Concerto 9


Martedì 5 dicembre 2023, ore 17.30
Conservatorio Benedetto Marcello, Sala Concerti


GLI ALBORI DELLA MUSICA
ELETTROACUSTICA



Concerto dedicato al ventennale della morte
di Luciano Berio (2003-2023)


in collaborazione con
Conservatorio Benedetto Marcello




Daniele Ruggieri flauto
Carlo Lazari violino
Aldo Orvieto pianoforte
Alvise Vidolin, Leonardo Zoleo* regia sonora

* = allievi della Scuola di Musica Elettronica
del Conservatorio Benedetto Marcello





Bruno Maderna (1920-1973)
Cadenza da Dimensioni III (1964)
per flauto

Bruno Maderna
Continuo (1958), musica elettronica

Claudio Ambrosini (1948)
Erbario alpino (con due ibridi immaginari) (2012-2023)
per flauto, violino e pianoforte
Libro Secondo (contenuto a sorpresa)
PRIMA ESECUZIONE ASSOLUTA

Bruno Maderna
Serenata III (1961), musica elettronica

Luciano Berio (1925-2003)
Sequenza I (1958) per flauto

Thema (Omaggio a Joyce)
elaborazione elettroacustica della voce
di Cathy Berberian su nastro magnetico
(1958). Fonti del testo: Ulysses (capitolo XI)

Bruno Maderna
Musica Su Due Dimensioni (versione 1957)
per flauto e nastro magnetico


Il concerto sarà preceduto da un seminario tenuto da
Alvise Vidoline Paolo Zavagna
dedicato allo studio e alle prassi esecutive delle
opere elettroacustiche di Bruno Maderna
e Luciano Berio.



Bruno Maderna Continuo.
Il titolo stesso del lavoro esprime il carattere più tipico di questa
composizione ovvero l'evoluzione continua di eventi sonori che coprono lo
spazio temporale che va dai suoni tenuti a quelli granulari, il cui il parametro
che prevale e li caratterizza è quello timbrico. La struttura formale viene
segnata dalla dinamica globale del pezzo che, dal pianissimo iniziale,
raggiunge un massimo di intensità e di densità ai due terzi della durata
per dissolversi, dopo una breve pausa, progressivamente nel nulla. I suoni
lunghi e tesi che caratterizzano l'inizio di Continuo creano un momento di
alta poesia, un'atmosfera quasi magica in cui le sottili fasce inarmoniche
sembrano semplici pennellate di colore che prendono lentamente forma,
amalgamandosi in uno spazio riverberante con diversi livelli di lontananza.
Ad esse si sovrappongono progressivamente e ad ondate sempre più forti,
delle sonorità complementari di durata molto breve, nervose e inafferrabili
che irrompono con crescente violenza fino a sovrastare completamente la
sezione continua: grappoli di suoni inquietanti, ottenuti con la tecnica di
sovrapposizione di piccoli grani sonori in progressiva espansione. Il nastro
magnetico diventa il luogo d’accumulo di vari processi d’elaborazione dello
stesso materiale sonoro di partenza, come scrisse Maderna nel programma
di sala di un’audizione pubblica: «Questa composizione è costituita, alla
base, da un unico suono prodotto elettricamente che passa attraverso 22
stadi di lenta e graduale trasformazione. I vari stadi si susseguono senza
soluzione di continuità, nel discorso formale del pezzo non si incontra una
dialettica di suono-silenzio ma una dialettica tra una maggiore e minore
densità (pregnanza) della materia.» Marino Zuccheri, il tecnico dello
Studio di Fonologia della Rai, invece, sostiene che quell’unico suono non
sia di natura elettronica: «[...] ricordo quando, con alcuni suoni di flauto
registrati dal bravo Gazzelloni, nasceva Continuo. Quanto materiale sonoro
venne fuori da quei semplici suoni attraverso sovraimpressioni magnetiche
trasformazioni per mezzo di filtri, modulatori ecc. tanto da non sapere come
elencarlo o catalogarlo per poi distinguerlo durante la fase di composizione.»
Poco importa la natura del suono originale: il significato musicale è insito
nel processo. La classica arte della variazione diventa in Continuo l’arte
dell’elaborazione del suono, organizzata attraverso montaggi successivi di
nastri magnetici che porta ad una crescita di tipo genetico del materiale
sonoro di partenza, attuando uno sviluppo formale coerente con le nuove
potenzialità del mezzo elettronico. In questo lavoro Maderna riesce a
conciliare dialetticamente i materiali più estremi della musica elettronica
degli anni ‘50: dalla fascia continua agli insiemi granulari. Nello stesso
tempo vengono superati i condizionamenti linguistici della scrittura
per strumenti acustici ed il suono più astratto viene liberato in una
dimensione musicale completamente autonoma e altrettanto satura di
carica espressiva. [Alvise Vidolin]

Claudio Ambrosini Erbario alpino (con due ibridi immaginari), Libro Secondo.
L’opera fa parte di una serie di lavori da includere in una futura raccolta di ‘botanica
immaginaria’, per la quale fondamentale è la capacità di immaginare
dell’ascoltatore, di ‘stare al gioco’ gustando le possibili associazioni
mentali tra le immagini – o i ricordi, i profumi – di un’erba, o un fiore, e i
suoni che intendono descriverli.
Primo della serie è stato l’Erbario spontaneo veneziano, per violino e
pianoforte, nato nel 2011. Qui la musica traccia brevi “ritratti sonori” di
alcuni minuscoli fiori abbarbicati ai marmi, infilati nelle crepe dei ponti
o nelle fessure dei selciati veneziani, miracolosamente sopravvissuti al
calpestio dei turisti. Poi è stata la volta dell’Algario, ‘piccola antologia
subacquea’ per clarinetto, viola e percussioni nata nel 2013-2014, in due
Libri, per disvelare la sorprendente galleria floreale che abita l’acqua dei
canali e della laguna veneziana, completamente a nostra insaputa.
Anche L’Erbario alpino consta di due Libri. Il primo, uscito nel 2012, suggeriva
atmosfere di bosco in cui ambientare l’Erba viperina, il Raponzolo di roccia,
l’Astranzia maggiore, la Soldanella, la Cresta di gallo pelosa, il Ranuncolo
pigmeo… E conteneva anche un ibrido immaginario: lo Scaccialupi.
Per flauto, violino e pianoforte è invece il Libro Secondo, che fa sfilare
la Veronica, l’Erioforo, la Nigritella nigra, l’Elmo di Giove, l’Erba borsa,
l’Erba lepre… e altrettanto può vantare un ibrido immaginario: il micidiale
Strozzadiavoli.
Quali di queste erbette, e in che ordine eseguirle, va di volta in volta
annunciato al pubblico direttamente dagli interpreti, di concerto in
concerto. Scritto nel 2023, il Libro Secondo dell’Erbario Alpino è dedicato
alla memoria di Werner Ludwig Kirchgraber. [Claudio Ambrosini]

Bruno Maderna Serenata III.
La vasta esperienza di direttore d’orchestra non poteva, per
Bruno Maderna, essere separata da quella vissuta a contatto del mezzo
elettronico ed entrambe non potevano non influire sul pensiero compositivo
del nostro autore. Nei lavori successivi a Continuo, troviamo infatti un felice
punto d’incontro fra queste due ‘dimensioni’. Con il nastro magnetico egli
riesce a sperimentare e a realizzare ciò che con l’orchestra gli era vietato per
motivi tecnici: combinare brevi sezioni autonome in uno schema formale
più ampio che si realizza ‘sul campo’ in base all’ascolto nella fase stessa di
esecuzione. La giustapposizione o la sovrapposizione di elementi strutturali
si sviluppa attraverso un processo che potremmo definire di improvvisazione
compositiva guidata dalla sensibilità del concertatore. Il metodo ‘interattivo’
sperimentato nei primi lavori elettronici si attua ora ad un livello gerarchico
superiore ed acquista una valenza metodologica molto più forte. Le rire
(1962), Tempo libero (1971) e Venetian Journal (1972), solo per citarne alcuni,
sono un chiaro esempio di quanto detto sopra. Ma Maderna va ancora oltre!
Allarga ulteriormente il principio sopra esposto riutilizzando in opere diverse
gli stessi materiali, o parti di questi, mediante processi di rimontaggio o di
collocazione in contesti diversi dello stesso elemento. Un primo esempio di
concertazione su nastro magnetico è Serenata III, del 1961, una composizione
per nastro solo in cui i materiali di partenza sono prodotti da strumenti
tradizionali acustici (marimba e flauto) successivamente manipolati e
trattati elettronicamente. Tali strumenti non si limitano a produrre singoli
suoni bensì intere frasi musicali o brevi sezioni ideate opportunamente
per essere trasformate e montate su nastro magnetico in vari modi. Come
afferma Maderna la forma ricorda quella del preludio; è qui concepita come
una trasmutazione del materiale sonoro che si articola, attraverso artifici
tecnici, dalla gioiosa grandinata di suoni percussivi della marimba alla lirica
sovrapposizione di suoni tenuti del flauto. [Alvise Vidolin]

Bruno Maderna Cadenza da Dimensioni III.
Il titolo del brano recita espressamente Dimensioni III,
per orchestra «con una cadenza per flauto solista». II titolo
si collega idealmente a quello delle opere precedenti: Musica su due
dimensioni per flauto e nastro magnetico (a volte anche titolato Dimensioni I)
e Dimensioni II/Invenzione su una voce per nastro magnetico. Il termine
era molto caro a Maderna in quanto la prima versione di Musica su due
dimensioni (presentata a Darmstadt nel 1952) pur essendo un brano
completamente diverso da quello che poi Maderna battezzerà nel 1958, è
frutto di un’idea di assoluta originalità e risulta essere il primo esempio di
associazione di uno strumento dal vivo ad un nastro magnetico. Il termine
‘dimensioni’ allarga dunque il primigenio concetto di una musica pensata su
diversi piani prospettici all’ambito dell’orchestra, pur mantenendo il legame
con i precedenti lavori proprio nella presenza della cadenza per flauto
solista (nella seconda parte dell’opera) e di cinque brevi interventi solistici
dell’ottavino (nella terza parte). Ad ulteriore conferma dell’incessante flusso
e scambio di materiali che si verifica nelle opere di Maderna e che le salda
in una sorta di continuità ideale, Dimensioni III, fa pensare, per la quantità
imponente di studi preparatori, a un lungo periodo di gestazione e l’opera
non fu probabilmente mai eseguita, vivente l’autore, nella versione che
venne consegnata all’Editore Suvini Zerboni e che è giunta fino a noi. Ad
esempio la terza parte (senza i soli dell’ottavino) appare in altre esecuzioni
con il nome di Entropia I. L’episodio finale del brano (che per grafia sembra
essere stato scritto in un momento diverso) venne più volte presentato
come Entropia II. Nelle varie versioni di Hyperion, sceniche o da concerto,
troviamo esecuzioni di parti di Dimensioni III senza l’indicazione del titolo.
A volte le parti dell’opera vengono proposte in un altro ordine rispetto
alla versione consegnata all’editore. La partitura indica «durata aleatoria»,
riferendosi presumibilmente al fatto che Dimensioni III, come suggeriscono
la sua genesi e le sue molteplici versioni, è eminentemente un’opera aperta,
una sorta di ‘componibile’. Il lungo assolo di flauto della seconda sezione
e i cinque assoli di ottavino della terza furono composti in occasione
dell’esecuzione di Darmstadt del 23 luglio 1964 in cui l’opera (che ebbe la
sua première nel 1963) venne eseguita in una nuova versione, interamente
trascritta per orchestra da camera e presentata con il titolo di Dimensioni IV.

Luciano Berio Sequenza I.
È costruita a partire da una sequenza di campi armonici, dai quali
scaturiscono con un massimo di caratterizzazione le altre funzioni musicali.
In Sequenza I viene precisato e sviluppato melodicamente un discorso
essenzialmente armonico fino a suggerire un ascolto di tipo polifonico. Nel
1958 utilizzavo il termine polifonico in senso letterale, e non in senso virtuale,
come invece tenderei a fare adesso lavorando con strumenti monodici.
Volevo cioè raggiungere un modo di ascolto così fortemente condizionante
da poter costantemente suggerire una polifonia latente e implicita. Sequenza
I è stata composta nel 1958 per Severino Gazzelloni. [Luciano Berio]

L’opera dà a tutta prima l’impressione di un flusso sonoro abbondante,
di grande volubilità. Alcuni tratti caratteristici, tuttavia articolano questo continuum,
non essendo più il virtuosismo collegato alla rapidità dell’articolazione
digitale, bensì alla padronanza dei diversi gradi di organizzazione dell’opera,
che vengono incessantemente modificati. […] Berio non mantiene delle
entità stabili, che presenterebbero sempre le medesime caratteristiche. Ogni
evento è già di per sé un organismo complesso, i cui elementi possono
essere dissociati, sviluppati, combinati in modi diversi. […] Cosicché la
dimensione quasi motivica delle figure del gruppo di partenza è spesso
occultata dal processo di sviluppo: proliferazioni melodico-armoniche,
trasposizioni letterali o trasformate nei rapporti di tessitura, modificazioni
delle modalità esecutive. […] La dialettica compositiva si instaura tra
continuità e discontinuità, tra trame ristrette e allargate, tra cromatismo e
scala per toni interi, tra i differenti modi di articolazione, ma anche tra ciò che
viene registrato dalla memoria e la coerenza profonda che ad essa sfugge: è
su questa dialettica che si fonda la teatralità dell’esecuzione, questa specie
di dialogo all’interno stesso del brano che appare come la proiezione del
rapporto tra il musicista e il suo strumento, tra l’immaginazione convenzionale
dello strumento e l’originalità dell’opera di Berio». [Philippe Albèra]

Luciano Berio Thema (Omaggio a Joyce).
Se l’esperienza della musica elettronica è importante, come credo,
il suo significato non risiede tanto nella scoperta di nuovi suoni
quanto nella possibilità che tale esperienza offre al compositore
di estendere il campo dei fenomeni sonori e di integrarli al pensiero musicale;
di superare, quindi, la concezione dualistica del materiale musicale. Così come
il linguaggio non è scindibile in parole e concetti, ma è in realtà un sistema
di simboli arbitrari, attraverso il quale noi diamo una forma determinata al
nostro modo di essere nel mondo, anche la musica non è fatta solo di note e
di relazioni convenzionali tra le note, ma si identifica piuttosto con il nostro
modo di scegliere, dare forma e mettere in relazione tra loro certi aspetti del
continuum sonoro. Versi, prosodia, rime non sono più assicurazione di poesia
di quanto le note scritte siano assicurazione di musica. Spesso si trova più
poesia nella prosa che nella poesia stessa e più musica nel linguaggio parlato
e nel rumore che nei suoni musicali convenzionali. È in questa prospettiva
che deve essere inteso Thema (Omaggio a Joyce) per nastro magnetico,
composto nel 1958. Con esso ho cercato di interpretare musicalmente una
lettura del testo di Joyce sviluppando l’intento polifonico che caratterizza
l’undicesimo capitolo dell’Ulysses (intitolato «Sirens» e dedicato alla musica),
la cui tecnica narrativa fu suggerita allo scrittore da una nota procedura della
musica polifonica: fuga per canonem. In questo lavoro non ho utilizzato
suoni prodotti elettronicamente: l’unica sorgente sonora consiste nelle
registrazioni della voce di Cathy Berberian che legge l’inizio dell’undicesimo
capitolo dell’Ulysses. Il testo viene letto non solo nella versione originale
inglese, ma anche nella traduzione italiana (Montale) e in quella francese
(Joyce e Larbaud). Con Thema mi interessava ottenere una nuova forma
di unione fra linguaggio parlato e musica, sviluppando le possibilità di una
metamorfosi continua dall’uno all’altra. Attraverso una selezione e una
riorganizzazione degli elementi fonetici e semantici del testo di Joyce, la
giornata di Mr. Bloom a Dublino (sono le quattro del pomeriggio, all’Ormond
Bar) prende una direzione diversa in cui non è più possibile distinguere tra
parola e suono, tra suono e rumore, tra poesia e musica, ma dove ancora una
volta diveniamo consapevoli della natura relativa di queste distinzioni e dei
caratteri espressivi delle loro cangianti funzioni. [Luciano Berio]

Bruno Maderna Musica Su Due Dimensioni.
Il legame musica-strumento è sempre stato molto forte nella tradizione musicale,
tanto che il nome dello strumento fa spesso parte del titolo dell’opera
e buona parte della storia della musica è legata alla storia degli strumenti.
Altrettanto forte è il legame esecutore - strumento e le memorie di illustri virtuosi
ne danno ampia testimonianza.
La nascita della musica elettronica portò a una rottura di questo legame musica-
strumento-interprete in quanto lo strumento della musica elettronica ha
una natura completamente diversa. Innanzitutto non esiste uno strumento
specifico, ma è il compositore che sceglie i dispositivi elettronici necessari
per comporre la sua musica e li organizza in uno o più circuiti elettronici
atti a generare e/o elaborare i suoni. Pertanto lo “strumento” della musica
elettronica è un insieme di apparecchiature che risponde alla logica dei
sistemi e che si compone di volta in volta in base alle necessità compositive
e realizzative dell’opera: lo strumento, quindi, non esiste a priori, bensì
è parte della composizione. In secondo luogo l’esecutore della musica
elettronica è il compositore stesso che produce l’opera nella forma definitiva
sonora, trasformando la musica in arte autografa. Questa rottura con un
passato ricco di storia, di tecniche compositive e prassi interpretative non
fu accolta con favore da molti compositori fra cui Bruno Maderna che pur
essendo un musicista proiettato verso il futuro manteneva solide radici nella
tradizione e già nel 1952 presentò ai Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt
la composizione Musica su due dimensioni per flauto e suoni elettronici,
ponendo la questione del rapporto fra la dimensione della performance
acustica e quella della riproduzione elettronica che si stava sviluppando
proprio in quegli anni. Questa problematica fu successivamente ripresa nel
1957 con una nuova composizione dallo stesso titolo, completamente riscritta
per la parte del flauto e con una nuova realizzazione dei suoni elettronici,
completata nel 1958. Maderna usò lo stesso titolo per due brani molto
differenti fra loro, ma che sono frutto di una stessa intuizione estetica e
compositiva, che consiste nell’associare all’esecuzione dal vivo del flauto un
materiale elettronico memorizzato su nastro magnetico dando continuità alla
prassi esecutiva del concerto ampliato ai suoni elettronici. Pertanto, Maderna
si contrappone a certe tendenze radicali dell’immediato secondo dopoguerra
che vedevano nel mezzo elettronico un’alternativa alle prassi esecutive
tradizionali fino a profetizzare la morte dell’interprete. Al contrario, proprio
con questo brano, indica la strada per far dialogare la dimensione acustica,
ricca di storia, di tradizioni e di prassi esecutive con l’emergente dimensione
elettronica, portatrice di nuovi mondi sonori e di differenti forme musicali
in una duplice sfida sul piano estetico e su quello esecutivo. In particolare,
nel lavoro del 1958 Maderna affronta in modo originale il problema della
convivenza tra la struttura rigida dei suoni elettronici fissati inesorabilmente
nel tempo sul nastro magnetico e le possibili libertà esecutive di cui può
avvalersi il solista al flauto, spingendo l’esecutore elettronico a rendere più
duttile il materiale sonoro presente su nastro, come emerge dalle sue parole:
«[…] tutta l’esecuzione di questa composizione deve avvenire su una specie
di interpretazione bilaterale del solista e del tecnico, interpretazione che si
può “inventare” di volta in volta.» [Alvise Vidolin]