ANIMA MUNDI CIRS CD001

La Biennale d'Arte Sacra di Venezia ha dedicato due mostre alla straordinaria umanità della figura del Cristo crocifisso: nel 1995 "L'Arte in Croce", nel 1997 "Il Volto, la Carne".A tutte e due le occasioni espositive abbiamo voluto accostare una rassegna di concerti di musica sacra contemporanea, a cura e per la direzione di Claudio Ambrosini, dal significativo titolo di Anima Mundi.

Le immagini degli artisti apparivano sonore, dense di grida, di urla. Le musiche risultavano figurative, consentivano visioni inimmaginabili. Nulla di nuovo, è già accaduto nella storia dell'arte e della musica. Lo "spirituale" può dunque ancora coincidere - anche nel nostro tempo senza verità - con la rappresentazione visiva e sonora del sacro.

ENZO DI MARTINO,curatore della Biennale d’Arte Sacra

Questo disco raccoglie alcuni dei lavori presentati nel corso della seconda edizione della rassegna Anima Mundi, che nel 1997 si è articolata in tre concerti dal titolo "Ritratti", "Lux Intelligentiae" e "Il cristallo e la fiamma". Oltre ad un omaggio a Edison Denisov, recentemente scomparso, e ad un breve mio lavoro ispirato da una poesia del pittore Virgilio Guidi, le composizioni qui presentate sono state commissionate per l'occasione ed eseguite in prima assoluta. Un ringraziamento sentito va agli autori e agli interpreti ed in particolare a Don Gino Bortolan, direttore del Museo Diocesano di Arte Sacra di Venezia, presenza generosa e instancabile.

Claudio Ambrosini

Ludovico Einaudi The apple tree (1995)
The apple tree di Einaudi si caratterizza, come gran parte della sua musica, per lo scorrimento di fasce ritmicamente ostinate e timbricamente uniformi su cui si ritagliano oggetti sonori riconoscibili come figure della memoria: una sorta di sfondo appena cangiante in cui si definiscono e subito dopo si consumano piccoli eventi, situazioni minime che si succedono senza seguire una logica discorsiva o di sviluppo, ma giustapponendosi le une alle altre. E' in questo scorrere inarrestabile, in questo flusso che porta con sé frammenti melodici, gesti, colori, tracce, elementi di una esistenzialità marginale, frutti di un ipotetico albero delle mele, che trova un possibile chiarimento quel contrassegno di "minimalismo" attribuito alla musica dell'autore. The apple tree nasce nel 1985 dalla frequentazione del compositore con l'Orchestra della Juilliard School of Music di New York e nella prospettiva, come egli stesso dichiara, "di mettere in relazione elementi tratti da codici e linguaggi diversi del passato e del presente che appartengono alla nostra memoria, con un'attenzione particolare a quel grande serbatoio che é la musica popolare".

Claudio Ambrosini Tutti parlano (1993)
Sul testo poetico del pittore Virgilio Guidi in cui con rapida sintesi di immagini si contrappongono la terra, ovvero il rumore convulso del mondo e l'alto del cielo, connesso all'idea del silenzio e di una voce che possa dirne il mistero e l'eterno, Ambrosini costruisce una sorta di moderno madrigale in cui le parole, affidate alla voce di soprano, si prolungano nei due strumenti flauto e violoncello, trovando in essi una intensificazione espressiva e una riflessione (intesa sia come approfondimento che come restituzione-rifrazione della luce in senso fisico). Lo slancio iniziale ascendente del flauto e del violoncello diviene un gesto ricorrente che contraddistingue la prima parte fino alla parola "terra", quasi una anticipazione all'anelito verso l'alto con cui si completa, contrapponendosi, il senso del testo della seconda parte.Testo e musica definiscono una fitta rete di madrigalismi intesi in una accezione prevalentemente acustico-sensoriale, laddove il frullato del flauto, i veloci glissandi ascendenti e discendenti, i tremoli, l'emissione insistita sulla "n" di "convulsa", vanno a costruire la concitazione della prima parte, mentre la seconda si distende in una dilatazione interrogativa, in una sospensione evocativa del silenzio e del suo mistero.

Tutti, tutti parlano
tutto il mondo parla:
una voce immensa,
convulsa, agitata
a fior di terra.
In alto, in alto, assai in alto
è il silenzio.
Chissà perché?
Se per un capriccio del mistero,
una voce, un attimo di voce
scendesse dall'alto,
il silenzio sarebbe qui pieno,
il silenzio che parla l'eterno.
Virgilio Guidi (1970)

Gerard Brophy Obsidian (1992)
La tessitura sonora di questo brano, il cui titolo si riferisce emblematicamente ad una pietra, l'ossidiana, di origine vulcanico-eruttiva, si contraddistingue per la definizione di una materia in costante fibrillazione dove le figurazioni iniziali di trilli (ai fiati) e tremoli (agli archi) divengono, con il loro portato di fremiti e vibrazioni, la cifra dell'intera composizione. All'esordio omofonico, ma differenziato in due fasce timbricamente distinte (trilli e tremoli, fiati e archi) segue, preceduto da un isolato trillo del clarinetto, una zona di sonorità iridescenti, ottenute al ponticello dei due archi più acuti, e una ampia sezione più mossa e articolata che raccoglie e prolunga la febbrile vibrazione dell'inizio; note lunghe e tenute si alternano a brevi arcate melodiche contrappuntate da figurazioni più nervose, in una ricca e sempre mutevole polifonia di timbri, che richiama, ancora con rimando al titolo, la superficie sfaccettata e tagliente dell'ossidiana.

René Clemencic Lux intelligentiae Meditatio cabalistica (1995)
L'esordio con il cupo tambureggiare della grancassa sormontato da uno stridente squillo del flauto piccolo e del flauto dolce sopranino disegna sia il contorno timbrico che i confini, all'acuto e al grave, del pezzo, così che tutto ciò che di seguito avviene pare scaturire o essere contenuto in questi due estremi. Si definisce dapprima un tessuto fermo, con minime oscillazioni di altezze, un incedere che si caratterizza, grazie al rullo della grancassa e al passo lento, per un tono funebre, acuito dall'affiorare di frammenti sommersi della sequenza gregoriana del "Dies irae". Tale tessuto iniziale si muove progressivamente sia nella dinamica che nell'intensità raggiungendo sonorità in fortissimo sui registri acuti, toccati prevalentemente dai flauti, una sorta di danza di liberazione del suono in cui il vibrafono svolge la funzione di corifeo. L'incedere assume un andamento maestoso e i frammenti gregoriani emergono con maggior vigore, quando il tutto si chiude circolarmente, sul rullo inquietante e solitario della grancassa. Il riferimento alla tradizione cabalistica presente nel titolo non è casuale ma è relativa a tecniche di meditazione sonora, descritte, nel XIII secolo da Abraham Aboulafia, sulla base delle quali l'autore dichiara di aver costruito il pezzo.

Francis Miroglio Souffies de l'esprit brülant (1997)
Da un accordo iniziale si dipartono soffi, brusii, frammenti melodici che si articolano via via in trame timbriche di complessa fattura e che disegnano uno sfondo visionario e fantastico alla parola recitata, relativa a testi tratti dalla Divina Commedia di Dante Alighieri. Si tratta in particolare dei versi 76-84 del I canto e 67-75 del XXXIII che vengono pronunciati contestualmente al dipanarsi del decorso musicale, dapprima in italiano e poi in diverse lingue europee (spagnolo, tedesco, francese portoghese, inglese) più il giapponese; ad ogni pronuncia corrisponde un carattere espressivo, che modifica e contraddistingue il modo della recitazione, ad esempio, Italia: libero, Francia: con brio; Inghilterra: ritmico con "Rock"; Giappone: un periodare spezzato. Il pezzo si conclude con la seconda sezione testuale recitata in italiano "con giubilazione" contrappuntata da andamenti giubilanti, liberamente melismatici degli strumenti.

Quando la rota che tu sempiterni
desiderato, a sé mi fece atteso
con l'armonia che temperi e discerni,
parvemi tanto allor del cielo acceso
de la fiamma del sol, che pioggia o fiume
lago non fece alcun tanto disteso.
La novità del suono e 'l grande lume
di lor cagion m'accesero un disio
mai non sentito di cotanto acume.

o somma luce che tanto ti levi
da' concetti mortali, a la mia mente
ripresta un poco di quel che parevi,
e fa la lingua mia tanto possente,
ch'una favilla sol de la tua gloria
possa lasciare a la futura gente;
ché, per tornare alquanto a mia memoria
e per sonare un poco in questi versi,
più si conceperà di tua vittoria.

Dante Alighieri La Divina Commedia Paradiso I, vv. 76-84 e XXXIII, vv. 67-75

Edison Denisov Oda (1968)
Ad un inizio in cui le sonorità distillate di clarinetto, pianoforte e percussioni vanno a comporre, secondo una suggestione weberniana, una sorta di dilatata melodia di timbri, segue una sezione centrale di progressivo addensamento sonoro, di fitta tramatura in cui è riconoscibile il versante "costruttivista" di questo autore che prima di dedicarsi completamente alla composizione è stato anche un matematico; la sezione conclusiva, oltre a sancire una sorta di classica tripartizione con ripresa, annunciata da un fragoroso colpo di tam-tam, riconduce ad una zona di suggestiva rarefazione in cui piatti e campane, oltre al tam-tam, costruiscono una fascia di libera vibrazione su cui il clarinetto disegna una lunghissima e struggente melodia. Ritmi complessi delle percussioni, un uso del pianoforte volto a manifestarne valenze timbriche inedite, come la sollecitazione delle corde col dito e col plettro (ricordiamo che il pezzo risale al 1968) e il recupero di una dimensione eminentemente lirica assegnata alla voce calda del clarinetto, aspetto che attenua la componente costruttivista, ponendosi in certo qual modo controcorrente rispetto alle tendenze dell'epoca a cui il brano risale, costituiscono i tratti distintivi di Oda.

Daniela Iotti