinque strumenti, studio svolto con grazia e semplicità quasi rossiniane.

Il Quintetto per pianoforte e archi di Respighi fu composto nel 1902 al suo rientro a Bologna dal primo viaggio in Russia. L'opera era destinata al Quintetto Mugellini, un complesso fondato da Bruno Mugellini anch'egli allievo di Martucci e a quel tempo insegnante di pianoforte all'Istituto Musicale bolognese, e concertista. Il Quintetto respighiano fa parte dunque di una serie di lavori del primo periodo - come il Quintetto per fiati - in cui il musicista si muove alla ricerca di uno stile personale che troverà più di uno spunto dalla fase "gregoriana". Nell'Allegro iniziale si respira infatti un'atmosfera ricca di elementi romantici, non senza qualche tocco martucciano. L' Andantino che segue, traccia una breve parentesi con il Vivacissimo finale. Sono pagine vergate da una mano sicura che nulla concede al superfluo anche là dove si richiede l'impegno del rispetto alla forma sonata (come nel primo movimento). Nessuna meraviglia, dunque, se lo stesso Martucci, richiesto di esprimere un giudizio sull'allievo Respighi avesse risposto: "Non è un allievo, è un maestro".

Edward Neill