Concerto 12


Domenica 2 dicembre 2018, ore 18.00
Teatrino di Palazzo Grassi

CAPRICCIO DIABOLICO
Con il sostegno di SIAE-Classici di Oggi




Daniele Ruggieri flauto
Alberto Mesirca chitarra

Francesco Pennisi (1934-2000)
Meliès (1990)
per flauto e chitarra

Mario Castelnuovo Tedesco (1895-1968)
Capriccio diabolico op. 85a (1935)
per chitarra

George Rochberg (1918-2005)
Muse of fire (1889-1990)
per flauto e chitarra

Giacinto Scelsi (1905-1988)
Pwyll (1954)
per flauto

Goffredo Petrassi (1904-2003)
Nunc (1971)
per chitarra

Gianmartino Durighello (1961)
Shuvah Adonaj (2018)
per flauto in sol e chitarra
Prima esecuzione assoluta
Commissione Ex Novo Musica

Claudio Ambrosini (1948)
Ciaccona in labirinto (1995)
per chitarra

Claude Debussy (1862-1918)
Sirinx (1912)
Per flauto solo

Mauro Giuliani (1781-1829)
Grand Potpourri op. 53
per flauto e chitarra


Francesco Pennisi Méliès. Nelle parole dello stesso Pennisi “due artisti del primo '900 con cui mi sento in stretta relazione sono Debussy e Webern, sebbene possa sembrare una contraddizione. Con il primo ho in comune la ricerca timbrica, il colore del suono, che è diventato per me , soprattutto dopo quel periodo di crisi, un elemento costitutivo…in grado di ricreare una colloquialità, di suggerire nuove strutture. Con il secondo l'indagine sugli intervalli, il lavoro preconcettuale che nella musica comunque c'è; la mia è una musica di frammenti, che però vuole una sua coerenza. La tecnica può essere frammentaria, la tecnica cioè del mosaico, ma il momento dell'ascolto è l'organica percezione di una costruzione assolutamente coerente. La saldatura a volte sfugge anche a me stesso: ma c'è…A me stesso riesce difficile analizzare le mie partiture, almeno in senso strutturalistico. Il che non significa che manchino di struttura: che dire? Come Debussy, si parva licet, amo nascondere i puntelli che sorreggono la costruzione. Ma il nascondimento non è l'assenza.” Méliès per flauto e chitarra, composto nel 1990 è stato subito ripreso da Pennisi e inserito come punto culminante dell'opera Esequie della luna, composta 1991, nella quale si immagina che la luna precipiti una notte in una sperduta contrada siciliana. La scelta di commentare visivamente la scena principale dell'opera con la riproduzione del film Voyage dans la lune scaturisce dalla predilezione di Pennisi per la cinematografia di Méliès, al cui nome è dedicato il pezzo di questa sera. L'introduzione del geniale cortometraggio - uno degli incunaboli del cinema realizzato nel 1902 - proprio in corrispondenza con il climax delle Esequie non deve sorprendere: la rappresentazione umoristica della luna come grande torta zuccherata, che fa risaltare l'estro corrosivo del cineasta Méliès, ritrova per questa via l'attitudine ludica di Pennisi; l'evento tragico della caduta della luna è così depotenziato dalle risonanze più angosciose, e il momento di più intenso turbamento sonoro ed emozionale viene filtrato da Pennisi con ironia. Sia il flauto (già protagonista come solo in Eclisse a Fleri per orchestra, altro pezzo di ispirazione lunare) sia la chitarra (strumento a pizzico dal suono “corto e per questo privilegiato dal compositore) hanno un ruolo essenziale solo in questa parte dell'opera, dove contribuiscono a produrre una suggestione lunare; peraltro “cessano di suonare quando cade la luna. Il loro suono, la loro presenza finisce lì.”

Mario Castelnuovo Tedesco è stato un compositore ben affermato in Italia fino alla forzata emigrazione negli Stati Uniti causata delle leggi razziali del 1938. Nell'estate del 1939 si stabilì in California dove divenne un autore di colonne sonore per il cinematografo di grande successo ad Hollywood. Fu anche un prolifico autore di musica orchestrale e cameristica, ed è di particolare rilievo la lunga collaborazione che ebbe con Andrés Segovia che portò alla composizione di quasi cento brani per la chitarra. Il Capriccio diabolico op 85 fu composto nel 1935 ed è sottotitolato Hommage a Paganini. Il riferimento diabolico del titolo infatti fa riferimento alla leggenda che vuole che Paganini avesse venduto l'anima al demonio per ottenere il suo trascendentale virtuosismo violinistico. Il pezzo, in un solo movimento, ha un carattere rapsodico caratterizzato da due principali figure: delle ottave discendenti drammatiche e improvvise vengono interrotte da una tenera melodia accompagnata, che descrive il tentativo di Paganini di rompere il patto e ottenere l'assoluzione. Alla fine, dopo diverse citazioni dalla Sonata e dai Capricci per violino solo, l'irruzione del famoso tema La Campanella dal Secondo Concerto per violino rappresenta l'indiscutibile vittoria del Diavolo.

George Rochberg Muse of fire. La poetica di George Rochberg si impernia su una personale dicotomia stilistica fra tonalità e atonalità, compresenti spesso nella stessa opera, ed entrambe voci di un'urgenza espressiva di assoluta originalità. Muse of fire è stato scritto come Nach Bach II - Ora pro nobis, l'altro pezzo di Rochberg per lo stesso organico, nel giro di due anni (1989-1990) segnati dalle tensioni politiche della Guerra del Golfo. Non a caso Muse of fire cita nel titolo il verso del coro con cui si apre l'Henry V di Shakespeare. È un prologo che invita il pubblico a sopperire con l'immaginazione ai mezzi della rappresentazione teatrale degli spazi e dei suoni di una terribile guerra. Si spiegano così i gesti perentori, i richiami militareschi, le evocazione di marce funebri, gli squarci lirici e sognanti e le parentesi rapsodiche che compongono il complesso puzzle di questo ininterrotto movimento , la cui struttura è assicurata da un accorto disegno di sviluppi e rimandi.
[G. Cestino]

Giacinto Scelsi. Pwyll è il secondo dei pezzi di Scelsi per flauto solo, ed è stato composto nel 1954. Una corrente ansiosa attraversa e avvolge tutto il pezzo nel suo insieme e, a parte alcuni elementi melodici contrastanti dall'andamento lento e di ambito intervallare più ristretto, la musica consiste essenzialmente di una serie di gruppi compatti di suoni caratterizzati da ritmi eccitati e un ampio carattere melodico, distanziati da pause più o meno lunghe. Ne risulta quindi un'alternanza fra figure di richiamo opposte a linee melodiche larghe ed espressive. Solo nel finale questi due elementi vengono combinati insieme, nel ritmo, nelle durate, e nella struttura intervallare. La costellazione formata dalle note appartenenti all'ambito di terza minore fa sol la bemolle è sottoposta a una costante variazione, entra in tensione con i suoni vicini e procede espandendosi fino all'estensione di una decima. In un commento attribuito a Scelsi il pezzo dovrebbe “suggerire l'immagine di un sacerdote che evoca gli angeli all'alba”, e questo si può ravvisare nel carattere di richiamo delle strutture veloci, associato a quello meditativo di quelle più lente. Il titolo, anche se come spesso in Scelsi non si può affermare con certezza, dovrebbe fare riferimento al nome di un Druido celtico.

Goffredo Petrassi Nunc, composto nel 1971 mostra una grande consapevolezza delle risorse della chitarra e un'audacia tutta petrassiana nel rapportarsi con il passato. Il termine latino “nunc” significa “ora”, “in questo momento”, “adesso” e ben si attaglia a un brano ricco di sussulti, in molti modi dichiaratamente teatrale, legato più di altri all'intensità della performance. Il titolo lascia poi scoprire tutta la propria dialetticità quando, poco prima della sezione conclusiva, emerge nitida la citazione dal finale del­l'Otello di Verdi («E tu, come sei pallida! e stanca, e muta, e bella...»). Nunc vive di contrapposizioni con il passato, con la tradizione melodica italiana così chiaramente evocata e si avvale di un totale cromatico di partenza non serializzato e di una struttura formale piuttosto nitida: tre sezioni senza metro, in tempo libero e lento, vengono incastonate tra due episodi in tempo rapido, con una pulsazione metrica assai simile. Aumentano le indicazioni espressive e per il modo di attacco; si fa strada il vibrato che diviene modalità centrale e caratterizzante del pezzo. D'altronde, aumenta anche il numero degli effetti e delle sonorità, mai però usate quale mero espediente timbrico, ma sempre e comunque al servizio di esigenze espressi­vo- formali. Se Suoni Notturni si mantiene entro i poli di una certa algidità e distanza emotiva, Nunc affonda il colpo, ricercando un surplus di tensione culminante proprio nell'esplicitazione del famoso tema verdiano che emerge dalle rapide figurazioni della seconda sezione veloce e scompare quasi interrotto dalle percussioni sulla cassa armonica [C. Pessina, Goffredo Petrassi e la chitarra, «Il Fronimo», xxi, n. 82, 1993, p. 12]

Shuvah Adonaj è una suite mistica per flauto traverso in Sol e chitarra su temi della tradizione ebraica sinagogale e popolare scritta per Daniele Ruggieri e Alberto Mesirca. La suite è articolata in tre quadri, Qinah, Shir, Machol (lamento, canto e danza).Shuvah Adonaj (ritorna, Signore) è l'invocazione che nel salmo 6 il profeta Davìd rivolge a Dio mentre è prostrato dalla malattia. Le parole di Davìd diventano voce di tutto Israèl disperso e oppresso nell'esilio. Proprio per questo l'autore ha scelto di utilizzare in questa suite temi provenienti da diverse tradizioni dell'Europa occidentale e orientale. Il primo quadro, Qinah (lamento) muove da una intonazione sinagogale per Ekah jashevah vadad, (le Lamentazioni di Geremia) che apre ad un canto a due voci (Hannenû Adonaj hannenû - Misericordia di noi, Signore, misericordia). e quindi ad una vivace danza popolare. Dalla sinagoga alla vita quotidiana. Nel secondo quadro (Shir - canto) è dato spazio appunto al canto di una comunità cresciuta fuori di Eretz Israel (della terra di Israele), Arbolera, nella trascrizione di Alberto Mesirca. Dopo un richiamo ai temi della prima parte, il terzo quadro, Machol, riprende la danza che aveva chiuso il primo quadro, a dare vita ai sentimenti di forte speranza e fiducia in Adonaj, che non abbandona mai il suo popolo: Shuvah Adonaj, Ritorna Signore!
[Gianmartino Durighello]

Claudio Ambrosini Ciaccona in labirinto A partire dalla metà degli anni Settanta, in particolare dai Tre studi sulla prospettiva (1973-74) ho riservato uno strumento, la chitarra, all'analisi del rapporto palese con la storia. Non avrei potuto farlo con altri, come il pianoforte per esempio, nato relativamente tardi. La chitarra, e prima la vihuela, invece sì: la sua linea evolutiva attraversa non pochi secoli. Ma questa riflessione sulla storia, le sue forme, i suoi modi di fraseggiare, di costruire, di produrre il suono doveva però sottostare all'impostazione inaugurata con quei Tre studi: amare sì l'antico, farlo (ri)vivere; non in senso nostalgico però, ma prospettico. Guardando indietro cioè, con curiosità e affetto, ma da qui, dall'oggi, con la coscienza del tempo trascorso e degli avanzamenti tecnici e teorici intervenuti nel frattempo. Ne sono nati diversi lavori, tra cui questa Ciaccona in labirinto in cui un tema originale, ma di sapore rinascimentale, viene fatto vagare passando attraverso una serie di possibili avanzamenti e smarrimenti: perdere e ritrovare, tornando perennemente all'inizio, ma arricchito di nuove modalità. Scritta nel 1995 e dedicata a Liliana Randi, questa Ciaccona è stata presentata la prima volta con il nome di Ciaccona del Giglio all'Ateneo Veneto nel 1996, in occasione della posa di una lapide dedicata a Pietro Aretino.
[Claudio Ambrosini]

Claude Debussy. Gli studiosi hanno cercato di definire Debussy come simbolista, espressionista o impressionista, ma il compositore scherniva così tutte queste definizioni in una lettera al suo editore Durand: “Sto cercando di fare qualche cosa di differente - in un certo modo mi interesso della realtà - cosa che gli imbecilli chiamano Impressionismo.” Debussy trasformò radicalmente l'arte musicale con nuove armonie, un fine senso interiore del ritmo e con il contrasto fra la fluidità del suo stile e la rigidità dei modelli accademici del suo tempo. Debussy ha creato una sintassi musicale nuova e personale trasgredendo le regole di successione degli accordi, permettedosi accostamenti imprevedibili e divertendosi con aggregazioni di suoni significative e sorprendenti.
Il breve pezzo Syrinx fu composto come musica di scena per il dramma Psyché di Gabriel Mourey, rappresentato nel dicembre 1913. In realtà fu così battezzato dall'editore Jobert nel 1927 per evitare la confusione che il titolo originale di Debussy - La Flûte de Pan - avrebbe potuto generare con un pezzo per voce e pianoforte dallo stesso titolo; nelle intenzioni di Mourey e Debussy, Syrinx è concepito come l'ultima melodia suonata da Pan prima di morire, e accompagna la prima scena del terzo atto del dramma. In scena due ninfe danzano e dialogano, affascinate dai suoni avvolgenti del flauto. Una delle due ninfe è spaventata dalla forza dell'incantesimo evocato dalla musica del dio, mentre l'altra, già seguace del dio, ne vince la ritrosia e la convince ad entrare alla fine nella grotta di Pan, proprio quando questi muore. Per quanto breve questa opera di Debussy è molto coinvolgente, tenera e melanconica. Attraversata da delicati arabeschi e ritmi irregolari insiste spesso nel caldo registro grave e giunge ad avere un carattere quasi improvvisativo.

Mauro Giuliani nacque a Bisceglie, vicino Bari, nel 1781. Dopo una formazione iniziale della quale non ci sono giunti particolari, si trasferì a Vienna nel 1806, dove in breve tempo fu considerato come il miglior chitarrista in una città dove questo strumento era già molto popolare. Divenne amico di molti fra i più importanti musicisti vienna del momento come Beethoven, Schubert, Mayseder, Moscheles e Diabelli e compose un importante corpus di composizioni per chitarra, fra i quali uno dei primi esempi di Concerto per chitarra e orchestra. Nel 1819 tornò in Italia, sembra per sfuggire ai creditori, e passò i suoi ultimi anni fra Roma e Napoli. Una parte significativa delle composizioni per chitarra pubblicata a Vienna nel periodo Bidermeier fu musica da camera, nella quale la chitarra è impiegata con un ruolo concertante o di mero accompagnamento. La grande diffusione di cui godette questo strumento fu dovuta anche alla capacità di fornire un accompagnamento armonico alla voce o a uno strumento melodico facile da utilizzare negli abituali contesti musicali della musica da salotto, e l'organico di violino e chitarra o flauto e chitarra fu senz'altro uno fra i più popolari. Il grande Potpourri op 53, pubblicato nel 1814, fonde in modo armonico, e in qualche modo curioso e imprevedibile per noi ascoltatori moderni, melodie originali, citazioni dalle opere dei più grandi compositori e melodie popolari. L'apertura del pezzo è una citazione dalla Sinfonia del Don Giovanni di Mozart, opera da cui è presa anche nel seguito la melodia dell'aria Fin ch'han del vino. La musica di Giuliani risplende di uno squisito fascino viennese, anche se si differenzia dalla tipica musica da camera del periodo: il flauto è naturalmente in primo piano nella presentazione delle melodie, ma anche la chitarra ha diversi assoli, e questi sono spesso di gran lunga troppo difficili per le capacità di un comune dilettante, suggerendo l'idea che il pezzo sia stato composto pensando allo stesso Giuliani come esecutore. A tratti sfoggia passaggi di bravura rossiniani che avranno sicuramente colpito gli ascoltatori dei circoli relativamente conservatori a cui queste musiche erano destinate.
[Daniele Ruggieri]


HOMEPAGE