Stradivarius STR 33610 Claudio Ambrosini Passione secondo Marco

PASSIONE PER UNA LONTANANZA

Nella Pietà dipinta da Giovanni Bellini, la madre, vecchia e percossa dall'angoscia, sostiene Il cadavere del figlio. Sono estranei, soli e vinti, alla periferia desolata di sassi di una città che appare sullo sfondo, tetragona e ostile al di là delle sue mura, delle torri. Il Vangelo di Marco toglie al Cristo morto anche il conforto dell'abbraccio della madre. La sua famiglia è assente al momento della Passione; lo avevano lasciato solo, come tanti altri conoscenti di Nazareth, la sua città, perché si erano "scandalizzati" di lui. Marco amplifica la solitudine di Cristo. Prima dell'ultima Cena gli apostoli protestano perché non comprendono lo "spreco" del balsamo con cui una donna vuole ungere il suo corpo. Poi, nella notte fatale, la successione degli abbandoni è implacabile: la consegna di Giuda; il sonno pesante e la fuga di tutti gli apostoli al momento dell'arresto; l'abbandono concitato anche da parte di quell'adolescente, che non è apostolo, ma segue come un discepolo l'esperienza del Cristo. Fuggendo, quel ragazzo - nel quale una tradizione interpretativa vede lo stesso Marco - scopre lo propria nudità, la perdita dell'innocenza. E' un Vangelo che non consola, ribadendo invece la vastità del mistero della resurrezione. L'ultima immagine che Marco ci consegna è quella del terrore: "Uscite dal sepolcro le tre donne, Maria, Maddalena, Maria madre di Giacomo Il Minore e di Giuseppe, e Salome, fuggirono prese da terrore e da stupore, e non dissero nulla a nessuno, perché avevano paura". L'uomo che aveva superato l'esperienza mistica del deserto, infrange i limiti del loro sapere e sentire, è distante. Paura ed estasi.

Marco scrive Il proprio Vangelo a Roma, probabilmente nel decennio 60-70. Sono le prime comunità cristiane a chiedergli di scrivere, perché non vada dispersa la memoria della predicazione di Pietro. La scrittura segue una doppia cifra stilistlca: alla testimonianza dei fatti. narrati con immediatezza da cronista per ribadire la loro credibilità si accompagna la frequente citazione di quei passaggi dell'Antico Testamento che annunciano gli episodi della vita, della predicazione e della morte del Cristo. La cronaca si invera nella profezia. Marco dimostra il compiersi di un mito. La lettura del testo originale greco ha consentito alcune scelte: nel racconto dell'Ultima Cena Marco scrive "soma" e "alma", parole che si è preferito rendere con "persona" e "linfa" piuttosto che come "corpo" e "sangue". Così Giuda, più che tradirlo. lo "consegna" (paradòsei), rendendo possibile lo sviluppo della Passione. Un passaggio ricordato come decisivo anche nella Vita di Gesù di Hegel. Nel suo ultimo intervento Marco dice, in latino, un passo dall'Ecclesiaste che invoca il Redentore perché possa "demonstrare veritatem tuam".
Sandro Cappelletto

INCARNARSI NEI SUONI

Come premessa, alcune scelte di base:

queste le voci e gli strumenti per tentare di narrare una storia a tutti nota un po' come se non lo fosse, cercando di forzare suoni e rumori al ruolo di exempla, quasi "formelle" di una Via Crucis, esposte con la semplicità naïve del cantastorie di piazza che, per mezzo della voce - parlata, intonata, urlata - e con l'ausilio di qualche immagine evidente, chiede quella momentanea suspension of disbelief così necessaria per compiere viaggi dell'interiorità. E il "viaggio" che questa vicenda fa fare copre, in un arco di tempo breve, la vasta gamma delle passioni umane fino all'esperienza estrema della morte, una morte resa ancora più atroce dalla sua efferatezza; dalla consapevolezza dell'innocenza del "condannato", agnello sacrificale nolente e spaventato ("Padre, se puoi, allontana da me questo calice"); che accetta, pur sentendosi solo, abbandonato ("Eloi, Eloi, lama scevatcani?"). Un rito di incarnazione e sacrificio, rispecchiato anche nelle scelte sonore dalla compresenza di "dimensioni" e "nature" diverse: alta e bassa, divina e umana, per dei protagonisti che agiscono, ma ancor più danno l'impressione di essere "agiti", come avveniva nel teatro greco per opera del Mito. Questa idea di "dualità", di molteplicità si ritrova qui a più livelli, anche nella distribuzione del ruoli vocali (al baritono per esempio sono stati attribuiti tutti i personaggi "doppi", in qualche modo caratterizzati da un comportamento ambiguo: Giuda, Pietro, Pilato). Continuamente poi il canto alterna o sovrappone diverse emissioni. In movimento è la parola stessa del testo, "attraversata" da mutazioni vocaliche che la rendono instabile, liquida, cangiante. La fanno per così dire "innalzare" o "discendere": dal suo ruolo abituale di Significante alla condizione astratta -quasi "divina"- di fonema, di puro suono, e viceversa. Ma ancora più determinante è lo sdoppiamento dei piani sonori dato dalla compresenza di suono e di rumore. Rumore prodotto da oggetti "bassi": materiali grezzi, suppellettili, utensili; spesso rumori quotidiani, che ci dicono della nostra vita terrena o che dicono altro, irriconoscibili, trasfigurati in immagini sonore nuove. Rumori con i quali sono dialetticamente forzati a convivere i suoni degli strumenti tradizionali - per loro storia e natura invece più aulici, istituzionali, quasi "sacrali"...Ma questo uso di rumori e di oggetti desunti dalla quotidianità non vuole essere didascalico, ma anzi contribuire a mantenere vigile la percezione, fungere da elemento di contrasto, da stimolo per una "veglia auditiva": allo stesso modo di un oggetto che, interposto tra l'obiettivo fotografico ed il paesaggio da riprendere, quasi "brechtianamente" ci impedisca l'abbandono passivo dello sguardo; nel nostro caso, dell'ascolto. Tutto il campo percettivo di questa Passione è immerso in una sorta di "profondità prospettica di ascolto", nella quale si collocano sia gli strumenti che le voci, in particolare quella di Gesù (tenore). Gesù si incarna nell'Uomo, ma non è un uomo come gli altri. Gli altri - gli apostoli, la Donna di Betania, Giuda, Pietro, Pilato, Il Sommo Sacerdote, i soldati, la folla - parlano e cantano con le loro voci semplici, "singole", di individui, di comuni mortali. Gesù Invece è sovrannaturale, sempre. Lo si vede, lo si sente quando parla, quando agisce. Gesù cammina sulle acque, Gesù fa miracoli, emana carisma, sapienza, luce. Con l'avanzare del rito, con l'avvicinarsi del sacrificio la voce di Gesù acquista progressivamente luminosità e si colora di un'aura "trina": è la "luce sonora" delle tre voci femminili che lo contornano, presenza discreta ma costante per una sorta di "Stabat mater" - episodio che in Marco non compare - discretamente stemperato lungo tutto il percorso dell'opera.
Claudio Ambrosini