Concerto 5


Sabato 11 novembre 2023, ore 20:00
Gran Teatro La Fenice, Sale Apollinee

MALIPIERO E I TESTI ANTICHI

Il concerto è dedicato alla memoria di Enrico Camplani



Stefano Maiorana tiorba

Ex Novo Ensemble
Daniele Ruggieri flauto
Rossana Calvi Oboe
Davide Teodoro clarinetto
Michele Fattori fagotto
Carlo Lazari violino
Giancarlo Di Vacri viola
Daniele Roi clavicembalo



Giovanni Girolamo Kapsberger (1580 - 1651)
Senza titolo per tiorba*

Claudio Ambrosini (1948)
Tastata (2017) per tiorba**

Giovanni Girolamo Kapsberger
Toccata I per tiorba*

Claudio Ambrosini
Toccata (2018) per tiorba **

* PRIMA ESECUZIONE IN TEMPI MODERNI
** PRIMA ESECUZIONE ASSOLUTA

Antonio Vivaldi (1678 - 1741)
Concerto RV 94 in re maggiore
per flauto, oboe, violino, fagotto e basso continuo
Allegro – Largo – Allegro

Gian Francesco Malipiero (1882-1973)
Epodi e giambi (1932)
per violino, oboe, viola e fagotto

Antonio Vivaldi
Concerto RV 107 in sol minore
per flauto, oboe, violino, fagotto e basso continuo
Allegro – Largo – Allegro

Gian Francesco Malipiero
Sonata a quattro (1954)
per flauto, oboe, clarinetto e fagotto

Antonio Vivaldi
Concerto RV 90 'Del Gardellino' in re maggiore
per flauto, oboe, violino, fagotto e basso continuo
Allegro – Largo – Allegro



Malipiero e la Biblioteca Marciana di Venezia.
«Spesso penso con terrore a quello che sarebbe accaduto a me, se,
senza rendermene conto, cioè guidato solo dalla mia intuizione, non
avessi tempestivamente preso decisioni che mi hanno poi condotto là
dove dovevo arrivare, ed evitato di precipitare nel baratro dell’esperienza
dei miei familiari, o dei saggi consiglieri. Come, dal 1902 in poi, io mi sia recato
quotidianamente alla Biblioteca Marciana di Venezia per studiare gli antichi
quasi completamente ignorati dai miei insegnanti e dai miei condiscepoli,
io non lo so».

Malipiero e Vivaldi.
«Lo vediamo, l’orecchio appoggiato alla cassa armonica del violino,
gli occhi chiusi, ad ascoltare le proprie improvvisazioni. Come una sorgente
in alta montagna egli non inaridì mai, La sua musica è a getto continuo
e se ha scritto per vari strumenti solisti (oboe, fagotto, violoncello, ecc.
ecc.), è il violino che domina, cioè Vivaldi stesso trasformato in musica.»
«Un musicista che interpreta Vivaldi deve essergli legato spiritualmente,
comprendere la sua musica e per pubblicarla non occorre il medico chirurgo,
basta l’umile copista, fedele, attento, diligente. […] Non si può analizzare
Vivaldi, non si deve rompere l’incanto abbandonandosi a una inopportuna e
sterile rettorica. Trattenere il respiro, ascoltare religiosamente si deve, e infine
ringraziare le dame pietose che l’hanno aiutato, non vogliamo sapere come,
a creare tanti capolavori» [G. F. Malipiero, Il filo di Arianna, 1966, p. 121]

Malipiero e la musicologia del suo tempo. «Nell’arte musicale s’incoraggia e si premia
solo il malinteso. Guai se si scoprisse che da quattro secoli la scrittura
musicale è precisa, chiara, raramente scorretta e che la musicologia è stata
inventata per intricare la matassa»
Le citazioni si trovano in: Ricordi e Pensieri Musica e Musicisti, in A.A.
V.V. L'opera di Gian Francesco Malipiero, 1952, pp.53, 333, 334.

Preludio: la presente impaginazione concertistica propone, usando ripetutamente la
tecnica del flashback, tre Concerti da camera di Antonio Vivaldi alternati
a Epodi e giambi e Sonata a quattro, opere che, fin dal titolo, evidenziano
l’amore di Gian Francesco Malipiero per il mondo antico. Il breve preludio
alla serata allarga ancora gli orizzonti: non solo qui entra in scena un
autentico strumento antico (la tiorba) ma vengono presentate due recenti
opere di Claudio Ambrosini in prima esecuzione assoluta. Non solo Vivaldi e
Malipiero, ma anche Kapsberger e Ambrosini vissero e vivono, fisicamente
e tramite la loro musica, a Venezia!

Johannes Hieronymus Kapsberger è un personaggio tanto misterioso quanto
dotato e esuberante. Chiamato anche ‘il Tedesco della tiorba’ (suo padre pare
fosse un ufficiale tedesco), è considerato uno dei principali compositori per tiorba
e uno sperimentatore senza pari. Le opere di Kapsberger che ascolteremo questa sera
vedono entrambe la loro prima esecuzione ‘in tempi moderni’: il manoscritto della
prima (Senza titolo) è conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana
di Roma, nei fondi Barberini; quello della seconda (Toccata I) presso
l’Archivio di Stato di Modena, nei fondi degli Estensi. Come scrive come
Sylvie Mamy, nella presentazione di un recente disco dedicato a questo
progetto, «Claudio Ambrosini immagina di aver scoperto un quaderno
manoscritto contenente alcuni brani di Kapsberger, che quest'ultimo non
avrebbe divulgato da vivo giudicandoli troppo avanzati per la sua epoca.»
Ambrosini gioca dunque a essere Kapsberger sia nell’ utilizzare la tiorba che
nei titoli arcaicizzanti (Tastata, Toccata). L’immaginario amoreggia con la
realtà, il presente con il passato.

Antonio Vivaldi Concerti RV 90, RV 94 'Del Gardellino', RV 107.
Nel 1720, durante il suo ultimo soggiorno a Mantova
Vivaldi si guadagnò il ruolo di «Maestro di Musica da Camera
del Langravio Philipp de Hesse-Darmstadt»:
aveva finalmente trovato la protezione aristocratica che gli mancava. Come a
tutti i compositori della sua epoca la vita della corte gli imponeva di servire i
mecenati e dunque di comporre opere convenienti a diverse circostanze:
balli, riunioni di amici, avvenimenti politici, ricevimenti importanti. Non si
deve pensare che tali forme occasionali costituissero episodi minori o ‘di
routine’, potevano anzi rivelarsi momenti di sperimentazione personale,
e dunque presentare significative innovazioni stilistiche. È possibile che
proprio a Mantova Vivaldi abbia sperimentato una nuova forma di concerto:
il concerto da camera. Non sono opere destinate alla pubblicazione, ma brani
scritti per ensemble ben definiti, come la cappella musicale di Mantova, o
le putte della Pietà, o ancora i musicisti della cappella sassone. Il fatto che
queste composizioni cameristiche, mai pubblicate quando Vivaldi era in
vita, siano giunte fino a Dresda e a Parigi, rende probabile che si trattasse di
opere molto note nelle corti europee. L’organico strumentale è composto da
un flauto (dritto o traversiere), un oboe, un violino, un basso e il continuo.
Il traversiere entrò probabilmente in uso a Venezia attraverso gli ambienti
germanici, dove era molto diffuso, come appunto la corte di Mantova,
allora posta sotto la protezione degli Asburgo e governata da un langravio
tedesco. Sono una ventina i concerti conosciuti che possono essere posti
nella categoria concerto da camera, per la maggior parte conservati nel
fondo Giordano a Torino, in forma autografa. Secondo Michael Talbot
«non vi sono altri esempi del genere in Italia». In un concerto da camera
tutte le parti sono obbligate e suonano all’unisono solo per produrre un
particolare effetto timbrico. Non è sempre semplice distinguere un concerto
da camera da altri tipi di musica da camera: il Trio RV84 ad esempio viene
citato da alcuni autori come un concerto e da altri come una sonata, dato
che il manoscritto originale è privo di indicazioni. Di fatto – come anche
nella produzione coeva di Bach – intorno al 1730 la scrittura che si ispirava
alla forma del concerto stava trovando la sua strada in molti distinti generi
strumentali, dalle invenzioni a due parti fino a fughe corali e strumentali.
Unendo le esperienze del concerto solistico e del concerto grosso Vivaldi
affronta la problematica dell’abolizione del solista nel Concerto ripieno,
rinunciando dunque ad un elemento essenziale della forma: l’utilizzo
di una strumentazione che ponga in contrasto diversi volumi sonori per
caratterizzare l’alternanza fra il Solo e il Tutti. Lo schema è quello della
forma-ritornello, dove i ritornelli sono quasi sempre eseguiti da tutti gli
strumenti mentre nei Solo emergono strumenti singoli. Talvolta i ritornelli
sono strutturati come nelle Sonate a tre: in tal modo le opere appartenenti
a questo gruppo risultano forme ibride fra la musica orchestrale e quella da
camera, pur essendo il più delle volte titolate ‘Concerto’. Secondo Walter
Kolneder troviamo sostanzialmente tre tipologie di concerti da camera: un
primo modello (ad esempio il Concerto RV92) contrappone un ritornello
(generalmente esposto per intero all’inizio, poi abbreviato) ad assoli dei
diversi strumenti solisti, mantenendo la dialettica solo-tutti. Si può delineare
un secondo modello (ad esempio il Concerto RV103) dove un solo strumento
(quasi sempre il traversiere) acquisisce un ruolo solistico predominante.
In un terzo modello (ad esempio nel Concerto RV105) il ritornello diventa
un elemento formale di notevole importanza nel quale i singoli episodi
sono già affidati ai solisti o a coppie di strumenti associati timbricamente.
L’elemento concertante è dunque entrato nel ritornello, dandogli luce con
la diversità dei timbri ma, in sostanza, anche dissolvendolo. La brevità delle
proposizioni musicali alternativamente affidate ai vari gruppi solistici rende
questa forma assai simile a un concerto grosso. Anche se i movimenti veloci
dei concerti da camera di Vivaldi fanno tutti uso della struttura a ritornello,
il materiale melodico viene ripetuto in forma selettiva, in alcuni casi
presentandolo nella sua forma completa solo all’inizio del movimento. Per
superare semanticamente l’alternanza fra solisti e orchestra nell’esprimere
la distinzione fra solo e tutti Vivaldi iniziò a sostituire la ripetizione del
da capo della prima sezione dell’aria con una sezione che ritorna alla
tonalità d’impianto, composta espressamente. Alcuni concerti da camera
presentano infatti cambiamenti di strumentazione nei dintorni dei ritornelli
e degli episodi solistici, traslando il necessario momento di contrasto fra
questi elementi sul piano delle caratteristiche melodiche e armoniche: i
temi dei ritornelli, energici e fortemente caratterizzati diventano dunque
punti di riposo armonico, mentre i soli, spesso virtuosistici, basati su
sequenze modulanti, consentono frequenti cambi tonali. La notevole
variabilità formale espressa nel corpus dei concerti da camera, dimostra con
quanto impegno Vivaldi affrontasse i problemi e le possibilità strutturali
del Concerto per solisti senza orchestra. Organici così intimi suggerivano
talvolta al compositore tempi centrali assai brevi ma molto intensi ed
espressivi, tipicamente presenti nelle Sonata a tre, spesso affidati ad un
solo strumento solista. In simili casi Vivaldi si volgeva evidentemente a
ricordare la propria produzione sonatistica degli anni giovanili. Secondo
Talbot: «le qualità che maggiormente possiamo ammirare nei concerti
da camera «sono le raffinatezze timbriche e l’intuizione del linguaggio
naturale di ciascuno strumento. Sono più prossimi alla moderna ispirazione
della musica da camera di qualunque altra composizione vivaldiana.»
Quanto Vivaldi tenesse a queste forme di concerto che potremmo definire
‘ibride’ o ‘sperimentali’ è testimoniato dal fatto che sia il Concerto RV9
‘Del Gardellino’ che il Concerto RV101, furono poi riadattati nella formula
del concerto solistico ed entrarono a far parte dello op. 10 «VI Concerti a
flauto traverso» pubblicati ad Amsterdam dall’editore Le Cène, nel 1729. Un
altro rilievo importante riguarda l’adagio del Concerto RV 94, che risulta
essere una versione abbreviata dell’Adagio del Concerto RV297 ‘L’inverno’
pubblicato anch’esso ad Amsterdam nel contesto dell’op. 8 «Il cimento
dell’armonia e dell’invenzione» nel 1725.

I Concerti di Antonio Vivaldi che ascolteremo questa sera sono stati per
la prima volta pubblicati nel periodo 1949/1952 a cura di Gian Francesco
Malipiero per Casa Ricordi.

Gian Francesco Malipiero Epodi e giambi.
Il brano fu scritto ad Asolo e terminato di comporre il 5 giugno 1932,
la dedica è «a Mrs. Elizabeth S. Coolidge» (1864- 1953), una delle più
importanti mecenati del suo tempo. Nel Catalogo annotato redatto da Malipiero
si legge: «Due strumenti a fiato e due ad arco.
Non è un problema però, come non lo è nella Sonata a cinque in cui
contro tre archi ci sono un flauto e l’arpa. La forma si avvicina a quella
dei quartetti, ma la varietà degli strumenti cambia il colore, anzi i colori,
occultando tutte le analogie con le altre mie opere da camera.» L’organico
strumentale, unendo il colore di due strumenti ad ancia doppia a quello
di due archi di tessitura medio-acuta favorisce il dialogare paritetico delle
voci. Ogni linea esibisce un preciso carattere melodico: asciutto e angoloso
nei tratti veloci che testimoniano irrequietezza e slancio ritmico pressante
e vigoroso; nudo e scarno dei momenti lenti, non di rado melanconici o
sofferenti, che spesso trasmettono quel tratto di orgogliosa solitudine
che è tipico del sentire malipieriano. Nel fluire del discorso musicale è
impossibile rintracciare alcun organismo armonico o timbrico formalmente
predeterminato; tutto pare avvenire nel rispetto del fluire dei ‘canti’, nel loro
naturale dialogare, quasi Malipiero desiderasse gelosamente preservarne
l’andamento autentico e spontaneo. Molto si è scritto sull’ascendenza
di questi canti: sulla loro origine gregoriana, sull’insistente oscillare fra
maggiore e minore, sulla loro fisionomia ‘declamatoria’, mettendo in luce
come in Malipiero l’eloquio dello strumento aspiri alla potenza espressiva
del dramma intonato dalla parola. Canti che – come suggerisce il titolo –
cercano il colloquio, la fraternità con gli antichi maestri, senza per questo
rinunciare ad una espressività autenticamente moderna.

Gian Francesco Malipiero Sonata a quattro. In merito alle
Fantasie di ogni giorno, opera per orchestra coeva alla Sonata a quattro,
John Waterhouse scrive che «nacquero davvero “sul fiume del tempo”,
come risultato del canto spontaneo di un autoriconosciuto “grillo canterino”
per cui il comporre era una necessità biologica giornaliera che non richiedeva
giustificazioni esterne».
Osservazione importante che segnala la raison d’être di molta musica
composta nel corso degli ultimi vent’anni della vita del compositore
veneziano. La Sonata a quattro si articola in una serie di episodi che si
susseguono senza soluzione di continuità. Le prime 66 battute tuttavia,
essendo differenziate tematicamente e nel tempo, possono essere
considerate una sorta di ‘primo movimento’ che Waterhouse considera
«decisamente superiore alle altre sezioni» per l’incisività dei motivi, variati
incessantemente e con sapienza; per la vivacità dei contrasti timbrici;
per le pregevoli ‘distorsioni’ cromatiche che ampliano le prospettive del
diatonismo. Nel prosieguo del brano il tema iniziale di tale ipotetico ‘primo
movimento’ riappare spesso, giustapponendosi ad altri spunti melodici
quasi mettendo in atto lo schema del rondò. Il brano ben sfrutta i caratteri
proprî di ogni strumento, spesso contrapponendoli tra loro con gusto
raffinato, con gestualità eloquente; mettendo in atto quel «conversare»
che costituisce la più importante caratteristica estetica del mondo sonoro
malipieriano. Secondo János Maróthy (Malipiero e gli aspetti della
sua contemporaneità, in Quaderni di Musica/Realtà 3, 1982) «Quando
ascoltai la Sonata a quattro di Malipiero fui doppiamente sorpreso. In
primo luogo, in quanto quest’opera era ricca di cambiamenti improvvisi
e apparentemente rapsodici, sia orizzontalmente che verticalmente.
Informale quanto poteva esserlo. In secondo luogo e esattamente al
contrario, fui sorpreso di quanto fosse sistematicamente composta, dalle
più piccole fino alle più grandi unità.»