Concerto 14


Sabato 8 dicembre 2018, ore 18.00
Teatrino di Palazzo Grassi



CON LEGGEREZZA PENSOSA
Con il sostegno di SIAE-Classici di Oggi





Ex Novo Ensemble

Daniele Ruggieri flauto
Davide Teodoro clarinetto
Carlo Lazari violino
Mario Paladin viola
Carlo Teodoro violoncello

Guido Turchi (1916-2010)
Trio (detto di Fra' Jacopino)(1945)
per flauto, clarinetto e viola
Fantasia-Fugato-Rondò

Giorgio Federico Ghedini (1892-1965)
Canoni (1946)
per violino e violoncello

Bruno Maderna (1920-1973)
Stänchen für Tini (1972)
per violino e viola

Armando Gentilucci (1939-1989)
Epitaffio per Cesare Pavese (1967)
per clarinetto, violino e violoncello

Elliott Carter (1908-2012)
Con leggerezza pensosa (1990)(Calvino)
per clarinetto, violino e violoncello

Stefano Bellon (1956)
Innere Stimme, Takt NummerZwanzig
per clarinetto basso, violino, viola e violoncello
Prima esecuzione assoluta
Commissione Ex Novo Musica


Fausto Romitelli(1963-2004)
Domeniche alla periferia dell'impero (1995/96)
per flauto basso, clarinetto basso, violino e violoncello
Prima domenica



Con leggerezza pensosa

Guido Turchi nasce a Roma nel 1916. Studia al Conservatori di Santa Cecilia diplomandosi in pianoforte e successivamente in composizione nella classe di composizione di Ildebrando Pizzetti. Saltando a piè pari il legame che lo legava alla tradizione ottocentesca, le sue composizioni si rivolgono piuttosto a fonti precedenti, come il gregoriano, il neo-madrigalismo con influenze debitrici dello stile di Petrassi, Bartók e Hindemith. Il suo linguaggio si avvicina a volte al sistema dodecafonico anche se non lo accetta mai in toto. Il Trio (detto di “Fra' Jacopino”)(1945) è un lavoro giovanile presentato al Festival di Venezia nel 1946. Ecco l'avvertenza dell'autore: “Fra' Jacopino” è il titolo di un'antica canzoncina popolare. Due battute iniziali di essa servirono a Frescobaldi per manipolare uno di quei suoi portentosi capricci e precisamente quello sull'aria di Ruggero. Nel mio Trio codesto inciso non svolge un ruolo conduttore né tanto meno ha funzioni formali; resta piuttosto sempre allo stato di citazione, come una specie di richiamo melodico che coordina il discorso musicale e nel medesimo tempo lo sollecita e sospinge: per simile ufficio esso subisce spesso deformazioni ritmiche senza perdere beninteso la sua fondamentale struttura accentuativa, come dire la sua individualità. In poche parole: Fra' Jacopino è stato un pretesto per far musica.

Proprio degli stessi anni sono i Canoni (1946) di Giorgio Federico Ghedini, ma in questo caso si tratta di opere che, come in una sorta di corollario privato, affiancano le composizioni dell'età matura dell'autore, come il Concerto dell'albatro (1945) o il Concerto funebre per Duccio Galimberti (1948) tutti lavori che gli porteranno una grande notorietà. Ghedini si era formato al Conservatorio di Torino e al Liceo Musicale di Bologna e successivamente insegnò a Torino, Parma e Milano armonia e contrappunto, maestria di cui si sente l'eco anche in pagina caratterizzata appunto dall'audace e sapiente scrittura contrappuntistica.

Bruno Maderna viene avviato alla musica dal padre Umberto Grossato, musicista d'intrattenimento che gli trasmette i primi rudimenti musicali. A soli sette anni si esibisce come violinista e direttore d'orchestra. Nel 1940 si diploma in composizione a Santa Cecilia e in quegli stessi anni inizia la frequentazione con Malipiero da cui eredita l'interesse per la musica antica e la polifonia rinascimentale. Compositore e direttore coltissimo e importantissimo purtroppo mancato precocemente, lascerà un solco incancellabile nella musica del Novecento pur conservando quel tratto leggero presente in ogni nota della sua opera, ereditato probabilmente sin dall'infanzia, e evidente anche in questa breve e lievissima Stänchen für Tini.

Dedicato a un grande scrittore italiano, Cesare Pavese, è il lavoro di Armando Gentilucci, Epitaffio per Cesare Pavese (1967). Dopo gli esordi compositivi influenzati dalla poetica di Bartók, Varèse e Ives il percorso artistico di Gentilucci è connotato da un notevole impegno ideologico e da precise scelte materiche che sfociano in brani molto significativi, uno su tutti Cile '73. Di questo stesso periodo è l'Epitaffio per Cesare Pavese dove il lirismo flessuoso della linea si arricchisce sconfinando in tratti di alea controllata e dove il fine controllo timbrico si canalizza nella ricerca di un'espressività tesa e sofferta.

Questo concerto nasce da una citazione di Italo Calvino - dedicatario della composizione di Elliott Carter Con leggerezza pensosa - tratta dalle sue Lezioni americane : “spero innanzitutto d'aver dimostrato che esiste una leggerezza della pensosità, così come tutti sappiamo che esiste una leggerezza della frivolezza; anzi, la leggerezza pensosa può far apparire la frivolezza come pesante e opaca”. Ecco io credo che nel caso di questo lavoro del grande compositore americano Elliott Carter la musica dimostri che la complessità può e deve parlare la lingua della leggerezza.

Innere Stimme: Takt Nummer Zwanzig. Nella sola ottava pagina dell'Umoreske op. 20 di Schumann appare improvvisamente un terzo pentagramma di ventiquattro battute, inserito tra i due di mano destra e sinistra. Con la dicitura "Innere Stimme" vi è notata una melodia che Non deve essere suonata o cantata dall'interprete ma a cui egli è tenuto evidentemente a riferirsi in qualche modo. S. non fornisce indicazioni al riguardo e le testimonianze coeve non aiutano a comprendere la funzione di una tale melodia. Non sembra che le ipotesi di natura interpretativa bastino a spiegare come e perché egli abbia avvertito la necessità di evocare con quel terzo rigo un elemento tanto misterioso: vi è segnata una melodia e questa melodia - che supponiamo dover tuttavia agire ad un qualche livello - non può, o non deve, essere resa manifesta. Perché? Soprattutto: chi ne è il destinatario ultimo? Chi sarebbe l'Altro cui S. intende dedicare una tale, specialissima attenzione? Lo sguardo di Lacan ci tornerebbe probabilmente utile, ma è forse più elegante accogliere la questione così come S. ha inteso lasciarcela in dono. Da qui nasce l'idea di scrivere una partitura in cui quella linea melodica viene finalmente rivelata, senza che tuttavia ne risulti tradita la natura più enigmatica e inconoscibile. Così, esasperando la durata d'ogni singola nota dell'Innere Stimme, similmente a quanto accade al Tenor della polifonia medievale, tutte le note appaiono qui espresse, lentissimamente vengono restituite all'ascolto, assumono corpo e vita, ma il loro senso complessivo non può essere fisicamente raccolto né rivelato. Innere Stimme nella versione completa ha la durata complessiva di un'ora e prevede un recitante, un quintetto da camera e un corposo live-electronics. Innere Stimme, Takt Nummer Zwanzig ne costituisce un estratto che affida al clarinetto basso il compito di investigare e commentare le suggestioni scaturite dall'immersione contemplativa nella battuta numero venti dell'originale di Schumann. Commissionato da Ex Novo Ensemble, il brano è dedicato con grata amicizia a Davide Teodoro.
[Stefano Bellon]

E infine Fausto Romitelli, compositore friulano morto a quarantuno anni nel 2004. La cui leggerezza è sempre presente nei continui richiami al rock alla popular music. Come in questa Prima domenica alla periferia dell'impero, dove in un procedere a ondate che si susseguono senza nessuna finalità narrativa, si giunge all'intrecciarsi continuo di linee sino a formare una polifonia statica quasi psichedelica, i cui unici piccoli ammiccamenti sembrano riferirsi a delle lontane echeggianti improvvisazioni.
[Daniele Ruggieri]


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