Concerto 7


Mercoledì 22 novembre 2023, ore 17.30
Conservatorio Benedetto Marcello, Sala Concerti

IL SUONO E IL SUO DOPPIO

in collaborazione con
Conservatorio Benedetto Marcello



Aldo Orvieto pianoforte e pianoforte elettrico (*)
Giovanni Mancuso pianoforte e clavicembalo elettrico (**)
Alvise Vidolin, Alessandro Di Vita* regia sonora
Paolo Zavagna, Patrizio Manfrin* live electronics
* allievi della Scuola di Musica Elettronica
del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia


Aldo Clementi (1925-2011)
Madrigale (1979) per due pianoforti
due strumenti registrati (vibrafono
e glockenspiel)
Nuova realizzazione dei fixed media
a cura di SaMPL (2013)

Georg Friedrich Haas (1953)
Ein Schattenspiel (2004)
per pianoforte e live electronics (**)

Ivan Fedele (1953)
Varnelis Variations (1922/23) per<
pianoforte ed elettronica (*)
PRIMA ESECUZIONE ITALIANA

Luciano Berio (1925-2003)
Memory (1970/73) per pianoforte
elettrico e clavicembalo elettrico




Aldo Clementi Madrigale.
È un lavoro del 1979 per pianoforte preparato a quattro mani e
due strumenti registrati (Glockenspiel e vibrafono) costruito a partire da due
temi derivati dai nomi dei pianisti pAtrizio CErronE e guiDo zACCAGnini,
interpretando le lettere dei nomi secondo la notazione anglosassone (A=la,
C=do D=re E=mi G=sol) ed elaborando il materiale tematico secondo le
classiche permutazioni contrappuntistiche seriali: moto retto, retrogrado,
specchio e retrogrado dello specchio. Come è tipico della produzione matura
dell’autore, Madrigale propone una indagine psicoacustica sul concetto di
rallentando applicato a ripetizioni cicliche dello stesso materiale musicale.
In partitura è indicato: “Il pezzo inizierà il più presto possibile e rallenterà
insensibilmente sino alla fine”. All’epoca della stesura della composizione,
l’autore chiese al CSC (Centro di Sonologia Computazionale dell’Università
di Padova) di realizzare con la sintesi digitale due parti indipendenti in
rallentando per accompagnare e guidare l’esecuzione dei due pianisti dal
vivo. A causa dei limiti della tecnologia dell’epoca si ritenne impossibile
portare a termine il progetto con il supporto dell’informatica musicale
e Clementi decise di realizzare le parti-guida con un Glockenspiel e un
vibrafono, registrando una esecuzione dal vivo con due interpreti. Anche per
valenti esecutori rallentare insensibilmente una struttura musicale che inizia il
più presto possibile è compito assai arduo, difficilmente realizzabile in modo
soddisfacente senza un ausilio meccanico esterno; la registrazione effettuata
all’epoca è dunque da considerarsi una realizzazione approssimativa dell’idea
musicale, non pienamente aderente ai desideri dell’autore. Si è voluto
quindi portare a termine - dopo più di trent’anni - il progetto originale di
Aldo Clementi realizzando un ambiente esecutivo che permette ai pianisti
di stabilire una velocità iniziale e una finale per il brano consentendogli
parimenti di progettare una durata di Madrigale che consenta una perfetta
impercettibile gradazione del rallentando.

Georg Friedrich Haas Ein Schattenspiel.
Il titolo del brano ‘un gioco d’ombra’ riferisce
alla struttura del live electronics, che si basa su un sistema di trasposizione
microtonale fondato sulla progressiva riduzione del tempo di riproduzione
di un dispositivo di ritardo. La procedura genera una particolare forma di
canone: il segnale del pianoforte dal vivo viene registrato e riprodotto con
un ritardo iniziale di 24 secondi; la riproduzione prosegue con una velocità
leggermente superiore in modo da ottenere una trasposizione di circa un
quarto di tono, in base al principio fisico noto come effetto Doppler. A
causa della maggiore velocità di riproduzione, il ritardo tra il pianoforte dal
vivo e la sua ‘ombra elettronica’ diminuisce gradualmente, fino ad esaurirsi
totalmente alla fine del brano. Haas pone dunque l’esecutore costantemente
di fronte al proprio passato, a ciò che ha appena suonato. Il brano usa
figurazioni pianistiche idiomatiche e molto riconoscibili all’ascolto per
favorire al massimo la percezione del ‘gioco d’ombra’. Nella prima sezione
compaiono accordi staccati, forti e risonanti, che pongono in vibrazione suoni
armonici nel registro medio; cascate di accordi con figurazioni asimmetriche
discendenti abilmente studiate per generare specifici campi armonici nella
sincronia con le loro iterazioni ritardate. Una terza sezione invita il pianista a
improvvisare trilli, tremoli, accordi: le altezze sono però sempre precisate allo
scopo di creare – sfruttando le riproposizioni dei materiali – dense strutture
che man mano saturano l’intero spazio pancromatico. Le medesime strutture
armoniche sono riproposte mediante ossessivi accordi ribattuti. Una quarta
sezione cambia completamente lo scenario sonoro. In questa fase del
brano (nella quale gli iniziali 24 secondi di ritardo si sono già parzialmente
ridotti) compare una frase melodica – prima ascendente, poi ascendente-
discendente – armonizzata inizialmente mediante intervalli diminuiti, poi
introducendo bicordi e triadi consonanti. Tale frase, in una prima esposizione
presentata ad hoquetus nel gioco del solista con il suo ‘doppio’, man mano
sviluppa un canone sempre più stretto per effetto della continua diminuzione
del ritardo tra le parti. Armonicamente si sviluppa una anomala forma di
politonalità densa di miscele microtonali, data la presenza di triadi tonali allo
stato naturale alle quali si sovrappongono triadi trasposte elettronicamente.
I ‘punti di volta’ delle frasi sono abilmente studiati per invitare a un fraseggio
pianistico naturale e ben riconoscibile, elemento che favorisce la percezione
della struttura a canone. Nella quinta e ultima sezione vengono riprese le
strutture ad accordi ribattuti che conducono alla fine del brano mediante
un parossistico crescendo di cluster nei registri estremi dello strumento.
Sul piano performativo la sfida principale per il pianista è quella di trovare
un’articolazione metrica di una certa libertà e respiro fraseologico all’interno
della griglia temporale imposta dal sistema di ritardo.

Ivan Fedele Varnelis Variations.
Kazys Varnelis (1917-2010), artista lituano, anche collezionista
e bibliofilo. Riconosciuto maestro della ‘optical art’, ricerca nelle sue opere la
raffigurazione simbolica di un campo visivo tridimensionale. Ha sviluppato
uno stile pittorico che unisce elementi del costruttivismo, dell’astrazione
geometrica, della pop art, con l’immissione di tratti decorativi legati
all’antica tradizione popolare lituana. Si è formato in patria e a Vienna (1941-
43), stabilendosi negli Stati Uniti a partire dal 1949. Tornato in Lituania nel
1998, ha trasferito le sue opere d’arte, le sue collezioni (tra cui 300 antiche
mappe e preziosi manufatti lituani arcaici) e la sua biblioteca (9000 volumi)
in un edificio di Vilnius che, dal 2003, è diventato la ‘Casa-museo di Kazys
Varnelis’, attualmente parte del museo nazionale lituano. Nel 2023, nel
contesto dei festeggiamenti per i 700 anni della città di Vilnius, Ivan Fedele
viene invitato a scrivere un nuovo brano per pianoforte ed elettronica e
sceglie di ispirarsi alle opere di Kazys Varnelis. Così l’autore descrive la sua
opera: «Trovo che l’opera di Varnelis sia particolarmente interessante per un
compositore, poiché la dimensione astratta nonché le illusioni ottiche che
induce possono stimolare la creatività musicale in modo originale e intrigante.
E così è stato nel mio caso. Le Varnelis Variations sono una raccolta di brevi
pezzi per pianoforte e live electronics divisi in due gruppi, quelli in “bianco
e nero” e quelli “cromatici”. Quelli in bianco e nero utilizzano un linguaggio
armonico meno colorato di quello cromatico sfruttando esclusivamente
l’alternanza e/o la sovrapposizione di gruppi di note bianche e nere. Quelli
cromatici invece sono decisamente più “colorati” timbricamente, facendo
riferimento a campi armonici più connotati. Dal punto di vista formale,
invece, ho optato per la ricorsività dei pattern e delle figure, parafrasando
così i processi “minimalisti” di Varnelis. Il live electronics ha il compito di
realizzare ed enfatizzare tutte le microsfumature, le ombre e i trompe l’oeil
presenti nelle opere del Maestro».

Luciano Berio Memory.
Per due pianoforti, scritto nel 1972 e dedicato a Peter Serkin,
ha conosciuto diverse versioni. La prima per pianoforte e tastiera
elettronica, la seconda per due pianoforti, e una terza, del 1973, che
ora costituisce l’inizio del mio Concerto per due pianoforti e orchestra.
In effetti, il tessuto e la materia armonica di Memory sono plasmabili:
possono prendere direzioni diverse e assumere diverse forme. Possono
anche recare fuggevoli tracce di gesti lontani nel tempo. [Luciano Berio]