Concerto 9


Mercoledì 29 novembre 2017, ore 20.00
Conservatorio Benedetto Marcello, Sala Concerti

SIAE - Classici di Oggi

ARIE MARINE
Omaggio in musica a Salvatore Sciarrino

Con il sostegno di SIAE


Alda Caiello soprano
Aldo Orvieto pianoforte
Alvise Vidolin regia sonora
Paolo Zavagna live electronics

Ex Novo Ensemble
Daniele Ruggieri flauto
Davide Teodoro clarinetto
Carlo Lazari violino
Carlo Teodoro violoncello

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Salvatore Sciarrino (1947) Due arie marine da Perseo e Andromeda (1990) per voce e suoni di sintesi in tempo reale
(testo di Salvatore Sciarrino, Jules Laforgue)
Lamento - Tempesta

Fabio Nieder (1957)
Five Stanzas for a Love Song (2016/7) per pianoforte
Prima esecuzione assoluta

Claudio Ambrosini (1948) Domini minimi (2017) per flauto, clarinetto, violino, violoncello, pianoforte
Commissione Ex Novo Musica, prima esecuzione assoluta

Stefano Gervasoni (1962)
da Altra voce, Omaggio a Robert Schumann (2015/17), per pianoforte e dispositivo elettronico trasparente
- I. Luce ignota della sera (da Robert Schumann, Zwölf Vierhändige Clavierstücke für kleine und grosse Kinder, op. 85 n.12)
- II. Sirenenstimme (da Robert Schumann, Fantasiestücke op. 88 n.3) (*)
- III. Fiori soli rossi (da Robert Schumann Waldszenen op. 82, n. 3 e 4) (*)
(*) Commissioni Ex Novo Musica, prima esecuzione assoluta

Salvatore Sciarrino (1947)
Il giardino di Sara (2008)
per soprano, flauto, clarinetto, violino, violoncello e pianoforte
(testo: Canto d'Aci raccolto da Lionardo Vigo)



Salvatore Sciarrino Due arie marine da Perseo e Andromeda

Quando Salvatore Sciarrino mi parlò per la prima volta del progetto Perseo e Andromeda, mi disse che i suoni di sintesi non dovevano avere alcun intento imitativo orchestrale, anzi dovevano essere molto astratti, eventualmente legati al mondo sonoro dell'isola deserta in cui si svolge la vicenda. Come Sciarrino scrisse poi in un suo testo di presentazione alle Arie Marine la sfida era quella di produrre una elettronica aderente alla partitura la quale «elabora geometricamente ambiguità visive e prospettiche, di continuo entra ed esce nell'allucinazione sinestetica. E dalle istanze della costruzione astratta, proprio per l'intrinseca figuralità, si sprigiona un'inquietante evidenza iconica, suscitatrice di immagini.»
Iniziammo i primi esperimenti nella primavera del 1989 al Centro di Sonologia Computazionale dell'Università di Padova, avendo come punto di partenza l'ambiente acustico dell'isola di Andromeda, composto dai suoni del mare e del vento. L'obiettivo di Sciarrino era costruire mediante computer uno strumento che fosse in grado di generare materiali sonori molto vari, aventi tutti la stessa matrice genetica, completamente astratti e soprattutto duttili alle esigenze della composizione musicale. Ci si pose il problema di quale tecnica di sintesi adottare e venne naturale scegliere la sintesi sottrattiva. La metafora a mio avviso più efficace per spiegare la sintesi sottrattiva è la scultura: come la statua prende forma sotto i colpi dello scultore che agisce per sottrazione partendo da un unico blocco di marmo, così il suono, anche il più puro, può essere generato partendo dal rumore e sottraendo tutte le componenti indesiderate. Nel mondo della musica elettronica l'azione dello scalpello viene svolta da un dispositivo chiamato filtro il quale ha la capacità di attenuare alcune zone di frequenza fino a renderle inudibili. Mediante il filtro è quindi possibile manipolare il timbro dei suoni in maniera analoga a quanto avviene nel mondo della visione per i filtri ottici che consentono di alterare i colori delle immagini. Il suono sintetico venne quindi composto con notevole dettaglio, controllando sia gli aspetti microscopici (transitori di attacco del suono, andamenti di portamento, ecc.) sia quelli più macroscopici legati a elementi formali (strutture di glissandi sincroni, pattern d'onda ciclici, ecc.) in perfetta relazione con il canto, creando talvolta un duetto che pone il ruolo della macchina sullo stesso piano della voce umana. Questo processo tecnico ha consentito - sono sempre parole di Sciarrino - di realizzare una musica che «suona assai poco elettronica. In realtà non vi sono cose che gli strumenti elettronici non possano ormai fare: tuttavia, più che adattarsi ai nuovi mezzi, è necessario soprattutto immaginare e programmare, cioè progettare. Solo un nuovo pensiero può servirsi appieno dei nuovi mezzi. Un pensiero estetico, non un ibrido scientifico o, tantomeno, commerciale.» Concordo con il Maestro che verrebbe quasi da chiedersi se questa musica, nonostante sia prodotta da mezzi e processi ad alto contenuto tecnologico, debba ancora appellarsi elettronica o informatica: all'ascolto sembrerebbe più logico chiamarla semplicemente musica. (Alvise Vidolin)

Fabio Nieder Five Stanzas for a Love Song

Le cinque strofe che compongono questo pezzo pianistico sono anche cinque stanze.
Come le stanze di una casa esse sono collegate da corridoi, scale e porte.
Nelle strofe-stanze risuonano le voci, i canti, le eco e forse si sentono ancora i passi delle persone che salgono e scendono le scale di questa casa.
L´oscurità dell´inizio del brano si fa via via sempre più distinta e le scale della grande casa vengono percorse verso l'alto fino a raggiungere la prima stanza dove inizia la prima strofa.
La porta della prima di queste cinque stanze viene aperta in maniera irruenta.
Poi all'interno di questi spazi il tempo si sospende. Solo nelle scale-corridoi noi ritorniamo nella dimensione tempo-reale, veniamo incalzati dalla furia del movimento e non abbiamo il tempo di metterci in ascolto, sentiamo che dobbiamo andare avanti.
Così stanza dopo stanza le cinque strofe vengono enunciate. Poi si deve uscire da questa casa (o era forse il castello di Barbablù?) ripercorrendo in discesa le scale fino a ritornare nell'oscurità dell'inizio, sotto terra.
Qualcosa però in noi è cambiato.
Dopo l'esperienza dell'ascolto fatta nelle risonanze delle cinque stanze, ora, qui sotto terra e nel buio totale, possiamo sentire il nostro respiro. E sentiamo lontana la musica che risuona dal mondo di fuori. O è la musica del passato che ritorna come ricordo ed è essa un artificio della mente? (Fabio Nieder)

Claudio Ambrosini Domini minimi

Dicono che con l'età, imparando a ridurre i mezzi, si arrivi a dire di più con meno. Cosa che sto cercando di fare, sperando di aver davanti tempo sufficiente; ma forse sono già a buon punto, perché qui ho usato solo ottantasette degli ottantotto tasti del pianoforte. Degli altri strumenti, perfino meno (anche se, con un titolo bilinguabile, probabilmente mi sono allargato un po' troppo).
Domini minimi è stato pensato il 4 aprile 2017 ed è dedicato ai settant'anni di Salvatore Sciarrino che, del dire tantissimo con apparentemente pochissimo, è maestro. (Claudio Ambrosini)

Stefano Gervasoni Altra voce, omaggio a Robert Schumann

In questo ciclo in omaggio a Schumann rielaboro alcuni brani del compositore renano attraverso un dispositivo elettronico “invisibile” che consente di amplificare un segnale audio “artificiale” usando la cassa armonica stessa dello strumento, cioè in maniera del tutto “naturale”. Tale tecnologia assolve lo scopo di introdurre surrettiziamente - cioè celandone deliberatamente la provenienza - una voce che si insinua in maniera fantomatica nella trama pianistica: l'ascoltatore dovrà dunque percepirla come prodotta dal pianoforte stesso, anche se in realtà non viene azionata meccanicamente dal pianista, al quale è riservato invece il compito di “accompagnare” questa “innere Stimme” che si materializza magicamente nel suo stesso strumento. All'evocazione di questa ossessione così a lungo perseguita da Schumann, partecipano altri compositori del nostro tempo, creatori visionari come lo fu Schumann: Luigi Nono per il primo brano, Helmut Lachenmann per il secondo, Gérard Grisey per il terzo, a cui congiuntamente rendo omaggio. Essi mi offrono lo spunto per creare la dimensione sonora adatta nella quale fare sorgere e vivere il sogno schumanniano.
Nel primo testo schumanniano, Abendlied, scritto da Schumann, per pianoforte a tre mani, la “innere Stimme” è la mano destra del primo pianista, trasformata in vento dal mezzo elettronico, che fa vibrare l'arpa eolica immaginaria costituita dal pianoforte stesso; nel secondo (“Langsam und mit Ausdruck”) sono le parti del violino e del violoncello del Duetto schumanniano a diventare echi di voci suadenti e minacciose di sirene; per il terzo brano un vero e proprio controcanto melodico al quarto numero delle Waldszenen da me scritto utilizzando le parole della poesia di Hebbel, “Verrufene Stelle”, che Schumann mise in exergo al manoscritto. Il ricordo del precedente numero delle Waldszenen (“Einsame Blumen”) appare in filigrana come un fiore delicato che svanisca all'apparizione tragica di una realtà ad esso aspramente ostile.
In Luce ignota della sera, primo numero di questo trittico, sono presenti delle reminiscenze della musica di Nono (senza alcuna citazione diretta) avendo introdotto un progressivo sfasamento microtonale nella parte del pianoforte eseguita dal vivo operato attraverso l'elettronica che produce uno sfocamento graduale dell'intonazione avvertibile in maniera sempre più sensibile all'ascolto. In Sirenenstimme, l'influenza della poetica di Lachenmann si materializza nella trasfigurazione del suono del motore pianistico accompagnatore, attraverso la preparazione di alcune corde acute; in Fiori soli rossi l'idea di Grisey di un “naturalismo” sonoro da cui dedurre i principi della composizione mi ha invitato ad avvolgere l'apparizione della melodia-fantasma nel velo delle componenti di uno spettro (acustico) che si deformano progressivamente: sospingendo il testo di Hebbel verso confini inesplorati, restituendo così le parole alla natura stessa della voce e al mistero, a-linguistico, del suono. (Stefano Gervasoni)

Salvatore Sciarrino Il giardino di Sara

Vivere dentro un sogno che si disfa


La memoria storica degli isolani e resa persistente da millenni di separazione. In terra ferma tutto era di passaggio, in un'isola no: si sbarcava, e il mare infinitamente senza tempo si frapponeva al resto del mondo. Si partiva, e il mare del tempo si richiudeva alle spalle.
La bellezza della Sicilia è tale da abbagliare per primi i suoi stessi abitanti. Alcuni possono averla guardata una sola volta e poi serrarsi nell'oscuro di casa per il resto dei giorni. La seduzione irresistibile della bellezza (o il rifiuto della seduzione) forse fa crescere nei siciliani il vanto più che l'amore per la propria terra. Dovrebbe essere, questo, un luogo contemplativo per eccellenza, invece pare che la Sicilia vampirizzi i suoi figli, divenga quieta dimora a patto che ci si lasci naufragare, scordare tutto, anche se stessi.
É sonnolenta la Sicilia reale, staccata dalla vita, dunque non c'e posto per tutti. Così chi trova insormontabili difficoltà per l'ambizione o il piacere di lavorare, spesso è costretto ad andarsene. Da siciliano emigrato proverei disagio solo al pensiero di tornare a viverci, un misto di stupore e rabbia dinanzi a un sogno troppo antico che si vede malamente abitato, sporcato, perduto per sempre. Chi vi risiede ama credere che la si possa trascurare all'infinito; ecco, c'è tanto ancora da distruggere in Sicilia, ma ciò sarebbe un buon motivo affinché i siciliani fermassero la loro indifferenza, indossassero una propria identità attuale: si ricostituirebbe cosi la fecondità del mito. Non basta la memoria antica.
Molti si illudono di poter abitare dentro il mito, e sono quelli che della Sicilia s'empiono la bocca e ne dilapidano la fama. Non basta la memoria secolare, poiché il nostro era un sogno di civiltà, cioè di costruzione del futuro.
Gli stranieri ammaliati che vengono a stare fra noi si immergono nella varia luce riflessa dai tre mari, e restano in silenzio. Mi piacerebbe a loro chiedere dei muri, se mai hanno visto tufo cosi dorato e rosa. Chi si sente isolano, pur se lontanissimo, tutta la vita rimane irreale e stregato. Di giorno sorride da straniero, di notte rimpiange il vento che sgretola le coste.
Ho girato il mondo. Ho inventato un linguaggio sonoro personale e poi vi ho inserito un inconfondibile Stile di canto. Talvolta, quando posa la mia musica, qualcuno mi chiede se io venga dall'oriente. Non so, delude l'ovvia mia risposta che la Sicilia è nel mezzo e di tutto il Mediterraneo ha echeggiato, e nelle carte geografiche sembra reggere la base inferiore d'Europa, il suo instabile e frastagliato contorno.
La Sicilia chiude e apre? Chi se n'è staccato, la sfugge. Pesano troppo le domande dell'esistere: che senso ha essere lì, da qualche parte, se la vita scorre altrove? Bisogna spostarsi nel centro del proprio centro per non scivolare definitivamente nel sogno.
Il siciliano sente estranee certe distinzioni schematiche riguardo alle genti, perché comprende che ogni terra si prolunga nell'altra per mezzo delle migrazioni: esse hanno popolato il mondo e formato l'umanità, esse continuamente la rinnovano. Il Potenziale e infinito dell'essere viventi.
Musica ecologica. Fisica, eppure più immaginaria. Il respiro il corpo la realtà come riflessa negli occhi e nelle orecchie, tutte le percezioni insieme, un giardino di agrumi nel fresco del mattino. Di quale epoca, passata o da venire, non sappiamo. (Salvatore Sciarrino)

Testi musicati

Canto d'Aci, raccolto da Lionardo Vigo, Catania 1857, citato in Lizio-Bruno, Messina 1867

Sara, Saridda, susiti matinu Senti lu cantu di lu risignolu Sutta la to finestra c'è un jardinu 'Mpedi di aranciu cu li rami d'oru Passa n'aceddu e si cunsa lu nidu Poi si lu cunsa cu tri pinni d'oru Passa, l'amanti e si 'nni pigghia unu Poi. si lu menti 'ntra 'na gaggia, d'oru La gaggia siti. vui, donna d'amuri, L 'aceddu sugnu iu ca c'haju a stari. Sara, Saridda, alzati è mattino senti il canto dell'usignolo sotto la tua finestra c'è un giardino un albero di arancio dai rami d'oro passa un uccello e si prepara il nido se lo prepara con tre penne d'oro Passa l'amante e ne prende una Poi la mette in una gabbia d'oro La gabbia sei tu, donna d'amore, l'uccello sono io che ci devo stare.