Gran Teatro "La Fenice", Sale Apollinee, Mercoledì 2 novembre 2011, ore 20.00

MI STRUGGO AL SUON DELLE PAROLE



Monica Bacelli mezzosoprano
Alberto Caprioli direttore

Ex Novo Ensemble
Daniele Ruggieri flauto
Davide Teodoro clarinetto
Carlo Lazari violino
Mario Paladin viola
Carlo Teodoro violoncello
Aldo Orvieto pianoforte

Guida critica di Alberto Caprioli


GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA (1525-1594)/BRUNO MORETTI (1957)
Sicut cervus (1584)
trascrizione di Bruno Moretti per flauto, clarinetto, violino, viola, violoncello e celesta (2011)
Commissione Ex Novo Musica
Prima esecuzione assoluta

CLAUDIO MONTEVERDI (1567-1643)/OTTORINO RESPIGHI (1879-1936)
Lamento di Arianna (1608, testo di Ottavio Rinuccini, 1562-1621)
armonizzato da Ottorino Respighi (1908) per canto e pianoforte

LUCIANO BERIO (1925-2003)
Air da Opera (1970 testo di Alessandro Striggio dal primo atto dell'Orfeo di Monteverdi)
per voce, violino, viola, violoncello e pianoforte

FRANZ LIST (1811-1886)
Benedetto sia il giorno (1883 testo di Petrarca, Sonetto XXXIX)
I' vidi in terra angelici costumi (1883 testo di Petrarca, Sonetto CV)
per canto e pianoforte

NINO ROTA (1911-1979)
Ballata e Sonetto del Petrarca (1993)
Sonetto del Petrarca (1993)
per canto e pianoforte

ALFREDO CASELLA (1883-1947)
Sicilienne et Burlesqueop. 23 (1914)
per flauto e pianoforte
Andantino languido e dolce - Presto vivace

FRANK MARTIN (1890-1974)
Drey Minnelieder (1960)
- Ach Herzliep (Testo anonimo del XIII secolo)
- Ez stuont ein frouwe alleine (Dietmar von Aist, XII secolo)
- Unter der linden (Walther von der Vogelweide 1170-1228)
per voce, flauto, viola e violoncello

ALBERTO CAPRIOLI (1956)
Fuggente (a Giovanni Morelli, voce del pensiero) (2010/11)
testo da: Il tramonto della luna di Giacomo Leopardi
per voce, flauto, clarinetto, violino, viola, violoncello e pianoforte
Commissione Ex Novo Musica
Prima esecuzione assoluta



PRESENTAZIONE


Il tema di questa sera viene indicato dal titolo di un recente saggio di Yves Bonnefoy (Archinto, 2010), in cui il grande poeta e saggista indaga, non senza qualche tratto di misticismo, una problematica tra le più antiche, ovvero il complesso rapporto che lega musica e poesia, in un'attenta analisi arricchita da richiami a esperienze personali di ascolto e di lettura. Bonnefoy pone l'accento sugli elementi musicali propri del significante, a suggerire che la musica deriva dalla poesia: "non ho mai smesso di ritenere che il nucleo stesso di questa vita nelle parole sia un'esperienza che mi sembra parente della musica o che, per meglio dire, me ne sembra l'origine. Le poesie che leggevo quand'ero bambino, pensieri e immagini piuttosto ingenui, mi avvincevano soprattutto per come si allontanavano dall'espressione comune attraverso allitterazioni, assonanze, ritmi che, senza essere musica, assegnavano tuttavia all'ascolto un'importanza non meno particolare che fondamentale. Leggere non era niente; si trattava di sentire e di ripetersi sottovoce quegli accadimenti di suono nelle parole." La poesia è rivelazione dell'assoluto, del noumeno, ma senza una formazione di compromesso tra una valenza puramente musicale delle parole e un uso comunicativo della lingua, questa realtà profonda e sconosciuta rimarrebbe nel campo dell'ineffabile, la nostra mente non potrebbe concettualizzarla. Lo stesso avverrebbe con una musica in cui i suoni fossero assoluti, cioè non regolati da una struttura formale.
All'affermazione della perfetta autonomia del linguaggio musicale punta, invece, un saggio, Musica di Elio Mattassi (Guida, 2004), in cui si illustra il divenire storico della concezione dell'arte dei suoni, nel suo rapporto con la filosofia e il linguaggio verbale, dall'antichità alla contemporaneità. Se per la classicità la musica sembra risolversi tutta nella filosofia, che è altissima musica perché sa esibire le modalità secondo cui si accordano le relazioni cogliendo il nesso che lega le cose, in età romantica E. Th. A. Hoffmann, nella celebre recensione alla Quinta di Beethoven, rivendica l'autonomia della musica da ogni altro modello linguistico, autonomia che Hanslick spiega attraverso la coincidenza tra mezzo e fine, significante e significato, che crea una sorta di autarchia autoreferenziale. Dunque per i contemporanei la musica è un linguaggio a sé, divenendo essa stessa una forma di pensiero filosofico fondato sulla superiorità estetica del suono. A questo proposito il filosofo Ernst Bloch rileva che il suono non si fa solo contemplare, ma rimanda ad una dimensione utopica che ne colora la stessa sostanza, conferendogli una forza espressiva che lo proietta al di là della parola, della puntualità semantica, del riferimento; perciò nega l'esistenza di un dualismo tra musica assoluta e musica rappresentativa, ma la musica è essa stessa parola, possibilità di linguaggio. Il gesto espressivo del musicale si sostiene da solo, porta dentro di sé le istanze drammatiche della parola, sublimandola come testimoniano i gesti teatrali della scrittura di Bruckner e le cesellate allusioni liederistiche della musica di Brahms. Analogamente secondo Benjamin vi è uno strato profondo del linguaggio, che giace tutto all'interno del suono della parola: quel residuo, che per noi rappresenta l' "intontivo", è nella speculazione benjaminiana un lato interno, nascosto, dove giace la possibilità della rivelazione, e della redenzione del linguaggio stesso.
Alla luce delle riflessioni desunte dai due saggi citati, l' alleanza tra musica e poesia può essere intesa come un intimo rapporto tra due diversi mondi espressivi, ognuno dei quali pur affermando la propria specificità mette in valore l'altro accogliendolo in sé: la musica si fa poesia, la poesia si fa musica. E questo vale tanto più nel caso in cui un compositore di genio si cimenti nell'ardua impresa di ricreare musicalmente un grande capolavoro poetico: la composizione che ne nasce è una nuova, originale creazione estetica, immersa in un suo contesto estetico-culturale, nonché libera da ogni presunta soggezione rispetto al testo, per quanto insigne.


Giovanni Pierluigi da Palestrina/Bruno Moretti Sicut cervus

Ripercorrendo un altro tema ricorrente in Ex Novo Musica 2011, l'arte della trascrizione, rileviamo necessità estetiche parallele a quelle fin qui rilevate. Anche la trascrizione musicale non può che essere una bella infedele , un adorabile tradimento, quasi una sfida tra le sensibilità dei due co-autori del lavoro. In questo senso possiamo leggere le parole di Bruno Moretti: "dalla maestosa monumentalità della polifonia vocale di Palestrina, questa trascrizione per voce sola ripercorre a ritroso i quasi dieci secoli di musica sacra vocale e ritorna "ad fontes" del severo e composto canto liturgico monodico. Gli strumenti, violino viola violoncello flauto clarinetto e celesta, non forniscono altro che la materia circostante, gli echi dell'ambiente austero e spoglio delle prime cattedrali cristiane, in un rincorrersi di frammenti melodici estratti dal tessuto contrappuntistico delle quattro voci originali. Un ritorno alle acque primordiali del canto religioso che avrebbe generato nei secoli seguenti, come l'esplosione di una supernova, tutti gli elementi della musica attuale". Sicut cervus (1581) di Giovanni Pierluigi da Palestrina è un mottetto il cui testo è tratto dal salmo 41 (42 secondo la numerazione ebraica). Nella liturgia tradizionale assume due funzioni pregnanti: "viene eseguito nella veglia pasquale durante la processione al fonte battesimale, dopo il rito dell'accensione del fuoco sacro che chiude il lungo periodo del buio quaresimale; e durante l'Officium Defunctorum assumendo un significato completamente diverso e cioè quello dell'anima che desidera tornare alla sua dimora celeste."


Claudio Monteverdi/Ottorino Respighi Lamento di Arianna

Fin dagli anni giovanili di militanza (come violista) nel Quintetto Mugellini, Respighi cominciò a produrre revisioni e trascrizioni da pagine antiche, conseguenza di una passione, ereditata da Luigi Torchi (1858-1920, uno dei pionieri della musicologia italiana), e coltivata nella biblioteca del Liceo Musicale di Bologna. Tra il 1906 e il 1908, Respighi produrrà 14 importanti trascrizioni di Sonate di Ariosti, Locatelli, Tartini, Veracini, Valentini, Vivaldi, Porpora, Vitali e Bach, e la trascrizione del Lamento d'Arianna di Monteverdi: questo lavoro sembra dare appuntamento, con quasi trent'anni di anticipo, a quella che resterà la più importante fatica di Respighi in quest'opera di "restauro in stile moderno", la revisione dell'Orfeo. Questo impulso a reinterpretare e far rivivere, tramite una mediazione creativa, pagine nate in momenti storici ormai remoti, sarà costante d'ora in poi in tutta la carriera di Respighi: dando vita a lavori come le Antiche danze ed arie per liuto, la Passacaglia e fuga o i Tre corali di Bach o i pezzi pianistici di Rossini inclusi nella Boutique fantasque. Seconda opera di Claudio Monteverdi dopo l'Orfeo, Arianna (1608, su libretto del poeta fiorentino Ottavio Rinuccini) fu composta per le feste nuziali del Principe Francesco Gonzaga e Margherita di Savoia. Purtroppo l'unica parte rimasta dell'opera è il Lamento, che da allora conobbe grande popolarità in Italia e in Europa. A Berlino, nel settembre 1908 Respighi, ingaggiato come pianista accompagnatore presso la scuola di canto privata di Etelka Gardini Gerster (1855-1920, soprano ungherese di fama internazionale) ebbe la fortuna di veder apprezzata la sua trascrizione del Lamento dal famoso direttore d'orchestra Artur Nikisch, che la eseguì il 12 ottobre alla Filarmonica di Berlino, con Julia Culp solista. Il 18 ottobre Respighi riferiva al padre: "sono uscite le critiche che parlano di me per 1'Arianna e sono splendide, specialmente quella di un giornale musicale, 1'Allgemeine Musikzeitung, che mi ha dedicato una mezza colonna [...]. Ha detto che si deve a me se si va eseguendo questa musica antica italiana, che, altrimenti, resterebbe sepolta nelle biblioteche. La istrumentazione poi è piaciuta a tutti quanti." Un confronto tra l'originale monteverdiano e la versione del Lamento di Arianna di Respighi (che ascolteremo stasera nella sua autografa versione cameristica) evidenzia un'esigenza di attualizzarne la drammaturgia rivedendone la trama: operazione radicale e sapientemente infedele, attuata con gusto teatrale e magistrale cura artigianale.


Luciano Berio Air da "Opera"

Opéra di Luciano Berio propone un nuovo teatro musicale che traduce l'universale attraverso i miti: antichi miti conosciuti (Orfeo) e nuovi miti, fondati su una realtà concreta e/o universale (il Titanic e Terminal). La compattezza del linguaggio di Opéra, intessuto d'abitudini, di ripetizioni o di stereotipi dei comportamenti, propone differenti modalità di lettura, incentrate sempre sul tema della morte. La condensazione dei tre miti per mezzo della musica, nello spazio-tempo limitato dell'opera scenica, mette in evidenza il fatto che il mito è presente ovunque si raccontino o si evochino delle storie: dalla storia individuale sotto forma di monologo interiore o conversazione dialogata, alla presentazione didattica, al commento distaccato o al riferimento della citazione che instaurano situazioni conosciute.
I tre atti di Opéra mettono in sequenza e sovrappongono caratteristiche sonore legate ai tre distinti piani dello spettacolo. L'opera di Berio non racconta alcuna storia coerente: la parte testuale si pone come un immaginario scenario disgregato che procede in modo permanente per condensazione e spostamento dei luoghi dell'enunciazione. La sovrapposizione dei riferimenti mitici impone la molteplicità di funzioni delle situazioni sceniche che possono essere lette in molteplici contesti simultaneamente. Opéra non presenta agli spettatori una storia convenzionale, ma propone loro un insieme centrato di istanze di identificazione, che permette di scoprire la parte nascosta delle storie: vale a dire scoprire il mito, la zona inesplorata che sottende ogni esperienza umana.
Il primo atto si apre con Air, in cui una cantante, accompagnata da un pianista, "impara" sulla scena un'aria il cui testo inglese si riferisce al libretto di Striggio de L'Orfeo di Monteverdi. Questo inizio è impressionante per la semplicità dei mezzi impiegati. L'effetto di esercizio vocale nella parte della cantante che "impara" Air è ottenuto attraverso la ripetizione vorticosa di curve cromatiche, tritoni, seconde e settime maggiori che si fermano in modo inatteso su lunghe note tenute, smisurate in rapporto al movimento ritmico uniforme mantenuto dal pianoforte. Il testo utilizzato in Air è costituito da frammenti provenienti dal libretto di Alessandro Striggio de L'Orfeo di Monteverdi: comprende un frammento dalla parte della Musica nel prologo "Or mentre i canti", brani dal testo cantato da Orfeo nel primo atto "Rosa del ciel, vita del mondo", un frammento dal coro delle ninfe e dei pastori della fine del primo atto "cui pur dianzi furon cibo i sospir bevanda il pianto" e l'inizio dell'aria di Orfeo del secondo atto dell'opera di Monteverdi "Vi ricorda". L'utilizzo del testo originale nella traduzione in inglese di D. Stevens crea un effetto di presa di distanza che facilita nel corso di Opera l'integrazione dei molteplici riferimenti. L'allontanamento attraverso la "lingua interposta" permette di cancellare il riferimento troppo evidente alla fonte originale e di contribuire pertanto ai mutamenti dei tre piani mitici che il lavoro presenta. Un collegamento per tuilage (da tuile, tegola, una prassi di canto nella quale due voci o due gruppi di esecutori si alternano, in modo che il secondo si sovrappone all'ultimo suono o all'ultima frase del primo) sovrappone appunto la scena dell'esercizio vocale con quella della sala di accoglienza di un ospedale (da Terminal, dal repertorio dell'Open Theatre), e con la scena della sala passeggeri di una nave (sull'esempio del naufragio del Titanic). La neutralità del dialogo parlato dei malati e/o dei passeggeri permette l'integrarsi di questa scena con la situazione iniziale polivalente, elaborata in vista del futuro nella composizione dell'insieme dello spettacolo.


Franz Liszt Benedetto sia il giorno, I' vidi in terra angelici costumi

Liszt conosceva fin da giovane, negli anni di Parigi, l'opera poetica di Francesco Petrarca: ne sono prova sia una sua lettera del 1833, nella quale confessa il suo amore alla contessa Marie d'Agoult, futura compagna e madre dei suoi tre figli, citando gli ultimi versi del sonetto CLXX ("Più volte già dal bel sembiante umano") che la presenza di un'edizione italiana del 1805, e due successive traduzioni francesi del Canzoniere (1842 e 1843) nella sua biblioteca lasciata in eredità a Weimar.
I tre sonetti del Canzoniere: "Benedetto sia 'l giorno" (LXI - 47), "Pace non trovo" (CXXXIV - 104) e "I' vidi in terra angelici costumi" (CLVI - 123) esistono ciascuno in varie versioni per voce e pianoforte e nella forma per pianoforte solo: la storia della composizioni su testi del Petrarca abbraccia quasi quarant'anni. Le prime versioni (del 1843) sono per voce acuta: Liszt, infatti, trasse ispirazione dalla tradizione operistica italiana del bel canto, concependo una voce spiegata in una libera declamazione dei versi alla quale si affianca un trattamento virtuosistico della parte pianistica. Le forme musicali non rispecchiano la struttura metrica del sonetto, poiché Liszt considerò sempre la poesia come materia prima da trattare liberamente. Si conservano poi due manoscritti degli anni 1850 di "Benedetto sia 'l giorno": il primo, del 1851, dedicato al famoso cantante italiano Salvatore Marchesi; il secondo, del 1854, dedicato alla duchessa Carolyne von Sayn-Wittgenstein, seconda compagna di Liszt. Nel 1864 il compositore curò una nuova versione dei sonetti, ma l'edizione definitiva usci, presso Schott , solo nel 1883. In vista della pubblicazione, nell'agosto del 1882, egli scriveva a Carolyne: "La Schott […] pubblicherà i tre Sonetti-Petrarca per canto che saranno illustrati con il Suo grazioso disegno raffigurante gli allori del Petrarca e Laura - come lo fu nel caso delle variazioni per pianoforte degli stessi sonetti, sull'edizione di 25 anni fa. Ho cercato di dare la forma definitiva al canto di questi sonetti, facendo del mio meglio per renderli cristallini, trasparenti, degni delle poesie. Con un tenore amoroso non volgare, dotato di un certo idealismo del cuore, forse potranno ottenere un po' di successo". Quest'ultima versione dei sonetti, è scritta per voce media ed è caratterizzata dallo stile essenziale, quasi privo di mezzi e intimamente espressivo dell'ultimo Liszt; pochi suoni, molto ben meditati nella parte pianistica, di raffinatezza armonica davvero rimarchevole. Il percorso artistico che si evince scorrendo le diverse versioni dei Sonetti ci mostra il grande sviluppo del pensiero lisztiano attraverso quarant'anni di meditazioni, la sua acquisizione del tutto personale della lezione di Wagner, lo sviluppo di una religiosità scevra da condizionamenti e profondamente serena.


Alfredo Casella Sicilienne et Burlesque

Un primo tratto che accomuna Nino Rota a Franz Liszt è senz'altro un forte sentimento religioso, sempre gelosamente custodito: ne sono prova Missa Brevis (1961) , il Mysterium (1962) e numerose liriche sacre che Rota non fece mai pubblicare e che hanno visto la luce solo pochi anni or sono: Salmo VI e Salmo 99 (1943), Salve Regina (1958), Psallite (1958). Nino Rota fu bimbo prodigio che iniziò a comporre a 8 anni; studi regolari lo portarono ad essere allievo dei grandi maestri del suo tempo, Pizzetti e Casella, sotto la cui guida si diplomò nel 1930 in composizione. Su indicazione di Toscanini, strenuo oppositore della musica d'avanguardia, ma anche per merito dello stesso Casella, uomo generoso e di larghe vedute, concluse gli studi al Curtis Institut di Filadelfia grazie ad una borsa di studio. Nino Rota ricorda Casella con entusiasmo come "proprio una persona superiore; tant'è vero che l'unico musicista da cui posso dire di non aver subito alcun influsso è stato proprio Casella: lui capiva anche le nature lontanissime dalla sua". Il brano di Casella che ascolteremo stasera, quasi come intermezzo strumentale in questo contesto dedicato alla alleanza tra musica e poesia, la Siciliana e Burlesca, è uno di quei lavori che porta in evidenza l'arcano mondo sonoro di Casella. Come ha spesso rilevato Massimo Mila, Casella si sentiva sempre in bilico tra la lezione della musica italiana antica, quella dell'impressionismo francese e quella di Stravinsky. Tendenze stilistiche che, infondo, gli appartenevano tutte ma che egli aspirava con volontà impetuosa e un desiderio inappagato di superarsi, a tradurre in una poetica nuova.


Frank Martin Drey Minnelieder

I Drey Minnelieder, composti nel 1960 su commissione del RIAS di Berlino, fanno parte di una serie di opere su testi medioevali tra le quali spiccano il Mystère de la Nativité e Pilate, due oratori tratti rispettivamente dal Mystère de la Passion di Arnoul Gréban (XVº sec.) e dall'Ode à la musique di Guillaume de Machaut (XIVº sec.). Frank Martin, figlio di un pastore, ha sempre ammesso aver avuto la religione protestante un ruolo primario in tutta la sua esistenza: "Ogni sentimento, ogni pensiero, ogni fede si manifesta nel mondo quando s'incarna in una materia.[… ] Così lo spirito perde molto della sua forza, in quanto spirito: ma qualcosa si è incarnato in una materia, in una musica, e questa materia è divenuta capace, qualche volta, di ricreare lo spirito, o di risvegliare lo spirito presso altri uomini."
Per Frank Martin l'opera d'arte, in quanto semplice medium tra lo spirito e la sua incarnazione, dovrebbe "far dimenticare il suo autore". Il grande musicologo Fedele D'Amico, quando nel 1949 scrisse la presentazione all'oratorio Golgotha, ne comprese perfettamente l'atteggiamento: "Giacché il primo carattere della sua personalità è appunto questo: di non essere "una personalità" […]. Frank Martin sembra piuttosto esprimere un momento storico in cui il culto della personalità è fortemente impallidito, e in cui urge piuttosto l'esigenza di definire un generale clima di cultura e di civiltà, attentamente vagliato e investito da una segreta commozione umanistica".
Frank Martin si è confrontato a lungo con le regole della dodecafonia: "Come tutte le rivoluzioni, [quella di Schönberg] crede che il futuro è suo, non comprendendo che per la sua essenza, è in se stessa è effimera e il suo apporto positivo non può essere fecondo altro che se si integra nei valori permanenti della musica. Perché in arte gli unici valori reali sono quelli che uniscono ciò che è immediato con ciò che permane." Il compositore non aderì alla dodecafonia, considerando tuttavia tale teoria uno strumento adatto ad arricchire il proprio linguaggio. Così giunse a pensare un'armonia di stile classico accresciuta dal dodecafonismo: "Personalmente devo sempre a Schonberg e alla sua teoria, anche condannandola con tutta la forza della mia sensibilità musicale, di aver introdotto nel mondo la musica atonale": Schonberg con la sua fermezza dogmatica ha, per così dire, obbligato Frank Martin ad aprire la propria sensibilità alla ricerca di dinamiche atonali nella composizione musicale.
Nei Drey Minnelieder Martin accetta la tonalità e ne manipola le forze, creando, e poi risolvendo, conflitti tra diversi centri tonali: le momentanee ascese della tensione musicale favoriscono una istanza espressiva intensa ma flessibile che non sacrifica gli assunti di base di creare una tessitura fine e una dizione quasi spoglia del testo poetico. Composte immediatamente dopo il Mystère de la Nativité presentano una scrittura incisiva e spontanea di eloquente vitalità, ma la medesima ascetica economia di mezzi e significati. Le ricerche linguistiche hanno messo in luce come la pronuncia del tedesco medioevale si avvicinasse molto a quella dello svizzero tedesco e dell'olandese dei nostri giorni: l'uso della lingua antica si salda dunque, anche in questo caso, con l'attenzione per assicurare al testo una forte comunicatività espressiva.


Nino Rota Ballata e Sonetto del Petrarca, Sonetto del Petrarca

I tre lavori di Petrarca (i Sonetti CCCLIII e CLXI e la Ballata CXLIX) musicati da Rota risalgono al 1933, anno importante per la diffusione delle opere del poeta in Italia in cui videro la luce i primi volumi della Edizione Nazionale delle Opere di Francesco Petrarca. Già la scelta dei sonetti (in contrapposizione alla lisztiana adorazione dei "dolci affanni") ci mostra, come scrive Fedele D'amico, che "il canto di Nino Rota era gioia, divertimento, umorismo, oppure abbandono al patetico, ma un patetico votato alla catarsi, non mai all'angoscia dell'inconcluso. La discesa a qualsivoglia tipo di inferi non era per lui, essere angelico per eccellenza. […] E una sorta di angelo, o diciamo di umano non segnato dal peccato originale, scorgeva in lui chiunque gli si accostasse". L'estrema, quasi maniacale, attenzione di quegli anni alla costruzione di nuovi linguaggi, sistemi, direi quasi ingranaggi, per scrivere musica, ha danneggiato la giusta ricezione della musica di Rota, "una musica senza virgolette e, perciò, tale da poter restituire i sentimenti grandi o piccoli nella loro immediatezza, nella loro spontaneità"; una musica che (sono parole dello stesso Rota) "è qualcosa che sta' nel più profondo di noi; per cui alcune sue manifestazioni essa può giungere ad essere sentita come una voce divina apportatrice di un messaggio perenne di bellezza, di gioia, di pace e di amore".


Alberto Caprioli Fuggente (a Giovanni Morelli, voce del pensiero)

Alberto Caprioli, così ci presenta la sua nuova opera Fuggente, per voce e strumenti:
"La grana della voce di Fuggente, nuova versione di in canto, nasce dall'irruenza di un'immedesimazione, cecità-visione-dialogo con il passato: ewige Wiederkunft, eterna parusìa riversata sulla forte compresenza ed essenza creatrice dell'interprete: dall'anelito penetrante di Mélisande all'alito impercettibile ai confini del silenzio wie ein Hauch, dal grido soffocato del monologo interiore di Fragmente - Stille al singulto tacitato della disperazione senza parole (Sein zum Tode) della finale Des Freundes Umnachtung dell'Adagio dalla Decima Sinfonia. Talora nascosta o appena affiorante dalle trame intrecciate del tessuto strumentale, altrove intimamente sola, adolescente androgina, spesso estranea alla ricerca alla tecnica all'espressività mediata degli strumenti, la violenza della dialettica strumentale la ritrova partecipe e vivida, poi d'improvviso assente, di nuovo complice nel profondo e subito pallida sembianza fuggitiva del suono strumentale, surreale rispecchiamento della voce degli strumenti che rincorrono a loro volta gli accenti umani. Il testo esiste e insieme non esiste, resistendo alle tentazioni radicali del metalinguaggio musicale, allegoria della lettura che si appropria della parola; la parola è e non è - frammento soltanto suono - fotogramma rapito alla quiete minacciosa delle architetture del linguaggio. E il paradigma poetico, con le sue immagini, le sue finzioni e i suoi fantasmi, esplode nell'eteroglossia della musica lacerandosi nell'attimo, senza ritorni e senza tempo."

(a cura di RC)

TESTI MUSICATI:


Giovanni Pierluigi da Palestrina /Bruno Moretti Sicut cervus

Sicut cervus desiderat ad fontes aquarum:
ita desiderat anima mea ad te, Deus.
Sitivit anima mea ad Deum vivum:
quando veniam, et apparebo ante faciem Dei mei?
Fuerunt mihi lacrimæ meæ panes die ac nocte,
dum dicitur mihi per singulos dies:
ubi est Deus tuus?


Claudio Monteverdi /Ottorino Respighi Lamento di Arianna (Ottavio Rinuccini)

O Teseo, O Teseo mio,
Sì che mio ti vo' dir,
Che mio pur sei,
Benchè t'involi
Ahi crudo!
Agli occhi miei.
O Teseo mio
Se tu sapessi,
Oh Dio! Se tu sapessi
Ohimè, come s'affanna
La povera Arianna,
Forse, forse pentito
Rivolgeresti ancor
La prora al lito.
Ma con l'aure serene
Tu te ne vai felice,
Ed io qui piango.
Ahi che non pur risponde! Ahi che più d'aspe
E' sordo'a' miei lamenti!
O nembi, o turbini o venti
Sommergetelo voi
Dentro a quell'onde.
Correte orche o balene
E de le membra immonde
Empiete le voragini profonde!
Che parlo, Ahi che vaneggio?
Misera, ohimè che veggio
O Teseo ?
O Teseo mio.
Non son, non son quell'io
Non son quell'io
Che i feri detti sciolse;
Parlò l'affanno mio,
Parlò il dolore,
Parlò la lingua sì,
Ma non già il core.
Dove, dove è la fede
Che tanto mi giuravi?
Così nell'alta sede
Tu mi ripon degli Avi
Son queste le corone,
Onde m'addorni il crine?
Questi gli scettri sono,
Queste le gemme e gli ori?
Lasciarmi in abbandono
O fera che mi strazi e mi divori?
Ahi Teseo ahi Teseo mio,
Lascerai tu morire
Invan piangendo
Invan gridando aita,
La misera Arianna,
Ch'a te fidossi,
E ti diè gloria e vita?
Lasciatemi morire
Lasciatemi morire!
E che volete che mi conforte
In così dura sorte,
In così gran martire?
Lasciatemi morire
Lasciatemi morire!


Luciano Berio Air da "Opera" (Alessandro Striggio dal primo atto dell'Orfeo di Monteverdi)

Now, as the tunes change, now gay now sad
Behold the trav'ler
Behold the trav'ler
Now as the tunes changenow gay now sad
Behold the trav'ler
For whom only a short time ago
For whom sighs were food and tears were drink
Sighs were food and tears were drink
Now as the tunes change now gay now sad
Behold the trav'ler
For whom sighs were food and tears were drink
And tears were drink
Rose of the sky of the world
When did you see
When did you see
When did you see
A more joyful lover?
When did you see
A more joyful lover?
Rose Rose Rose of the sky
Life of the world
When did you see
A more joyful lover?
Now as the tunes change now gay now sad
Behold the trav'ler
For whom only a short time ago
Sighs were food and tears were drink
Hor mentre i canti alterno, hor lieti hor mesti
Osservate il viandante
Osservate il viandante
Hor mentre i canti alterno, hor lieti hor mesti
Osservate il viandante
Cui pur dianzi
Cui furon cibo i sospir, bevanda il pianto
Furon cibo i sospir, bevanda il pianto
Hor mentre i canti alterno, hor lieti hor mesti
Osservate il viandante
Cui furon cibo i sospir, bevanda il pianto
Bevanda il pianto
Rosa del ciel, vita del mondo,
Quando vedesti mai
Quando vedesti mai
Quando vedesti mai
Di me più lieto e fortunato amante?
Quando vedesti mai
Di me più lieto e fortunato amante?
Rosa, Rosa, Rosa del ciel
Vita del mondo,
Quando vedesti mai
Di me più lieto e fortunato amante?
Hor mentre i canti alterno, hor lieti hor mesti
Osservate il viandante
Cui pur dianzi
Furon cibo i sospir, bevanda il pianto.



Franz Liszt Benedetto sia il giorno (Sonetto XXXIX del Petrarca)

Benedetto sia 'l giorno, e 'l mese, e l'anno,
E la stagione, e 'l tempo, e l'ora, e 'l punto
E 'l bel paese e 'l loco, ov'io fui giunto
Da' duo begli occhi che legato m'ànno;
E benedetto il primo dolce affanno
Ch'i' ebbi ad esser con Amor congiunto,
E l'arco e la saette ond' i' fui punto,
E le piaghe, ch'infino al cor mi vanno.
Benedette le voci tante, ch'io
Chiamando il nome di Laura ho sparte,
E i sospiri e le lagrime e 'l desio.
E benedette sian tutte le carte
Ov'io fama le acquisto, e il pensier mio,
Ch'è sol di lei, si ch'altra non v'ha parte.


Franz Liszt I' vidi in terra angelici costumi (Sonetto CV del Petrarca)

I' vidi in terra angelici costumi,
E celesti bellezze al mondo sole;
Tal che di rimembrar mi giova, e dole:
Che quant'io miro, par sogni, ombre, e fumi.
E vidi lagrimar que' duo bei lumi,
Ch'han fatto mille volte invidia al sole;
Ed udì' sospirando dir parole
Che farian gir i monti, e stare i fiumi.
Amor! senno! valor, pietate, e doglia
Facean piangendo un più dolce concento
D'ogni altro, che nel mondo udir si soglia.
Ed era 'l cielo all'armonia s'intento
Che non si vedea in ramo mover foglia.
Tanta dolcezza avea pien l'aer e 'l vento.


Nino Rota Di tempo in tempo ( Ballata CXLIX del Petrarca)

Di tempo in tempo mi si fa men dura
l'angelica figura e 'l dolce riso,
e l'aria del bel viso
e degli occhi leggiadri meno oscura.
Che fanno meco omai questi sospiri
che nascean di dolore
e mostravan di fore
la mia angosciosa e desperata vita?
S'aven che 'l volto in quella parte giri
per acquetare il core,
parmi vedere Amore
mantener mia ragione e darmi aita.
Né però trovo ancor guerra finita
né tranquillo ogni stato del cor mio,
ché più m'arde 'l desio,
quanto più la speranza m'assicura.


Nino Rota Vago augelletto, che cantando vai (Sonetto CCCLIII del Petrarca)

Vago augelletto, che cantando vai,
o ver piangendo, il tuo tempo passato,
vedendoti la notte e 'l verno a lato,
e 'l dì dopo le spalle, e i mesi gai,
se come i tuoi gravosi affanni sai,
così sapessi il mio simìle stato,
verresti in grembo a questo sconsolato,
a partir seco i dolorosi guai.
I' non so se le parti sarian pari,
ché quella cui tu piangi, è forse in vita,
di ch'a me morte, e 'l ciel, son tanto avari;
ma la stagione, e l'ora men gradita,
col membrar de' dolci anni e de li amari,
a parlar teco con pietà m'invita.


Nino Rota O passi sparsi! (Sonetto CLXI del Petrarca)

O passi sparsi! O pensier vaghi e pronti!
O tenace memoria! o fero ardore!
o possente desire! o debil core!
oi occhi miei, occhi non già, ma fonti!
O fronde, onor de le famose fronti,
o sola insegna al gemino valore!
O faticosa vita, o dolce errore,
che mi fate ir cercando piagge e monti!
O bel viso, ove Amor inseme pose
gli sproni e 'l fren, ond'el mi punge e volve,
come a lui piace, e calcitrar non vale!
O anime gentili et amorose,
s'alcuna ha 'l mondo, e voi nude ombre e polve,
deh, ristate a veder quale è 'l mio male.


Frank Martin Drey Minnelieder


Ach Herzliep (Testo anonimo del XIII secolo)

Ach herzeliep, ach herzeleit,
ach libes lieplich arebeit,
ach jachant min, ach balsam trôr,
ach de süezez zuckerrôr
libes unde herzen mîn,
ich bin vor der lâge dîn
der werlde abegesundert.
Daz wunder überwundert mich hât
daz ich verzaget bin.
Herze, lip, der sêle sin
haben lebens sich erwegen
sît si niht ander liebe pflegen
den wie si dich mit liebe segen.

Ah struggimento

Ah struggimento, ah sofferenza,
ah squisito tormento della vita,
ah giacinto, ah rugiada balsamica,
ah dolce canna da zucchero
del mio cuore e della mia vita,
sono isolato dal mondo
dalla tua stretta.
Il prodigio mi ha sopraffatto
e ora sono scoraggiato.
Cuore, corpo, forza dell'anima
hanno rinunciato alla vita
da quando non si dedicano ad altri amori
per poterti celebrare con amore.

Ez stuont ein frouwe alleine
(Dietmar von Aist, XII secolo)

Ez stuont ein frouwe alleine
und warte über heide
und warte ire liebe,
so gesach si valken fliegen.
" So wol dir, valke, daz du bist !
Du fliugest swar dir liep:
du erkiusest dir in dem walde
einem boum der dir gevalle.
alsô hân auch ich getân :
ich erkôs mir selber einem man
den erwelten mîniu ougen.
daz nîdent schoene frouwen.
owê wan lânt si mir min liep ?
Jô 'ngerte ich ir de keiner trûtes niet. "

C'era una donna sola


C'era una donna sola
e osservava oltre la brughiera
e spiava verso il suo amato.
Ecco che vide un falco volare.
" Ben per te, falco, visto che sei un falco!
Voli sempre dove desideri:
ti cerchi nel bosco
un albero che ti piaccia.
Ho fatto anch'io così:
ho scelto per me un uomo
che soddisfacesse i miei occhi.
Questo mi invidiano le belle donne.
Ah, perché non mi lasciano il mio amato?
Sinceramente, non ho mai desiderato uno dei loro uomini!"

Unter der linden (Walther von der Vogelweide 1170-1228)

Under der linden
an der heide,
dâ unser zweier bette was,
dâ mugt ir vinden
schône beide
gebrochen bluomen unde gras.
vor dem walde in einem tal,
tandaradei,
schône sanc diu nahtegal.

Ich kam gegangen
zuo der ouwe,
dô was mîn friedel komen ê
dâ wart ich enpfangen,
hêre frouwe,
daz ich bin sælic iemer mê.
kuster mich? wol tûsent stunt,
tandaradei,
seht wie rôt mir ist der munt.

Dô hât er gemachet
alsô rîche
von bluomen eine bettestat.
des wirt noch gelachet
inneclîche,
kumt iemen an daz selbe pfat
bî den rôsen er wol mac,
tandaradei,
merken wâ mirz houbet lac.

Daz er bî mir læge,
wessez iemen
(nû enwelle got!), sô schamt ich mich.
wes er mit mir pflæge,
niemer niemen
bevinde daz wan er und ich
und ein kleinez vogellîn,
tandaradei,
daz mac wol getriuwe sîn.

Sotto il tiglio


Sotto il tiglio
nel prato,
là era il nostro giaciglio,
là potrai trovare
armoniosi insieme
fiori rotti e erba.
In una valle al limitare della foresta,
tandaradei,
cantava armoniosamente l'usignolo.

Giunsi camminando
al prato,
il mio amante era già arrivato.
e colà venni accolta,
così gioiosamente
che ne rimasi inebriata.
Mi baciò? Almeno mille volte!
Tandaradei,
guarda, come è rossa la mia bocca.

Là egli aveva preparato
splendidamente
un letto di fiori.
Riderà di cuore
tra sé,
colui che passerà per quel sentiero
e tra le rose potrà intuire,
tandaredei,
dove giaceva il mio capo.

Lui giacque con me,
lo venisse a sapere qualcuno
(Dio non voglia!)
ne avrei vergogna,
mai nessuno saprà,
come egli fu con me, eccetto lui, e me,
e un uccellino
tandaradei
che certamente serberà il mio segreto.

 

 

Alberto Caprioli, Fuggente
(Giacomo Leopardi, Il tramonto della luna )

Quale in notte solinga,
Sovra campagne inargentate ed acque,
Là 've zefiro aleggia,
E mille vaghi aspetti
E ingannevoli obbietti
Fingon l'ombre lontane
Infra l'onde tranquille
E rami e siepi e collinette e ville;
Giunta al confin del cielo,
Dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno
Nell'infinito seno
Scende la luna; e si scolora il mondo;
Spariscon l'ombre, ed una
Oscurità la valle e il monte imbruna;
Orba la notte resta,
E cantando, con mesta melodia,
L'estremo albor della fuggente luce,
Che dianzi gli fu duce,
Saluta il carrettier dalla sua via;

Tal si dilegua, e tale
Lascia l'età mortale
La giovinezza. In fuga
Van l'ombre e le sembianze
Dei dilettosi inganni; e vengon meno
Le lontane speranze,
Ove s'appoggia la mortal natura.
Abbandonata, oscura
Resta la vita. [...]