Concerto 5


Venerdì 9 novembre 2018, ore 20.00
Gran Teatro La Fenice, Sale Apollinee

INNERE STIMME

Con il sostegno di SIAE-Classici di Oggi

Ex Novo Ensemble

Daniele Ruggieri flauto
Rossana Calvi oboe
Carlo Lazari violino
Benjamin Bernstein viola
Carlo Teodoro violoncello
Nicoletta Sanzin arpa




Goffredo Petrassi (1904-2003)
Elogio per un'ombra (1971)
per violino solo
In tempo adagio-Quasi presto-Libero quasi adagio

Gian Francesco Malipiero(1882-1973)
Sonata a cinque (1934)
per flauto, violino, viola violoncello e arpa

Stefano Bellon (1956)
Innere Stimme, Takt Nummer Sieben
per violoncello, flauto, violino, viola
Prima esecuzione assoluta
Commissione Ex Novo Musica

Claude Debussy (1862-1918)
Deuxième Sonate (1816)
per flauto, viola e arpa
Pastorale-Interlude-Finale

Nino Rota (1911-1979)
Quintetto (1935)
per flauto, oboe, viola, violoncello e arpa
Allegro ben moderato-Adagio-Allegro vivace


Petrassi scrisse Elogio per un'ombra per violino solo nel 1971. L'ombra è quella di Alfredo Casella cui il brano è dedicato a venticinque anni dalla morte ed è un omaggio a un maestro non convenzionale la cui sottile ironia si riflette nella ritrovata chiarezza di questa pagina, permeata da una maggior determinata linearità delle figure melodiche rispetto a opere come Suoni notturni o Seconda Serenata-Trio. Il brano attinge alla linfa di cui l'“umanesimo” di Petrassi si nutre, restituendo quella positività strumentale fatta di memoria e detriti, ma senza mai dimenticare del tutto quei fantasmi sonori che abitano le sue solitarie riflessioni. Rappresenta infatti l'immagine stessa dello strumento violino quale emerge dalla storia con tutti i suoi stilemi, da quelli corelliani a Paganini, che diventano oggetto di ideale rimeditazione. Insomma memorie strumentali che si rinnovano a contatto di nuove suggestioni fantastiche, riattivando alcuni processi primari che assicurano una perfetta logicità dell'impianto formale.

Tra i compositori del ventesimo secolo Gian Francesco Malipiero è un autore ancor oggi sottovalutato, se non addirittura sconosciuto, soprattutto fuori d'Italia. Eppure fu proprio la sua musica a dare inizio al Novecento musicale italiano, grazie alla consapevolezza della riscoperta delle proprie radici culturali che partendo dal Gregoriano giungono al Settecento italiano. Ultimata nel 1934 ad Asolo, la Sonata a cinque, dedicata ad Elizabeth S. Coolidge, fu eseguita per la prima volta in America al “Festival Coolidge” organizzato dalla mecenate. Come nel caso di altri lavori malipieriani, il termine Sonata va inteso quale brano musicale concepito liberamente, restituendo alla parola Sonata il suo significato archetipo, al di fuori quindi dei canoni entro cui la forma andrà disponendosi sino ad assumere il modello classico, di matrice prettamente tedesca. Questa libertà è però ben architettata da una serie di rapporti modali e tonali, da un ordito di ricorsi melodici e ritmici che restituiscono all'opera una precisa sintassi il cui carattere poetico risulta squisitamente musicale.

Innere Stimme: Takt Nummer Sieben. Nella sola ottava pagina dell'Umoreske op. 20 di Schumann appare improvvisamente un terzo pentagramma di ventiquattro battute, inserito tra i due di mano destra e sinistra. Con la dicitura "Innere Stimme" vi è notata una melodia che Non deve essere suonata o cantata dall'interprete ma a cui egli è tenuto evidentemente a riferirsi in qualche modo. S. non fornisce indicazioni al riguardo e le testimonianze coeve non aiutano a comprendere la funzione di una tale melodia. Non sembra che le ipotesi di natura interpretativa bastino a spiegare come e perché egli abbia avvertito la necessità di evocare con quel terzo rigo un elemento tanto misterioso: vi è segnata una melodia e questa melodia - che supponiamo dover tuttavia agire ad un qualche livello - non può, o non deve, essere resa manifesta. Perché? Soprattutto: chi ne è il destinatario ultimo? Chi sarebbe l'Altro cui S. intende dedicare una tale, specialissima attenzione? Lo sguardo di Lacan ci tornerebbe probabilmente utile, ma è forse più elegante accogliere la questione così come S. ha inteso lasciarcela in dono. Da qui nasce l'idea di scrivere una partitura in cui quella linea melodica viene finalmente rivelata, senza che tuttavia ne risulti tradita la natura più enigmatica e inconoscibile. Così, esasperando la durata d'ogni singola nota dell'Innere Stimme, similmente a quanto accade al Tenor della polifonia medievale, tutte le note appaiono qui espresse, lentissimamente vengono restituite all'ascolto, assumono corpo e vita, ma il loro senso complessivo non può essere fisicamente raccolto né rivelato. Innere Stimme nella versione completa ha la durata complessiva di un'ora e prevede un recitante, un quintetto da camera e un corposo live-electronics. Innere Stimme, Takt Nummer Sieben ne costituisce un estratto che affida al violoncello il compito di investigare e commentare le suggestioni scaturite dall'immersione contemplativa nella battuta numero sette dell'originale di Schumann. Commissionato da Ex novo Ensemble, il brano è dedicato con affetto a Carlo Teodoro.
[Stefano Bellon]

< Tra qualche giorno riceverete la Sonata per flauto, viola e arpa> scrisse Debussy a Robert Godet il 4 settembre 1916. Notturni, non vi pare?>. La Sonata per flauto, viola e arpa è la seconda Sonata del progettato ciclo di sei Sonate che trovò però incompleto compimento con la Sonata per violino e pianoforte del 1917. Per ispirazione, stile e temperamento sembra guardare indietro, rispetto al carattere impressionista delle opere precedenti, all'eleganza e alla chiarezza strutturale della musica barocca francese, soprattutto clavicembalistica. Proprio per queste caratteristiche il lavoro può essere considerato precursore dell'estetica neoclassica abbracciata da così tanti compositori nei decenni successivi. Per le sue armonie ambigue e le sonorità strumentali meticolosamente intagliate, la Sonata è una delle composizioni più intransigentemente moderne di Debussy, rispetto alla quale lo stesso autore espresse una qualche incertezza riguardo al suo impatto emotivo, scrisse infatti ancora al giornalista svizzero Robert Godet: <…è così terribilmente malinconica che non posso dire se si debba ridere o piangere. Forse entrambi allo stesso tempo?>.

Nino Rota, nome d'arte di Giovanni Rota Rinaldi, nacque a Milano il 3 dicembre del 1911 da una famiglia di musicisti. Cominciò a suonare il pianoforte all'età di quattro anni. La sua carriera di compositore iniziò a soli undici anni e a quindici compose la sua prima vera e propria opera teatrale intitolata “Il Principe porcaro”. Nel 1924 seguì le lezioni di composizione di Alfredo Casella all'Accademia di Santa Cecilia. Successivamente grazie all'interessamento di Toscanini si recò a studiare a Philadelphia dal 1931 al 1933, dove imparò a conoscere e amare Gershwin, Porter, Copland, Berlin. Di ritorno dagli Stati Uniti accettò di comporre la colonna sonora per il film “Treno popolare”e da qui la svolta come compositore di musica da film che lo porterà alle note collaborazioni con Fellini, Coppola, De Filippo, aspetto questo che ci restituisce il Rota che più conosciamo. Ma di non minor importanza fu anche la sua produzione, oltre che operistica, di musica “pura” come nel caso di questo primissimo Quintetto (1935) che risente da un lato della lezione contrappuntistica pizzettiana che in quegli anni ispirerà il rinnovamento musicale italiano, dall'altro, specialmente per quanto riguarda l'organico, dell'influenza della Sonata a cinque di Malipiero scritta l'anno precedente nel 1934. Il Quintetto è dedicato alla madre. Ecco cosa ne dice lo stesso Rota:.

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