Concerto 4


Martedì 6 novembre 2018, ore 20.00
Gran Teatro La Fenice, Sale Apollinee

FLASHBACK
(Ritratto di Claudio Ambrosini)

Con il sostegno di SIAE-Classici di Oggi


Sonia Visentin soprano
Claudio Ambrosini direttore

Ex Novo Ensemble

Daniele Ruggieri flauto
Davide Teodoro clarinetto
Carlo Lazari violino
Carlo Teodoro violoncello
Aldo Orvieto pianoforte

I Tamburi di Venezia
Annunziata Dellisanti,
Pietro Zennaro (*) percussione


Bruno Maderna (1920-1973)
Serenata per un satellite (1969)
nuova versione di Claudio Ambrosini
per flauto, clarinetto, violino, violoncello, percussione
e pianoforte preparato (2018)
Prima esecuzione assoluta
Commissione Ex Novo Musica

Salvatore Sciarrino (1947)
Arioso a 5 per flauto, clarinetto,
violino, violoncello e pianoforte
prima esecuzione assoluta


Christian Cassinelli (1979)
Shuv (2018)
per flauto, clarinetto, violino, violoncello e pianoforte
Prima esecuzione assoluta
Commissione Ex Novo Musica

Claudio Ambrosini (1948)
Flashback
per soprano, flauto e violoncello

Luigi Nono (1924 - 1990)
Djamila Boupacha (1962)
da Canti di vita e d'amore
per soprano

Claudio Ambrosini (1948)
Tic-tac (ossia come ammazzare il tempo) (2013)
bagatella per metronomo e percussione (*)

De vulgari eloquentia (1984)
per flauto, clarinetto, violino, violoncello e pianoforte


La Serenata per un satellite di Bruno Maderna è uno dei capolavori indiscussi della Musica Aleatoria. La partitura consta di un solo foglio, sul quale i pentagrammi sono disegnati non solo orizzontalmente ma anche diagonalmente, rivolti in su e in giù, magneticamente attratti o respinti fino ai bordi della pagina, costretti a produrre incroci, sovrapposizioni, parallelismi, scontri. E` un'opera classica di quel periodo, in cui si chiedeva all'interprete di "trovare una strada" in mezzo a questo apparente caos, di scegliere lui quale frammento suonare e con quale strumento, quale percorso seguire, da dove cominciare e dove e quando finire. Ma, benché la Musica Aleatoria sia aperta per definizione, ritengo sia necessario aggiungere un elemento in più: riuscire quasi a “datare” ogni esecuzione inserendovi dei dettagli, delle tecniche, dei principi compositivi o esecutivi propri (o, almeno, noti) del periodo in cui quella esecuzione avviene. In altre parole, ritengo si debba sentire che un'esecuzione del 1969 (anno di composizione della Serenata) è diversa - e non solo perché le frasi di cui il brano si compone sono suonate in una sequenza differente - da un'esecuzione del 1989 o del 2019. A distanza di anni di sicuro molte cose saranno cambiate, nuove tecniche strumentali si saranno consolidate e, in effetti, nuove teorie compositive (come per esempio la Musica Minimalista o la Musica Spettrale) si sono affacciate all'orizzonte e costituiscono oggi uno dei tanti sistemi praticati, o alcuni dei tanti linguaggi e tecniche possibili. Maderna è morto assai prematuramente, nel 1973. Non ha potuto quindi conoscere le nuove correnti o le nuove tecniche ma credo che se fosse vissuto le avrebbe forse amate o rifiutate, ma in ogni caso le avrebbe indagate, si sarebbe confrontato con loro. Se la filologia musicale è “attenzione al passato”, per l'opera aperta mi pare dovrebbe essere “attenzione al futuro”. Nella mia trascrizione, che è del 1985, ho voluto quindi “segnare” lo stato della musica in quel momento. La partitura usa rigorosamente il testo di Maderna, indicandone un “percorso di attraversamento”, come si fa di solito per questo genenre di opere. Ma nello stesso tempo si apre al dopo: ai suoni multifonici dei fiati, per esempio, che iniziavano ad affermarsi proprio alla fine degli anni '60 e che Maderna molto probabilmente avrebbe usato, se fosse vissuto più a lungo. Ma dove inserire queste nuove pratiche senza modificare il testo originale? Ho deciso di avvalermi per questo dei “disegnini” con cui Maderna ha “decorato” la sua composizione, e che fino a quel momento erano stati trascurati dagli interpreti. Ci sono infatti per esempio delle curiose “mini-scacchiere”, che ravvivano il punto in cui due pentagrammi si incrociano sulla pagina; o altri segni più elaborati, che qui e là collegano invece due righi musicali più lontani; o altri segni ancora, più confusi e arruffati, che sembrano cancellature, o scarti della mano, ma forse vogliono suggerire nuove articolazioni, nuovi suoni…
[Claudio Ambrosini]

Salvatore Sciarrino nel 1982 in giuria alla seconda edizione del Concorso “Venezia Opera Prima” scelse Claudio Ambrosini, allora esordiente, che si era presentato con due suoi lavori scritti nel 1981: Rondò di forza per pianoforte e Icaros per violino. Nelle estati del 1982 e del 1983, Sciarrino invitò Claudio Ambrosini come suo assistente al Corso di Composizione che si svolgeva nell’ambito del Festival delle Nazioni di Città di Castello: ne nacque una profonda, singolare amicizia. Anche se Ambrosini non fu mai propriamente allievo di Sciarrino – i due sono quasi coetanei – molte sono le liaison che intrecciano la loro esperienza artistica: prima tra tutte la vocazione alla creazione di “suoni di sintesi” con gli strumenti della tradizione, sempre intessuti in una tela di rigorosissimo impianto formale. Nel 2017 nel corso delle molteplici iniziative che onorarono la ricorrenza del 70° compleanno di Sciarrino, anche Ex Novo Musica gli dedicò un concerto nel contesto del quale ebbe luogo la prima esecuzione assoluta di Domini minimi di Claudio Ambrosini, che “è stato pensato il 4 aprile 2017 ed è dedicato ai settant’anni di Salvatore Sciarrino che, del dire tantissimo con apparentemente pochissimo, è maestro”. Salvatore Sciarrino, presente purtroppo solo in ispirito a quel concerto veneziano, ha voluto adesso dedicare ad Ambrosini Arioso a 5, uno splendido dono a Ex Novo Musica del quale gli siamo affettuosamente riconoscenti.
[Aldo Orvieto]

Christian Cassinelli Shuv, per flauto, clarinetto, violino, violoncello e pianoforte (2018)
Lo spunto fondamentale per questo pezzo, intitolato Shuv (ritornare in ebraico), sono i Salmi di pellegrinaggio. Si tratta del terzo capitolo di un progetto più ampio dopo Halak (camminare) del 2009 per orchestra e 'Alah (salire) del 2013 per soprano e ensemble. Dal suono della lingua ebraica derivano ancora una volta il colore strumentale e la plasticità delle figure musicali mentre l'immagine del “ritorno” è interpretata come un progressivo allontanamento da un punto di partenza - l'inizio del viaggio - fortemente caratterizzato da uno sfondo levigato e cangiante sul quale sono intagliate piccole increspature e venature, tintinnii e rintocchi come di campane. Il pianoforte è strumento solista, la sola mano destra che suona mentre la sinistra “muta” abbassa i tasti liberando l'armonia e la risonanza, echi dagli altri strumenti, ombre che rivelano un canto.

[Christian Cassinelli]

Claudio Ambrosini Flashback Il ricordo è una forma di eco, un'eco del vissuto, del sentito. E nel ricordare è insito un corto circuito del tempo, perché il passato si sovrappone momentaneamente al presente e il presente temporaneamente si confonde col passato; lo rivive, pensandolo, in uno scambio di tempi, luoghi ed emozioni che rendono tutto simultaneo e insieme lontano, prossimo eppure separato, nella coscienza dell'irreparabile distanza tra gli eventi.
Per questo mi hanno affascinato i versi della poetessa Linda Mavian - veneziana, ma di antica origine armena - che riescono a rendere questo stato duplice in cui le immagini si susseguono, accavallandosi come in un sogno. Per tornare inaspettatamente forti, e concrete, nel verso conclusivo.
Le rifrazioni proposte dai versi si riproducono anche a livello sonoro, in un continuo scambio di riflessi tra la voce e gli strumenti o degli strumenti tra loro, talvolta accompagnati dalla cruda verità del rumore, metafora della realtà.
Flashback è stato scritto nel 2016 su invito di Arces Kultur di Stoccarda ed è dedicato alla cara memoria di Rosanna Mavian, animo di artista, sorella di Linda.
[Claudio Ambrosini]

vestiti di soffitta
luci si riflettono sul vetro
fuochi sulla spiaggia di sabbia di clessidra
visti di lontano
di molto tempo fa
cantavo piano
trasferendo del giorno e della notte
la misura su ogni foro della mia cintura

Linda Mavian

(da Aliante del mattino, LietoColle, 2008)

Luigi Nono Djamila Boupacha è un sorprendente canto monodico scaturito dal testo di Jesùs Lòpez Pacheco ( titolo originale: Esta noche ), vero grido di dolore per soprano solo e parte centrale del trittico Canti di vita e d'amore insieme a Sul ponte di Hiroshima, testo di Günther Anders (tratto da Essere o non essere Diario di Hiroshima e Nagasaki) e Tu di Cesare Pavese (titolo originale Passerò per Piazza di Spagna da Verrà la morte e avrà i tuoi occhi). La prima esecuzione di quest'opera avvenne il 22 agosto 1962 al Festival di Edimburgo. Le tre parti, dice lo stesso Nono, sono tre situazioni proprie del nostro tempo, diverse tra loro ma tutte riconducibili alla tematica della follia criminale e dell'oppressione, e della possibilità di opporvisi e di contrastarle con l'amore e la libertà. E ancora Nono ci indica il senso di questo lungo e tormentato lamento, che si colloca al vertice dell'intera composizione, come un puro canto di speranza che sorge dalla Spagna sprofondata nelle tenebre e trova la sua eco nella voce dell'algerina Djamila Boupacha, torturata dai Paras in Algeria, simbolo per tutti noi di una via d'amore, di libertà, conto tutte le forme di oppressione e di tortura neonazista.

Quitad me de los ojos esta niebla de siglos.
Quiero mirar la cosas como un niño.
Es triste amanecer y ver todo la mismo.
Esta noche de sangre, este fango infinito.
Ha de venir un dia, distinto. Ha de venir la luz, creed me lo que os digo. . .

Questa notte dissipa questa foschia davanti ai miei occhi.
Voglio vedere le cose come un bambino.
Com'è triste che all'alba tutto sia lo stesso.
Questa notte di sangue, questo fango infinito.
Un giorno arriverà, diveso.
Verrà la luce, credi a quello che ti dico.

Claudio Ambrosini Tic-tac (ossia come ammazzare il tempo)
Nel 2013 il Conservatorio di Venezia mi ha voluto generosamente dedicare un concerto monografico interpretato dagli studenti. Per festeggiare l'occasione, ho pensato di scrivere uno scherzo musicale 'per il più piccolo allievo del Conservatorio'. Ne è nato questo Tic-tac (ossia come ammazzare il tempo), scritto per lo studente di percussione Giulio Somma - allora decenne - e dedicato a Virgilio Donaggio, mio insegnante di solfeggio, alla cui memoria sono molto legato.
Il tempo - forse ancor più che il suono, come insegna 4'33” di John Cage - è materia stessa della musica, la tela su cui i suoni si stendono a prender vita. Ma il tempo è anche uno degli incubi del musicista, alle prime armi ma anche dopo: proprio come Kronos, è un dio implacabile, capace di divorare i suoi figli. Come difendersi, dunque, se non ammazzandolo?

[Claudio Ambrosini]

Claudio Ambrosini De vulgari eloquentia
Mi affascinano sia il Medio Evo che il Rinascimento, periodi di grande ricerca e sperimentazione artistica in cui strumenti, modi e forme sono apparsi e poi, taluni, anche scomparsi, travolti nel processo evolutivo. Da qui sono nati i titoli di alcune mie cose dei primi anni Ottanta, come Trobar Clar, Trobar clus, Stilnovo.
Come questi, De vulgari eloquentia è un lavoro sull'energia, “liberata” all'inizio, immessa nel flusso temporale e fatta passare attraverso stadi di trasformazione diversi fino alla conclusione. Ovviamente, il concetto di energia non è necessariamente sinonimo di forza: ci può essere energia anche in suoni molto delicati e persino nei silenzi. Oppure l'energia può trasformarsi in altri stati attenzionali: come lo stupore, il trasporto o l'attesa facendo, anche di questo quintetto, un lavoro sulla percezione.
Timbricamente, in primo piano c'è il pianoforte, il cui suono viene continuamente “colorato” dagli altri strumenti, modificato “dall'ambiente”. Un ruolo molto importante, come quasi sempre nella mia musica, gioca poi la velocità, quella di scorrimento delle immagini sonore, e quella “granulare”, all'interno del singolo frammento.
Come per l'opera dantesca da cui prende il nome, l'intento del lavoro era anche di segnalare la conclusione di un percorso di ricerca e un primo raggiungimento - così speravo - di un (mio) linguaggio, capace di essere eloquente, di “dire” cose diverse.
De vulgari eloquentia è stato commissionato nel 1984 dal Festival delle Nazioni di Città di Castello ed è dedicato a Salvatore Sciarrino.

[Claudio Ambrosini]

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