Concerto 6


Giovedì 16 novembre 2017, ore 20.00
Gran Teatro La Fenice, Sale Apollinee

SIAE - Classici di Oggi

NÉ TEMPO NÉ LUOGO
Una serata con Michele dall'Ongaro

Con il sostegno di SIAE


Ex Novo Ensemble

Daniele Ruggieri flauto
Sonia Venzo flauto(*)
Davide Teodoro clarinetto,
Carlo Lazari violino(*),
Mario Paladin viola,
Carlo Teodoro violoncello
Aldo Orvieto pianoforte.

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Goffredo Petrassi (1904-2003)
Dialogo Angelico (1948) per due flauti (*)

Arnold Schoenberg (1874-1951) / Anton Webern (1883-1945)
Kammersymphonie op. 9 (1906/1922)
Trascrizione di Anton Webern per flauto, clarinetto, violino, violoncello e pianoforte

Michele dall'Ongaro (1957)
Danni collaterali (2003) per violoncello e ensemble (violino, viola,clarinetto e pianoforte)

Bruno Maderna (1920-1973)
Divertimento in due tempi (1953) per flauto e pianoforte

Michele dall'Ongaro (1957)
Due canzoni siciliane (2016) per violoncello e pianoforte
A la vitalòra (Trapani) - Carnescialata dei pulcinelli (Palermo)

Spin Off (2016/7) per flauto, clarinetto, violino, viola, violoncello e pianoforte
Commissione Ex Novo Musica, prima esecuzione assoluta.


Goffredo Petrassi Dialogo Angelico Nell'immediato dopoguerra Petrassi si sente smarrito, emarginato dall'accesa discussione intorno alla dodecafonia, che egli identifica come una vera e propria aggressione culturale di un gruppo di musicisti che si sentivano depositari di una nuova indiscutibile verità. Petrassi ebbe sempre un atteggiamento dialettico con il metodo dodecafonico, tentò di «sentire gli echi di questo problema prima di affondarci dentro, ossia cominciare a vedere delle possibilità, vedere quanto questo procedimento gli poteva essere utile e quanto gli poteva essere congeniale» e arrivò ad elaborare alcune strategie del tutto personali per utilizzarlo senza consegnarsi «mani e piedi alla tecnica seriale». Dialogo Angelico per due flauti, quasi un “foglio d'album”, diventa un emblema di questo atteggiamento del compositore il quale già nella prima frase (affidata al primo flauto) espone una vera e propria serie dodecafonica (se si eccettua la ripetizione del sol naturale); la serie non costituisce però alcun vincolo per la futura organizzazione dei materiali ma soltanto una “presenza stimolante” in una composizione non priva di andamenti tonali e di suggestioni diatoniche. La presenza della serie serve a spezzare l'immagine timbrica amabilmente tornita e la troppo facile eufonia di un pezzo concepito con colloquiale e serena maestria; serve a tener vivo il presente pur volgendo lo sguardo al passato che - come afferma opportunamente Mario Baroni - guarda più propriamente ai modelli del duo strumentale cinquecentesco di Lasso, Vinci, Gastoldi, ripreso nell'arcaica economia dei suoi mezzi, piuttosto che a pratiche contrappuntistiche di epoca barocca. Rispetto al ricalco di Respighi, al modalismo di Pizzetti, al neoclassicismo di Casella ammiriamo in Petrassi la ricerca di una espressività che evochi in modo autenticamente “moderno” le forme della tradizione. In una intervista del 1990 a Michele dall'Ongaro Petrassi affermò: «la mia curiosità mi ha spinto non solo a “conoscere” le cose ma anche a “saggiarle”. Può sembrare che nella mia musica ci siano riflessi di tutto, ma certi riflessi non ci sono. Sono presenti influssi di elementi che concordavano con le mie considerazioni interiori. Quindi ci sono state molte esperienze che la mia “spugna” non ha assorbito».


Arnold Schoenberg / Anton Webern Kammersymphonie op. 9

Arnold Schoenberg scrisse la Kammersymphonie op. 9 mi maggiore nel 1906 per dieci strumenti a fiato e cinque ad arco, tutti solisti. L'ambito stilistico è ancora tonale - almeno apparentemente -anche se un ascolto attento rivela presagi di “atonalità libera”. Alban Berg scrisse: «Non si tratta di un brano come gli altri, bensì di un'autentica pietra miliare nella storia della musica, destinata a rappresentare un'intera generazione». In Analisi e pratica musicale così si esprimeva Schoenberg: «La Kammersymphonie è l'ultima opera del mio primo periodo ed è formata da un solo tempo, senza soluzione di continuità. Ricorda il Quartetto op.7 che incorpora i quattro caratteri dei tempi della Sonata e non è formalmente lontana dai poemi sinfonici Verklärte Nacht op.4 e Pelleas und Melisande Op.5 i quali, non curandosi dell'ordine convenzionale di successione dei tempi, realizzano intenti musicali analoghi agli effetti di contrasto di movimenti indipendenti». Schoenberg abbandona così la retorica formale dei suoi predecessori, da Bruckner a Mahler a Strauss; prevale la condensazionenella ricerca di uno stile sempre più conciso e funzionale, con un'aperta rinuncia alle ripetizioni, alle progressioni, all'elaborazione. Anche Anton Webern amava in particolare questo brano e nel 1921/1922 rielaborò, forse in occasione di una esecuzione del Pierrot Lunaire di Schoenberg, la Kammersymphonie, riducendo l'organico da 15 a 5 elementi, cercando di mantenere l'equilibrio timbrico originale e rendendo forse ancora più facilmente decodificabile la chiarezza espositiva delle linee melodiche.


Michele dall'Ongaro Danni collaterali

Fingiamo che sia una piccola scena lirica. Una persona ha subito un danno grave (un lutto, un torto, una malattia: fate voi). Racconta le sue ragioni (un po' ossessivamente, come a volte capita), ma nessuno sembra preoccuparsene. Intorno a lei tutto scorre con il solito rumore di fondo. Un po' alla volta, però, la comunità, prima ostile e lontana, si accorge di questa inquietudine, la percepisce e in qualche modo la condivide. I gesti, gli atteggiamenti, le posture cominciano a confondersi e mescolarsi. L'amarezza si stempera, il tessuto - a fatica -si ricompone intorno alle ferite. Musicalmente è (molto alla lontana) una specie di passacaglia con tre variazioni. Esattamente come in una mia altra composizione del 1990, Linea nigra, per violoncello e orchestra d'archiil violoncello è certamente protagonista, ma il suo ruolo solistico esita a rivelarsi nei modi consoni perché continuamente contestato dal tessuto generale. Le linee s'intrecciano e gli strumenti si prestano oggetti e modalità; i ruoli stessi si scambiano. L'identità del violoncello (in principio autonoma e anzi antagonista) progressivamente muta e si riverbera nella piccola comunità strumentale. Da questi processi continui di mutazione emergono diversi gruppi strumentali, anche virtuali, che usano il violoncello un po' come i bambini la sbarra per fare l'altalena. La partitura è dedicata a Luisa Pavolini e Marcello Panni che, per l'Accademia Filarmonica Romana, hanno commissionato il lavoro. (Michele dall'Ongaro).


Bruno Maderna Divertimento in due tempi

Il materiale seriale usato da Maderna nella prima parte del Divertimento consta di diverse serie, alcune in rapporto di stretta filiazione, altre modificate elidendo dei suoni, altre ancora derivate dalle prime seguendo complessi procedimenti combinatori. Certe peculiarità delle operazioni seriali condotte dall'autore, testimoniano una notevole libertà di movimento nei confronti del clima compositivo “purista” degli anni '50. Il rigore seriale inteso quale sottomissione alla ferrea logica del metodo non è mai presente nelle opere di Maderna, neppure in questi primi saggi giovanili allorché l'autore era pienamente coinvolto dall'esperienza di Darmstadt. L'ingente mole di lavori preparatori al Divertimento, consente di affermare che metodicità e indagine analitica sono i tratti distintivi del suo procedere e allontanano l'immagine, ancor oggi parzialmente diffusa, di un Maderna compositore dalla vena facile ed immediata, guidato da un'innata musicalità, dal gusto dell'improvvisazione e del pastiche.Il Divertimento mostra la propria struttura bipartita (i “due tempi” di cui parla il titolo) non mediante una canonica pausa, bensì, più cripticamente, nella connessione di due ambiti stilistici fortemente differenziati. Tale brusco salto stilistico fa supporre che Maderna abbia impiegato per il secondo tempo materiali totalmente diversi, probabilmente di vari anni precedenti; i due ambiti sono separati da una cadenza del solo flauto.L'atmosfera d'apertura del brano è contraddistinta da una rarefazione sonora che si attua per mezzo delle indicazioni dinamiche molto esili e nel modo di disporre i suoni, singoli o in brevi incisi, separati da pause variamente lunghe. Il pianoforte dimentica le proprie possibilità armoniche per inserirsi in una dimensione orizzontale, che privilegia la lontananza di registro fra le due mani. L'esile trama sonora di quest'inizio, distribuita secondo il modello della Klangfarbenmelodie, sembra porsi come necessario tributo alle poetiche post-weberniane. Il graduale avvio di un progressivo articolarsi dei suoni e di uno stabilirsi di nessi associativi, rappresenta un testimone significativo della difficoltà di recuperare una dimensione discorsiva, la cui mancanza viene angosciosamente avvertita. A coronamento di questo primo tempo è posta una breve cadenza del flauto, ad ulteriore dimostrazione di come Maderna accetti, reinterpretandole, le funzioni retoriche del passato. Qui, pur allo stato embrionale, la cadenza anticipa certi tratti di scrittura dei “solo” della maturità: l'umore bizzarro e improvvisatorio di trilli e tremoli, la linea melodica che procede insistendo su determinati intervalli, l'atteggiamento ora lirico, ora teatrale che si richiede all'esecutore. Il secondo tempo dell'opera presenta una parte flautistica dai profili nettamente geometrici; mentre il pianoforte procede per andamenti accordali alternando agglomerati sonori secchi e nitidi (chiaro a carillon, in partitura) a figure angolose in risposta al flauto. La presenza di un acceso vitalismo ritmico, certe sequenze accordali di sapore tonale o politonale nonché il finale in baldanzoso crescendo mettono in relazione questa seconda parte del Divertimento con lo stile delle opere dei primi anni '40, opere nelle qualiriaffiora, pur sostenuto da forte personalità e immaginazione timbrica, il florilegio delle esperienze novecentesche care a Maderna: da Stravinskij, a Bartók, a Debussy.(Nota liberamente tratta da F. Magnani, Il divertimento per flauto e pianoforte, in Musica/Realtà n. 10, 1983)


Michele dall'Ongaro Due canzoni siciliane

Da parte materna la mia famiglia è di origine palermitana e l'infanzia è intrisa di ricordi delle melodie raccolte da Favara cantate da mia nonna accompagnata al pianoforte dal marito, il compositore Giuseppe Savagnone, davanti ai musicisti siciliani che frequentavano la famiglia: da Franco Ferrara a Barbara Giuranna, da Ottavio Ziino a Franco Mannino. Questi antichi ricordi si sono fusi con i più recenti relativi ad amici cari e strepitosi compositori come Francesco Pennisi e Aldo Clementi, con il quale ho avuto anche il privilegio di studiare. Da qui la tentazione di rileggere alcune di queste melodie grazie all'occasione offertami, con la solita generosità ed entusiasmo, da musicisti eccezionali come Luigi Piovano e Antonio Pappano che hanno pensato di inserire nel loro repertorio alcune pagine di autori italiani vicini al loro percorso musicale e ai quali, ovviamente, la partitura è dedicata. Sullo sfondo, fatalmente, un'altra esperienza, quella dei Folk Songs di Berio che hanno quasi inaugurato un “genere” al quale molti poi si sono avvicinati. E qui mi fermo, troppe parole per due paginette in fondo molto private con le quali si tenta di condividere il piacere inevitabilmente agrodolce della memoria e della nostalgia. (Michele dall'Ongaro)


Michele dall'Ongaro Spin-off

Gli spin-off (o serie costola) sono episodi ricavati mantenendo l'ambientazione di fondo della serie televisiva originaria, prendendo un personaggio secondario o minore e facendone il protagonista della narrazione. Qui di costole ce ne sono due: una è un frammento della cadenza del violoncello dal primo movimento del Concerto n. 2 di Dvo?ák per violoncello e orchestra. Ora, a parer generale, non si tratta della migliore pagina del compositore boemo, e nemmeno di una delle più note o eseguite. Pure quel frammento non so perché (dovrei andare da uno psicoterapeuta di suoni, esistesse) si è infilato nelle mie sinapsi e mi ha tormentato la memoria per qualche mese sicché ho pensato che, come ogni ossessione, il modo migliore per sbarazzarsene fosse di prenderla di petto. L'altra costola è prelevata da Zero, una partitura scritta per festeggiare il 30° anniversario dell'Ex Novo Ensemble. Che relazione possa esistere tra queste due cose proprio non saprei, lo sa la musica che mi pare abbia risolto il problema a modo suo, come al solito. Comunque una nuova occasione per monitorare le note capacità dei nostri amici musicisti, sempre disponibili come pochi alla musica di oggi e generosi compagni di strada ormai da moltissimi anni. (Michele dall'Ongaro)