Gran Teatro "La Fenice", Sale Apollinee, Martedì 23 novembre 2010, ore 20.00


LA MUSICA E L'INEFFABILE



Monica Bacelli mezzosoprano
Alberto Caprioli direttore
Alvise Vidolin regia sonora e live electronics

Ex Novo Ensemble
Daniele Ruggieri flauto
Davide Teodoro clarinetto
Carlo Lazari violino
Mario Paladin viola
Carlo Teodoro violoncello
Aldo Orvieto pianoforte
Preludio critico di Alberto Caprioli


FRANK MARTIN (1890-1974)
Quatre Sonnets (a Cassandre) (1921)tirés des Amours de Ronsard (1524-1585)
per voce, flauto, viola e violoncello

CLAUDE DEBUSSY (1862-1918)
Trois Ballades L119 (1910) de François Villon (1431-1463)
per voce e pianoforte
Ballade de Villon à s'Amye - Ballade que Villon feit à la requeste de sa mère
pour prier Nostre Dame - Ballade des femmes de Paris

HEITOR VILLA LOBOS (1887-1959)
Poema da Criança e sua mamâ (1923)
per voce, flauto, clarinetto e violoncello

IGOR STRAVINSKIJ (1882-1971)
Three Songs (1953)from William Shakespeare (1564-1616)
per voce, flauto, clarinetto e viola
Musick to heare - Full Fadom five - When Dasies pied

TONINO TESEI (1961)
Opera nuova (2010)
per flauto, clarinetto, violino, viola, violoncello e pianoforte
Prima esecuzione assoluta

PATRIZIO ESPOSITO (1960)
D'amor la vecchia canzone (2010)
per flauto, clarinetto, violino, violoncello pianoforte ed elettronica
Prima esecuzione assoluta

ALBERTO CAPRIOLI (1956)
in canto (a Giovanni Morelli, voce del pensiero) (2010)
per voce, flauto, clarinetto, violino, viola, violoncello e pianoforte
Prima esecuzione assoluta



Presentazione

Afferma Vladimir Jankélévitch nel saggio La musica e l’ineffabile (1961): "la musica direttamente e in se stessa non significa niente se non per associazione o convenzione. La musica è dunque inespressiva, non perché non esprima niente, ma perché non esprime questo o quel paesaggio privilegiato, questo o quello sfondo ad esclusione di tutti gli altri; è inespressiva in quanto implica innumerevoli possibilità interpretative tra le quali lascia una completa libertà di scelta." Ancora nello stesso saggio si legge: "La musica attesta il fatto che l’essenziale in tutte le cose è un non so che d’inafferrabile e d’ineffabile; essa rafforza in noi la convinzione che, ecco, la cosa più importante del mondo è proprio quella che non si può dire". Anche la vera poesia ha caratteristiche simili: si basa sul polisenso a trascendere la povertà espressiva delle parole razionali, non descrive l’esistente, semmai rivela ciò che la realtà empirica nasconde, va all’essenza delle cose, proprio perché usa un linguaggio dal significato non univoco, volutamente ambiguo, ricco di significati che risuonano insieme o al limite privo di significato. Il polisenso, dunque, o la mancanza di significato, almeno nell’accezione comune del termine, per esprimere l’ineffabile: "Di questa poesia/Mi resta/Quel nulla/Di inesauribile segreto", canta Ungaretti nel Porto sepolto, ma si tratta di un preziosissimo nulla, che solo può rischiarare il mistero in cui ci troviamo. Poesia e musica insieme, un rapporto difficile tra due linguaggi in grado di rivelare l’ignoto, l’assoluto, ciò che non si può banalmente dire a parole: e la musica completa la poesia, e la poesia la musica in un rapporto delicatissimo che, tuttavia, negli esiti più riusciti può schiuderci universi sconosciuti di conoscenza ed autocoscienza.
(Roberto Campanella)

Frank Martin
Quatre Sonnets (a Cassandre) tirés des Amours de Ronsard (1921)

Compositore svizzero dalla complessa evoluzione musicale, Frank Martin fu in gioventù folgorato dallo studio della musica di Bach (la Matthaus Passion, ascoltata a dieci anni, sarà "l’evento artistico che ne influenzerà la vita intera") e da un’adesione al gusto del tardo romanticismo francese. L’incontro con Ernest Ansermet avvenuto nel 1918 in occasione della prima esecuzione a Losanna di Les Dythyrambes e la loro lunga amicizia e reciproca stima saranno per Martin un forte stimolo all’approfondimento delle opere di Debussy e Ravel e alla definizione di un proprio stile modale, particolarmente evoluto sotto il profilo ritmico. Confrontandosi con la tecnica dodecafonica di Schönberg, a partire dal 1933 Martin sviluppò un linguaggio musicale personale, che coniuga senso del ritmo e espressività melodica con una ricerca armonica nel contesto di un quadro tonale allargato. I Quatre Sonnets a Cassandre videro la luce nel 1921. Questo lavoro fu il primo che Martin riconobbe valido dopo il periodo di rinnovamento stilistico che lo portò all’adozione di uno stile lineare, consapevolmente spogliato di ogni enfasi, quasi arcaico, che fa uso esclusivo di melodie modali e di triadi perfette maggiori e minori. Con i Quatre Sonnets a Cassandre Martin riesce per la prima volta nell’impresa di coniugare, una declamazione di forte pregnanza comunicativa rinunciando al sostegno armonico gravitazionale del Sistema tonale.

Claude Debussy
Ballades de François Villon (1910)

André Suarès ha scritto di queste Ballate: "Chi comprenda profondamente questa musica, e la intenda nello spirito dell’amore con la quale è stata concepita, comprenderà la vera essenza di Debussy, e riconoscerà non solo il fascino ma anche la tranquilla maestà e il potere nascosto del suo genio." Queste Ballades sono fra le migliori creazioni di una fase creativa estrema dell’arte debussyana, una fase che si è fatta in grado di sostenere la focosità quasi corrosiva di tali impetuose creazioni di Villon; una fase di sempre maggior franchezza, essenzialità, quasi durezza di stile. Nella prima, Ballade de Villon à s’amye, non c’è risparmio di virile amarezza nella condanna che il poeta fa della sua affascinante amica: Bellezza bugiarda, che tanto cara mi costi / Dura di fatto, ipocrita dolcezza All’ombra della vecchiaia e della morte ogni cosa è sfiorita per il poeta, eccetto un desiderio di libertà. Le ampie frasi melodiche di Debussy uniscono angoscia e rimpianto: il pianoforte stabilisce, già dalle prime battute, l’atmosfera mesta dell’intera canzone. La linea vocale è più una declamazione che una melodia, e conferisce un’aspra intensità emotiva al testo poetico. È interessante notare che in questo pezzo si può trovare uno dei rari passaggi vocali nella musica di Debussy marcato con un forte. Nella seconda, Ballade qui feit Villon à requeste de sa mère pour prier Nostre-Dame, Debussy è riuscito a suggerire il carattere chiesastico della ballata senza ricorrere a mezzi banali. La fede della vecchia madre del poeta è tratteggiata in modo toccante, con l’esitante e quasi balbettato ritornello: "In questa fede voglio vivere, e morire". La musica tratteggia una atmosfera medioevale attraverso uno stile contrappuntistico e un carattere melodico discretamente modale di fattura squisita. La terza, Ballade des femmes de Paris, è una delle più animate creazioni vocali di Debussy e mette in scena un movimento propulsivo saltellante e una contagiosa imitazione del chiacchiericcio: "quando si tratta di chiacchere, tutte le donne dell’antichità e di tutta l’Europa impallidiscono di fronte alla donne di Parigi" ride Villon; e Debussy riesce magistralmente ad amplificare a dismisura questa risata. Il glissando alla fine della canzone è più che un mero tocco di fascino, è un ultimo gesto eclatante del poeta che si accomiata.

Heitor Villa Lobos
Poema da Criança e sua mamâ (1923)

Il Poema de criança e de sua mama (Poesia del bambino e della madre) si sviluppa in un unico movimento strutturato in diverse sezioni: forma cara a Villa Lobos che ritroviamo nei lavori giovanili (la sonata per violino Desesperança) ma anche in molti lavori della piena maturità. Libero dalle tradizionali forme che obbligano a esposizione, sviluppo, e ad una ripresa dei materiali emotivamente rassicurante, Villa Lobos raggiunge una autentica immediatezza di scrittura allorchè la sua esuberante immaginazione può vagare liberamente, contrapponendo emozione a emozione, in un avvicendarsi di blocchi e quadri fantasiosamente organizzato. Villa Lobos definisce questa forma poema, mutuandolo dal termine letterario: poema non era solamente il mettere in musica un testo poetico, ma renderlo una autentica entità musicale che vive una sua vita propria. Nel Poema de criança e de sua mama la voce solista utilizza il caratteristico cantare parlato, una sorta di rivisitazione in chiave moderna dell’antico recitar cantando: una ricerca di spiccato interesse nell’ambito del rapporto musica-poesia, che si avvale di un accompagnamento strumentale in "forma di choros". Il Poema da Criança su un testo dello stesso Villa Lobos, firmato con lo pseudonimo di Villalba Filho, utilizzato anche in altre analoghe occasioni, riguarda la sonnolenta conversazione tra madre e figlio, mentre vi sono le prime avvisaglie di una tempesta notturna tropicale. La madre cerca di rassicurare il bambino, appena vede il lento oscurarsi delle stelle nel cielo corrucciato, lo culla perché si addormenti, immaginando gli angeli che giocano in cielo. Questo tenero accostamento al tema della maternità avviene nel momento in cui il musicista si trovava ad essere lontano per un lungo periodo dalla moglie, una lontananza che gli ha ispirato questo testo e la melodia di raffinato lirismo che lo accompagna. La composizione fu realizzata nel 1923 a Parigi, come testimonia l’iniziale titolo francese, Poème de l’Enfant et de sa mère; la prima esecuzione avvenne sempre a Parigi sette anni più tardi.

Igor Stravinskij
Three Songs from William Shakespeare (1953)

Composti nell’autunno 1953, prima esecuzione a uno dei Concerti Evenings-on-the-Roof, Los Angeles, 8 marzo 1954, diretti da Robert Craft, Three Songs from William Shakespeare costituiscono la prima serie di canti che Stravinskij compose dopo le Quattro canzoni russe del 1919. Mentre la maggior parte dei canti scritti nel periodo della prima guerra mondiale erano versioni in musica di ritornelli nonsense russi (pribautki) di versi popolari scritti per il divertimento dei bambini, questa nuova serie comprende testi letterari (così anche nelle Tre liriche giapponesi) e intende essere un ulteriore esercizio nelle esplorazioni contrappuntistiche che Stravinskij aveva iniziato nella Cantata e nel Settimino. Per questa operazione scelse l’ottavo sonetto di Shakespeare Musick to heare, il canto di Ariele Full Fadom five tratto dalla Tempesta, e la canzone di Cuckoo tratta dal grottesco di Pene d’amor perdute. Il Sonetto è basato su una breve successione di quattro note e sulla sua inversione in varie trasposizioni. La parte vocale segue quella del flauto con varie licenze, per esempio trasposizioni di ottava e tante ripetizioni di note quante ne occorrono per musicare le parole. L’ordine seriale si allenta a tratti e nella linea vocale viene inserita, poco prima della fine, una nota estranea alla serie (re naturale). La successione delle altezze nelle altre due canzoni ha forti implicazioni tonali. In Full Fadom five gli unici accidenti sono bemolle; questo conferisce alla musica una inclinazione verso alcune precisi ambiti tonali. In When Dasies pied, la successione delle altezze per la voce è così elaborata che consiste, per la prima metà, in altezze tratte dalla scala di la bemolle maggiore, mentre nella seconda metà di altezze dalla scala di do maggiore. Questa tanto marcata dicotomia tonale appare prepotentemente anche nell’accompagnamento. Il canto contiene alcuni suggestivi effetti onomatopeici. Il suono delle campane è suggerito nella canzone di Ariele prima dell’attacco fp della viola sulle minime del tema di apertura che accompagnano la frase Full Fadom five they Father lies, e poi da due note pizzicate risonanti (a Ding-Dong, ding-dong) sulla corda vuota di Re della viola. Nella terza canzone, il cucù nella parte vocale è evocato sfruttando la terza minore naturale; è del massimo interesse il nervoso trillo di crome (flauto e clarinetto) che si sente per la prima volta durante il verso The cuckow then on everie tree, che è ripetuto tra i due versi e alla fine esplode in una Coda di flauto spandente arabeschi su un borbottante tremolo di clarinetto che ricorda il fermento primaverile di Mazatsumi (in Tre liriche giapponesi) e l’allegro gorgoglio di fiati in alcune Pribautki e nelle Berceuses du chat.

Tonino Tesei
Dolores (2010)

Dolores è una suite di brevi interludi ispirati a Scottature di Dolores Prato. Con Scottature, racconto autobiografico, la grande scrittrice vince il premio Stradanova 1965 con la seguente motivazione della Giuria (composta, tra gli altri, da Aldo Palazzeschi e Diego Valeri): "È un’intelligente narrazione: storia di una collegiale, con spunti nuovi sulla vecchia materia, e tutto un rincorrersi impertinente di riso e di pianto". La mia musica sottolinea i mutevoli stati emotivi della protagonista del bel testo della Prato. (Tonino Tesei)

Patrizio Esposito
D’amor la vecchia canzone (2010)

Può capitare di imbattersi in qualcosa dall’apparenza impenetrabile, indecifrabile, qualcosa che tuttavia suscita la nostra curiosità a tal punto che non possiamo fare a meno di confrontarci con essa perché intuiamo che deve pur esistere una via, una chiave che ci permetta di entrare e finalmente di avere una visione chiara delle cose. Questo è quello che può succedere leggendo Joyce, in un primo momento sembra tutto così confuso, disarticolato, addirittura artefatto e distaccato ma poi succede magicamente che il velo si apre, il mondo improvvisamente ci appare chiaro e vivo come se quanto accade nella descrizione lo stessimo vivendo in prima persona. Ricordo di aver ascoltato una straordinaria lettura dei Finnegans Wake una trentina di anni fa ad opera di John Cage, ero molto giovane allora, ricordo che ne rimasi molto affascinato anche se non posso dire che quell’esperienza mi aiutò a comprendere quel linguaggio, perché non capii nulla. A distanza di anni mi sono nuovamente cimentato con quel linguaggio così denso di rimandi, così spiazzante e pieno di sensi multipli, direzioni che cambiano in continuazione, dove il richiamo al labirinto è immediato, dove la rotta si tiene a stento anche seguendo con attenzione le carte, dove ogni cosa è alta e bassa allo stesso tempo. La composizione, che fa parte di una serie alla quale lavoro da tempo tutte incentrate sull’opera di Joyce, trae spunto da alcuni aspetti acustici del quarto capitolo dell’Ulisse, dove sono presenti suoni di parole o dell’ambiente descritto che diventano la materia prima del mio cavar fuori, eliminare la materia superflua tutta intorno, per far emergere una sensualità con rimandi a elementi sia fisici che psicologici. Il titolo è tratto da una canzone irlandese citata nel capitolo.
(Patrizio Esposito)

Alberto Caprioli
in canto (2010), a Giovanni Morelli, voce del pensiero

La grana della voce di in canto nasce dall’irruenza di un’immedesimazione, cecità-visione-dialogo con il passato: ewige Wiederkunft, eterna parusìa riversata sulla forte compresenza ed essenza creatrice dell’interprete: dall’anelito penetrante di Mélisande all’alito impercettibile ai confini del silenzio wie ein Hauch, dal grido soffocato del monologo interiore di Fragmente Stille al singulto tacitato della disperazione senza parole (Sein zum Tode) della finale Des Freundes Umnachtung dell’Adagio dalla Decima Sinfonia. Talora nascosta o appena affiorante dalle trame intrecciate del tessuto strumentale, altrove intimamente sola, adolescente androgina, spesso estranea alla ricerca alla tecnica all’espressività mediata degli strumenti, la violenza della dialettica strumentale la ritrova partecipe e vivida, poi d’improvviso assente, di nuovo complice nel profondo e subito pallida sembianza fuggitiva del suono strumentale, surreale rispecchiamento della voce degli strumenti che rincorrono a loro volta gli accenti umani. Il testo esiste e insieme non esiste, resistendo alle tentazioni radicali del metalinguaggio musicale, allegoria della lettura che si appropria della parola; la parola è e non è - frammento soltanto suono - fotogramma rapito alla quiete minacciosa delle architetture del linguaggio. E il paradigma poetico, con le sue immagini, le sue finzioni e i suoi fantasmi, esplode nell’eteroglossia della musica lacerandosi nell’attimo, senza ritorni e senza tempo. (Alberto Caprioli)