Concerto 7


Sabato 25 novembre 2017, ore 20.00
Gran Teatro La Fenice, Sale Apollinee

SIAE - Classici di Oggi

ARDO NON ARDISCO

Con il sostegno di SIAE


Davide Teodoro clarinetto
Carlo Teodoro violoncello
Federico Lovato pianoforte.

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Ildebrando Pizzetti (1880-1968)
Tre Canti (1924), per violoncello e pianoforte
Affettuoso - Quasi grave e commosso - Appassionato

Nino Rota (1911-1979)
Trio (1973) per clarinetto, violoncello e pianoforte
Allegro (quasi in uno) - Andante - Allegrissimo

Mauro Montalbetti (1969)
Madrigale onirico (Ardo e non ardisco)(2017)per clarinetto e violoncello
Nel 450° anniversario della nascita di Claudio Monteverdi
Commissione Ex Novo Musica, prima esecuzione assoluta

Ludwig van Beethoven (1770-1827)
Trio op. 11 (1797) in si bemolle maggiore per clarinetto, violoncello e pianoforte
Allegro con brio - Adagio - Allegretto con Variazioni (sul tema “Pria ch'io l'impegni” dall'opera L'amore marinaro di Joseph Weigl )


Ildebrando Pizzetti Tre canti

Nel 1921 (Puccini sarebbe morto nel 1924) il critico musicale Guido Maria Gatti dichiara sull'autorevole periodico londinese The Times Musical che il quarantenne Ildebrando Pizzetti «è senza dubbio il più grande musicista oggi in Italia». L'affermazione ci sorprende alla luce dell'enorme popolarità che la musica di Puccini ha acquisito nel corso del Novecento e del crescente oblio che è stata altresì riservato alla musica di Pizzetti, persino in Italia. Pur tuttavia l'affermazione di Gatti non era affatto implausibile in quanto Pizzetti in quegli anni era all'apogeo della propria creatività e non era percepibile l'amaro declino che avrebbe afflitto le sue composizioni più tarde. I suoi capolavori cameristici, la Sonata per violino (1918/19), quella per violoncello (1921), il Trio con pianoforte (1925) furono scritti negli anni della sua più fiorente produzione operistica, segnata dall'intensa collaborazione con Gabriele D'Annunzio che culminò con l'opera Fedra (1909-12, prima alla Scala nel 1915) e durante la stesura dell'opera Debora e Jaele (1915-21, prima alla Scala nel 1922), su libretto proprio, testo ancor oggi considerato il capolavoro operistico di Pizzetti e tra i massimi saggi dell'opera italiana del Novecento. Sebbene Pizzetti ne abbia preparato anche una versione per violino e pianoforte (del dicembre dello stesso anno) la stesura originale dei Tre Canti fu ultimata da Pizzetti per violoncello e pianoforte nell'autunno del 1924. L'opera mantiene, su scala ridotta, le caratteristiche della succitata produzione cameristica maggiore. I Tre pezzi sono stati concepiti in un'unica arcata formale, con interruzioni minime tra le parti. Il primo brano si articola nella misurata andatura di una Gavotta del XVIII secolo, più volte sospesa dall'apparire di un interludio cadenzale del violoncello liberamente declamatorio. Il secondo episodio, pervaso di dolce lirismo, ricorda un arioso operistico animato dall'espressività ritmicamente libera della parola cantata. Il terzo pezzo conclude il lavoro con freschezza e dinamismo; alcuni passaggi costituiscono evidenti autocitazioni della Sonata per violino.


Nino Rota Trio

Il nome di Nino Rota è universalmente legato alla sue realizzazioni di musica da film chelo hanno reso uno dei più popolari e amati compositori italiani della nostra epoca. Meno conosciuta al grande pubblico è invece la sua rimanente produzione, peraltro assai vasta (circa 120 lavori), che abbraccia tutti i generi musicali. Si è spesso elusa la discussione intorno alla musica di Rota e si poco indagato come la sua arte si innesti nell'espressività del suo tempo. Se universalmente gli si riconosce candore, spontaneità, trasparenza cristallina, e un equilibrio mirabile in ogni fase della composizione, gli si nega di fatto ogni rapporto con le poetiche sue contemporanee. In un bellissimo episodio del Doktor Faustus di Thomas Mann, il protagonista Adrian Leverkühn invita la musica a redimersi da un isolamento solenne frutto dell'innalzamento della cultura a surrogato della religione per trovare “la via degli uomini”, alla ricerca di «un'arte senza sofferenza, spiritualmente sana, non solenne, non triste, ma fiduciosa, un'arte in piena confidenza con l'umanità». Questo episodio, riportato da Piero Rattalino nell'introduzione ad un recente volume di studi rotiani (Nino Rota. Un timido protagonista del Novecento musicale, Torino, 2012, a cura di Francesco Lombardi) ci è parso il miglior modo per rendere omaggio alla sua musica. Il Trio per clarinetto, violoncello e pianoforte appartiene all'ultimo periodo della produzione del compositore. In apertura una sorta di valzer piuttosto animato (Allegro quasi inuno) presenta un tema spigoloso e cromatico contrapposto, come da tradizione, ad un secondo tema più lirico. L'Andante, dopo una esposizione elegiaca condivisa tra clarinetto e violoncello, presenta una sezione centrale più instabile, stemperata nella toccante riproposta del clarinetto dell'episodio iniziale. Chiude il lavoro un Allegrissimo, nel quale l'abbagliante ironia quasi da circo traluce in filigrana una profonda nostalgia: brusche interruzioni corse sfrenate verso gli ultimi accordi della tastiera, lasciano infine nell'ascoltatore un incredibile, meraviglioso, senso di spaesamento.


Mauro Montalbetti Madrigale onirico

Questo mio lavoro ha l'obiettivo di svelare, di confermare un'attitudine verso il Melos che si è particolarmente accentuata in questi anni in cui il teatro musicale è stato al centro della mia attività compositiva. Partendo da materiali derivati da un madrigale a due voci del libro VIII di Monteverdi (Ardo non ardisco), ho creato un breve brano nel quale si alternano gesti di un lirismo eterogeneo: dai pulviscolari e onirici echi madrigalistici, a più rarefatte o tese figure melodiche rivelate per piccoli frammenti, in modo da coinvolgere l'ascoltatore curioso in un viaggio di ri-costruzione poetica. Mauro Montalbetti)


Ludwig van Beethoven Trio op. 11

Dedicato alla contessa Von Thun, fu stampato nel 1798, cioè a distanza di tre anni, dalla pubblicazione del primo gruppo di tre Trii op. 1. A quel tempo si erano già manifestati i primi sintomi della malattia all'udito che doveva segnare d'una impronta tragica tutta la sua vita ulteriore (nel testamento del 1802 Beethoven dice infatti che il male era già in atto da sei anni). Ma fin dall'inizio egli aveva trovato la forza di reagire alle avversità del destino e già nel 1796 si può leggere sul suo taccuino: «Coraggio! Malgrado tutte le debolezze del corpo, il mio genio trionferà... Venticinque anni! Eccoli, venuti!... Bisogna che quest'anno stesso l'uomo si riveli tutto intero». Da tali premesse affettive risulterà la tensione dialettica che informa tante musiche della sua prima maturità e che erompe per la prima volta nella terza Sonata per pianoforte e soprattutto nella Patetica. In queste opere si sente che la gioia in cui si risolve la vicenda musicale non è uno spontaneo dono della sua natura o della grazia, ma il frutto d'una dura lotta, d'una conquista propiziata dall'intervento decisivo della volontà. Ma accanto a tali opere, per alcuni anni ancora Beethoven comporrà delle musiche intimamente serene, che sembrano appartenere ad un suo tempo interno anteriore alla presa di coscienza della sua drammatica condizione. Tali sono infatti il sorridente Settetto (1800) e la limpida Prima Sinfonia (1800), e tale è anzitutto il presente Trio, che il Buenzod, cita appunto tra le «musiche più felici» di Beethoven. […] La scrittura pianistica, in certi punti assai densa, acquista nella parte centrale dell'Adagio ampiezze orchestrali e si sostanzia di accenti e inflessioni che precorrono ugualmente «il romanticismo post-beethoveniano» (Bruers). Il tono generale di questo meraviglioso tempo lento è improntato a quella sublime intensità espressiva, a quella solennità che ha fatto dire giustamente al Torrefranca: «L'intonazione chiesastica è una caratteristica italiana che ritornerà nel Beethoven, del quale gli Adagio sono tanto profondi di significato perché sostenuti da un alito di religiosità. La Sonata da chiesa s'è fusa con quella da camera in un tutto che rivive insieme l'aspirazione al divino e la volontà di vita, trasfondendole a vicenda l'una nell'altra». L'ultimo tempo è costituito da una serie di Variazioni sopra un tema tratto dall'opera L'Amore Marinaro (ovvero Il Corsaro per amore) di Joseph Weigl, un compositore nato in Ungheria nel 1766 e morto a Vienna nel 1846, che fu condiscepolo di Beethoven da Albrechtsberger e Salieri. L'opera in questione era stata rappresentata a Vienna nell'ottobre 1797, e fu l'editore Artaria che chiese a Beethoven di scegliere il motivo dell'Aria Pria che io l'impegno, come tema per le Variazioni con le quali si conclude questo Trio. Secondo la testimonianza di Carl Czerny, Beethoven si rammaricò in seguito di non aver completato il lavoro con un finale susseguente alle Variazioni. Comunque il Trio non dà affatto l'impressione d'essere monco o incompiuto e le nove variazioni sul tema leggiadro e spiritoso del Weigl, lo concludono più che degnamente, costituendo un saggio estremamente interessante di quella che sarà la formidabile arte della variazione di cui Beethoven darà ancora tante prove negli anni a venire.(Roman Vlad)