Concerto 3
Lunedì 28 novembre 2022 ore 20.00
Gran Teatro La Fenice
Sale Apollinee
DANZE E CANTI
Ex Novo Ensemble
Daniele Ruggieri flauto
Davide Teodoro clarinetto
Carlo Lazari violino e viola
Carlo Teodoro violoncello
Aldo Orvieto pianoforte
Konstantia Gourzi (1962)
Melodies from the sea op. 86 (2020)
per viola, pianoforte e piccole
percussioni
-Wave
– Turtle
– Iceberg
– Clouds
– Whale
– Reflections
– Lighthouse
PRIMA ESECUZIONE ITALIANA
Erwin Schulhoff (1894-1942)
Sonata WV 86 (1927) per flauto e
pianoforte
- Allegro moderato
– Scherzo: Allegro giocoso
– Aria: Andante
– Allegro molto gajo
Corrado Rojac (1968)
Polvere e pece (2020)
per violino, violoncello e pianoforte
Igor Stravinskij (1882 - 1971)
Tre Pezzi per clarinetto (1919)
Emanuele Casale (1974)
Canti perduti di Sicilia (2022)
per flauto
-- Barca sola, luce
– Sole ride, sorride
– Cuore non muore, canta
– Idea del merlo, silenzio
Commissione Ex Novo Musica
prima esecuzione assoluta
Roberto Gottipavero (1959)
Visioni elegiache (immagine musicale)
(2015) per clarinetto violino e
violoncello
Béla Bartók (1881-1945)
Danze popolari rumene SZ 56 (1915,
trascrizione di Zoltán Székely
autorizzata dall’Autore, 1926)
per violino e pianoforte
- Joc cu bâta (Allegro moderato)
– Brâul (Allegro) – Pê-loc (Andante)
–Buciumeana (Moderato)
– Poarga româneasca (Allegro)
– Maruntel (Allegro)
“Posso dire che il tempo impiegato in questo genere di lavoro è il più bello della
mia vita e non lo cambierei con nessun’altra cosa al mondo.” Questa
fu la risposta di Béla Bartók a chi lo interrogava riguardo i suoi viaggi di
ricerca sulla musica popolare. Lo studio di melodie ungheresi, slovacche,
romene, slave, ucraine, bulgare, serbe, turche, arabe e, durante gli anni
dell’esilio negli Stati Uniti, degli indiani d’America lo portarono ad una
sorprendente convinzione: le similitudini tra le musiche di villaggi isolati
da influssi esterni distanti anche migliaia di chilometri, sono forti: lo stile
declamato, le radici modali, le strutture ritmiche sempre ricorrono. Mai tali
canti erano fondati sui modi maggiore e minore tipici della musica dell’Eu-
ropa Occidentale. Dunque sono forme spontanee e costitutive del sentire
umano, come sappiamo dagli studi di Claude Levi-Strauss il quale affianca
la musica al mito che è dell’uomo in quanto specie ed è il racconto delle
origini che ogni gruppo conserva per identificarsi.
Vi è una sostanziale divaricazione tra questa ricerca di una nuova lingua
madre e l’uso di elementi popolari nella musica occidentale così frequente
in età romantica. Persino Dvòràk compone le sue melodie, non le trascrive,
non le rielabora, semplicemente intende cogliere il sapore del canto popo-
lare. Nel Trio Dumky (la parola significa meditare, riflettere) abbiamo un
esempio importante di una forma musicale permeata da una profonda
malinconia, ma inframmezzata da sezioni serene, giocose, energiche.
Vi è sicuramente in Dvòràk un autentico desiderio di ripensare in chiave
colta lo spirito degli antichi cantastorie slavi. Siamo però molto lontani
dalle visioni di Nietzsche che coglie nella musica l’autentica espressione
dell’uomo nella sua integrità, avversando la filosofia di Socrate e la logica
aristotelica nella quale il rigore umiliava la spontaneità istintuale qualifi-
candola come primitiva, rozza, barbara. Quando Zaratustra scende dalla
montagna e invita a “tornare alla terra” vuole ispirarci a Dioniso, il dio delle
feste, delle danze, del vino, per farci godere con felicità la vita nella sua
pienezza.
Un po’ le stesse considerazioni le troviamo in una lettera di Erwin Schul-
hoff ad Alban Berg: “ho periodi durante i quali passo intere notti ballando
... per puro godimento del ritmo e con il mio subconscio pieno di piacere
sensuale ... acquisisco un’ispirazione fenomenale per il mio lavoro, poiché
la mia mente cosciente è incredibilmente terrena, persino animale per così
dire”. La più misteriosa delle arti, la musica, appare spesso la più adatta alla
ricerca quasi mistica di questa luce presente in tutte le culture e espressa
in infinite forme in ogni tempo e luogo.
Konstantia Gourzi Melodies from the sea Ho sperimentato la bellezza e la forza del mare
da bambina in Grecia. Spesso rimango per delle ore sulla riva per sentirne
il suono, per osservarlo e rendermi conto della infinita varietà di vita che
contiene, della sua immensa bellezza. Ognuna delle sette miniature di cui
è composto il brano racconta il mondo sonoro di un mio intimo momento
di osservazione concentrata sul mare. Vuol essere un monito agli esseri
umani a riflettere sulla necessità di una grande attenzione verso di esso. A
causa della nostra trascuratezza le onde portano a riva spazzatura, tartaru-
ghe marine senza vita; gli iceberg si sciolgono e le balene perdono il loro
orientamento. Come possiamo trovare una condotta virtuosa che ci induca
ad abbandonare questo circolo di distruzione e ci indichi il sentiero per
una vita armoniosa? Ogni miniatura sviluppa il suo peculiare mondo dram-
maturgico che i due solisti sono invitati a realizzare attraverso un percorso
di azioni/reazioni. Pur conservando un percorso musicale indipendente i
musicisti realizzano una spontanea e ben strutturata complementarietà in
un perpetuo processo di sviluppo dell’energia sonora. (Konstantia Gourzi)
Corrado Rojac Polvere e pece Quando mi è stato chiesto di scrivere un brano ispirato alla
musica popolare, ho subito pensato al Trio Dumky di Antonin Dvòràk.
Di esso mi hanno sempre colpito alcuni passaggi, che rappresentano il
fulcro da cui nasce la composizione. Essi sono caratterizzati da quattro
armonie che ho tentato di rappresentare trasformandole in echi lontani. A
sostenerle è principalmente il pianoforte, con le sue lunghe risonanze. Le
risonanze sono eccitate da alcune tecniche pianistiche molto comuni alla
musica contemporanea, quali ad esempio il pizzicare le corde o graffiarle;
tecniche che contraddistinguono le quattro parti in cui si articola il brano.
Gli strumenti ad arco enfatizzano la parte pianistica, anch’essi partecipi di
tecniche “alternative” - tecniche che ormai si fatica a definire tali, vista la
notevole presenza di esse nell’opera di diversi compositori a noi contem-
poranei. La definirei una musica notturna, in cui prende forma un mondo
perduto, influenzato dal Tardoromanticismo musicale d’impronta slava.
L’affiorare di ricordi non può scindersi dalla dimensione in cui si formano:
ecco che le sognanti improvvisazioni del pianoforte sono, in un certo
senso, manifestazioni dell’inconscio, come le parole che mi hanno accom-
pagnato durante la scrittura del brano e che ho voluto far pronunciare agli
interpreti. Il titolo evoca le sensazioni avute durante i momenti in cui ho
immaginato il brano: la polvere che ricopre le ingiallite partiture ottocen-
tesche e la pece che si libra nell’aria quando gli archi sfregano le corde.
Nell’evento dell’ascolto, durante il rito del concerto, il brano crea un’at-
mosfera sospesa, di attesa, che mi sembra riveli una mia nuova, personale
vena creativa. (Corrado Rojac)
Emanuele Casale Canti perduti di Sicilia Nel 1954 l’etnomusicologo Alan Lomax comincia
a girovagare per la Sicilia con lo scopo di registrare gli antichi canti popolari
in via d’estinzione. Poco più tardi, la rapida e gigantesca espansione dei
mass media avrebbe siglato la condanna a morte di quelle musiche incon-
suete tramandate per tradizione orale. Nel pieno periodo della pandemia,
cominciai a riascoltare le vecchie registrazioni di Lomax per entrare ancor
più in simbiosi con quel mondo arcaico. Da qui l’idea di scrivere i Canti
perduti di Sicilia per flauto solo, quattro brani che non sono trascrizioni
o rielaborazioni di qualcosa di preesistente, ma nascono da libere ispira-
zioni dei miei ascolti e tentano di ritrovare il senso di ciò che è perduto. La
concezione di questa musica è post-classica, quindi distante dai dettami
del modernismo e delle avanguardie. (Emanuele Casale)
Roberto Gottipavero Visioni elegiache Si tratta di un breve lavoro cameristico, in un
unico movimento, che fonde le vibranti sonorità dei due strumenti ad
arco con quella duttile e penetrante del clarinetto, in un intreccio tematico
essenziale, quasi contrappuntistico. Le dissonanze non sono mai esaspe-
rate, se non nei punti culminanti dove la tensione porta gli strumenti ad
abbandonare il clima elegiaco iniziale e finale dell’opera. La melodia prin-
cipale, introdotta dal clarinetto, ruota intorno ad una nota con melismi e
mutazioni cromatiche tipiche dell’improvvisazione pastorale, da cui trae
i suoi riferimenti popolari, tornando più volte con piccole variazioni e
trasposizioni timbriche. La forma ciclica del brano accompagna facilmente
l’ascoltatore verso il finale, che converge su un unico suono tenuto, quasi
in dissolvenza. (Roberto Gottipavero)