Concerto 5


Martedì 14 novembre 2017, ore 20.00
Ateneo Veneto, Aula Magna

SIAE - Classici di Oggi

SOSTENENDO IL CANTO



In collaborazione con Ateneo Veneto
Con il sostegno di SIAE

Ex Novo Ensemble

Davide Teodoro clarinetto,
Carlo Lazari violino(*),
Annamaria Pellegrino violino,
Mario Paladin viola,
Carlo Teodoro violoncello.


Girolamo Salieri (1794-?)
Adagio con variazioni sopra un tema dell'opera Edoardo e Cristina di Gioacchino Rossini
per clarinetto e quartetto d'archi

Goffredo Petrassi (1904-2003)
Duetto (1985) per violino e viola(*)

Gian Francesco Malipiero (1882-1973)
Parafrasi da Abracadabra (1962) per violino (*)

Aldo Clementi (1925-2011)
Sphinxs «canoni su A.S.C.H.» (1978)per violino, viola e violoncello e campane tubolari

Luciano Berio (1925-2003)
Lied (1983) per clarinetto

Claudio Ambrosini (1948)
Ma misi me per l'alto mare aperto (2015) per quartetto d'archi

Fausto Romitelli (1963-2004)
Ganimede (1986) per viola

Giovanni Albini (1982)
Quintetto op. 53 (2017) per clarinetto e quartetto d'archi
Commissione Ex Novo Musica, prima esecuzione assoluta


Girolamo Salieri Adagio con Variazioni

Sul settimanale periodico stampato a Bologna «Teatri Arti e Letteratura» (anno 19mo. No. 890) del 4 marzo 1841 così leggiamo: «Bologna. - Domenica 7 corrente marzo avrà luogo nel grande Teatro Comunitativo una Accademia Vocale ed Istrumentale eseguita dal prof. di Clarino sig. Girolamo Salieri, Accademico filarmonico di Vienna, Firenze e Venezia.» Come d'uso all'epoca gli strumentisti a fiato preparavano per le Accademie proprî pot-pourrie cicli di variazioni nei quali esibivano il loro virtuosismo servendosi dei temi d'opera più amati dal pubblico. Girolamo Salieri non fu da meno e sono giunti fino a noi vari suoi cicli di variazioni su temi di Gioacchino Rossini, Vincenzo Bellini e Giovanni Pacini. Virtuoso clarinettista e compositore, nipote del Wiener Hofkapellmeister Antonio Salieri, dopo aver studiato a Vienna con lo zio, divenne - posteriormente al 1815 - clarinettista al Teatro di Trieste e professore del locale conservatorio. Il tema scelto da Salieri fa parte dell'opera Edoardo e Cristina, un pastiche preparato da Rossini nel 1819 per il Teatro San Benedetto di Venezia che ripropone - su un libretto costruito da suoi fidi collaboratori adattando un precedente libretto di Giovanni Schmidt - numeri da sue opere preesistenti: Adelaide di Borgogna, Ricciardo e Zoraide e Ermione. La pratica del “centone”, una costante nella storia dell'opera, divenuta consuetudine nella produzione del pesarese, consente a Rossini di creare una nuova opera su commissione: ciò avviene in modo particolarmente efficace con la sua musica, per la quale la critica ha spesso rilevato l'assoluta asemanticità del suono.

Goffredo Petrassi Duetto

Come spiegava Petrassi nel 1994 in una intervista a Sandro Cappelletto: «l'occasione fu data da un compleanno di Adriana Panni, protagonista straordinaria della vita musicale italiana. Decisi di scrivere un pezzo, che del resto avevo sempre desiderato, avendo un po' trascurato il violino e la viola. Era recente la Sestina d'autunno, e composi il Duetto togliendo e riutilizzando una cellula con la quale iniziava la Sestina, che è dedicata a Stravinskij. IlDuetto è un fulgido esempio di quel processo di “germinazione” dei materiali musicali tanto caro a Petrassi: «la viola comincia con il tema gregoriano del Veni creator Spiritus, reso in modo molto intimo: da qui si sviluppa tutto.» Approccio alla composizione che l'autore spiega così: «iniziato il lavoro, è il materiale musicale a suggerire il procedimento ed è il procedimento a suggerire lo svolgimento ulteriore, in una specie di autogenesi che si può trovare alla base di tanti processi immaginativi.» Petrassi da un lato si rifiuta di imbrigliare la creatività «programmando in antecedenza la composizione» ma dall'altro ammette che il comporre «deve necessariamente essere sorretto da un'esigenza formale, sia pure non dichiarata o addirittura inconsapevole.». Sinfonie, sonate, concerti: cinquant'anni fa «costituivano un supporto formale preesistente che garantiva la tenuta del pezzo»; l'attuale mancanza di qualsiasi riferimento a un codice formale prestabilito obbliga il compositore di oggi a «trovare un altro tipo di coerenza: una coerenza interna al pezzo. Per ogni singolo lavoro va cercata una sua struttura, una struttura formale che gli sia propria: si può dire che ogni singolo lavoro vive la propria forma.» In una conversazione con Carla Vasio Petrassi illustra un altro concetto importante del suo alto artigianato compositivo: «a proposito di certe scene, Giuseppe Verdi diceva che ne cercava la “tinta”: è molto appropriato, perché ogni lavoro ha una sua particolare tinta. Si può dire che ha un preciso rapporto timbrico o sonoro o concettuale, ma parlare di tinta mi sembra più appropriato. Dunque, una volta impostata la tinta o l'ambito o come lo si voglia chiamare, dopo tengo fede a una totale libertà di conduzione: lascio che la musica stessa mi suggerisca che cosa devo fare.» Libertà dunque ricondotta «a una necessità intrinseca al pezzo stesso» e coscienza che, nell'articolazione del comporre, «il caso esiste, ma è un caso guidato.»: se l'opera è riuscita, alla fine «ti accorgi che in una apparente confusione il pezzo c'è, tout se tient, come dicono i francesi.» E i suoi molti allievi ricordano il limpido aforisma caro al maestro: «J'aime la regle que modifie l'inspiration, mais je prefere l'inspiration que modifie la regle».

Gian Francesco Malipiero Parafrasi

Trattasi di un breve ma intenso brano per violino inserito come quarto numero di Abracadabra, una miscellanea di otto brevi pezzi per gli organici più svariati composta nel 1962 su testi dello stesso Malipiero. Bruno Maderna ne diresse nel 1963 la prima esecuzione al XXVI Festival della Biennale di Venezia. Il movimento per violino solo è il quarto pezzo e il titolo Parafrasi si riferisce al fatto che la sua prima metà riprende motivi del primo e secondo brano, mentre la seconda metà anticipa frasi che verranno usate nel quinto, sesto e settimo brano. John Waterhouse,rimarcando gli aspetti “curiosamente cerebrali”del tardo stile malipieriano,così ne parla (in Malipiero, Torino, Nuova Eri, 1990): «ovviamente questo movimento per violino deve essere stato scritto per ultimo, in un artificioso tentativo di dare un'apparenza di unità ad una composizione che invero non ne ha affatto.» Giudizio severo che accusa questa musica di «divagazione amorfa», di giustapporre brani «laboriosi e declamatori» ad altri «svagatamente girovaganti». Giudizio che però non tien conto - come rileva Mario Messinis nell' introduzione agli atti del convegno svoltosi presso la Fondazione Giorgio Cini nel 1972 a festeggiamento dei novant'anni del maestro - che l'ispirazione «nascerà spesso su uno spunto visivo, diciamo da una provocazione o goethianamente, occasione, per un dato o fatto extramusicale», rimanendo al cuore della esperienza malipieriana l'idea del teatro, «un teatro sintetico e antipsicologico concepito come un seguito di maschere livide e risentite». Gli scenari improvvisati, il gusto del lazzo e dello sberleffo divengono strumenti per l'abbandono a modi lirici «ora compiaciuti di allegrezze, motteggi ed estrosità di canzone, ora dilatati in ariosi nobili e patetici, ora accesi in arabeschi secchi e pungenti» e per vagheggiare il ritorno ad una civiltà remota e ad una mitologia popolare di stampo rinascimentale e barocco. Le rigide sagomature (differenziate con sicura mano di bozzettista) dei brevi brani di Abracadabra con i suoi organici «capricciosi e inusitati» anelano a «conservare la facoltà affatto italiana, metaforica piuttosto che realistica, di esprimere simbolicamente tutta la realtà» attraverso un contatto mediato che la riduca ad archetipo. La solitudine del musicista, la sua «amarezza implacabile nel rifiuto della vita e dell'oggi» ritrova nella finzione una vitalitàdescrittiva, singolarmente avida e vivificante.

Aldo Clementi Sphinxs

Si tratta di poche misure di un contrappunto canonico a 12 parti (ogni strumento suona sempre su tutte e quattro le corde) derivato dai tre moduli di Sphinxs (da Carnaval op. 9) di Schumann. Le varie combinazioni di corde tenute o appena sfiorate prolungano il pezzo indefinitamente; in più la diversa accordatura dei tre archi dovrebbe generare un semplice tessuto fitto, opaco e senza dettagli. Tre campane tubolari sono a tratti percosse con l'arco, ognuna da un esecutore (AS, C, H, cioè la bemolle/do/si nella terminologia anglosassone). (Aldo Clementi)

Paolo Petazzi ci illustra in questa interessante nota il complesso intreccio di significati sottesi alle simbologie usate da Robert Schumann e Aldo Clementi: «Sottotitolo di questo pezzo è «canoni su A.S.C.H.». In tedesco queste lettere (pronunciando la seconda Es) corrispondono alle quattro note (la, mi bemolle, do, si) che costituiscono il nucleo su cui è costruito il Carnaval di Schumann, e disposte in altro ordine, danno S.C.H.A. (mi bemolle, do, si, la) e AS.C.H. (la bemolle, do, si). Le tre diverse combinazioni sono scritte (in forma di note sul pentagramma) tra l'ottavo e il nono pezzo del Carnaval, portano il titolo Sphinxs e non devono essere eseguite. Al di là della loro funzione strutturale, c'è il gusto dell'allusione segreta: SCHA sono le sole lettere interpretabili come note nel cognome Schumann. Asch è una cittadina boema dove era nata Ernestine von Fricken, che il musicista allora amava. In Clementi i tre “sfingei” moduli schumanniani sono divenuti base di una fitta costruzione contrappuntistica. La partitura è formata da tre pagine, che vanno ripetute secondo lo schema 1, 1/2, 2/3, 3/2, 2. Questo schema deve essere eseguito almeno tre volte, ma può prolungarsi all'infinito; i tre strumentisti devono suonare sempre pianissimo, cominciando il più presto possibile e rallentando insensibilmente fino alla fine. É indicata con precisione, per ciascuna pagina, la distinzione tra suoni tenuti e suoni brevi o brevissimi. Va sottolineata, nell'analisi dell'autore, l'osservazione sul tessuto “fitto, opaco e senza dettagli”: si tratta di un risultato sonoro in cui si tende alla negazione dell'intervallo, all'annullamento, attraverso le dense sovrapposizioni contrappuntistiche, della riconoscibilità dei singoli elementi. Si manifesta così, coerentemente, quella radicale concezione dell'informale cui Clementi è pervenuto, dopo essersi lasciato alle spalle l'originale partecipazione alle esperienze “post-weberniane”, approdando alla definizione, di volta in volta diversa, di una massa sonora nella cui bloccata staticità solo il variare della densità e del colore consente mutazioni. L'appiattimento dei contrasti, l'annullamento dei contorni in un cangiante magma sonoro implica il rifiuto di qualsiasi svolgimento “discorsivo”, di qualunque percorso delineato come articolazione del tempo: proprio all'annullamento del tempo tende, fino ai limiti del possibile, la musica di Clementi, proponendosi come oggetto sonoro di carattere spaziale, come spazio colore, dove il passare dei minuti serve solo a presentare diversi, cangianti aspetti del magma sonoro.» (Paolo Petazzi)

Luciano Berio Lied

L'approccio di Luciano Berio al virtuosismo non si limita a proporre una esibizione di abilità tecniche ma richiede all'esecutore un “virtuosismo di conoscenze”, un approccio intelligente e storicamente consapevole che, attraverso una profonda comprensione del testo, esplichi all'ascolto la gestualità delle articolazioni e le relazioni che si evincono dall'analisi dei materiali compositivi. Questa filosofia, che pone l'interprete al centro del problema della comunicazione musicale, ed è alla base della concezione stessa del ciclo delle quattordici Sequenze, risulta con paradigmatica evidenza in Lied. La scrittura vocale ebbe per Luciano Berio una importanza fondamentale al punto da infiltrarsi fortemente nel suo approccio alla musica strumentale. Berio non aderisce né all'antica concezione della musica strumentale come estensione di quella vocale, né agli assunti della riforma monteverdiana nella quale la musica vocale diventa un alter ego della musica strumentale. Egli cerca un equilibrio tra i due approcci e individua in Mozart e Stravinskij i due più illustri maestri in quest'arte.
In Lied il brevissimo inciso iniziale di solo quattro altezze (situate all'interno dell'intervallo di quarta re3-sol3) costituisce l'elemento generatore di tutto il brano, rappresentando queste altezze un “orizzonte di ascolto” nei confronti degli altri suoni, i quali vengono dunque percepiti come deviazioni rispetto all'inciso iniziale. Nella complessa concezione della variazione motivica si rilevano altresì un certo numero di ricorrenze significative della forma melodica e ritmica primaria dell'inciso che rafforzano lo stimolo della memoria a lungo termine, a favore di una miglior comprensione e comunicazione della struttura formale. Anche la complessa elaborazione delle fioriture alla linea del canto si fonda su insieme di altezze ben definito tra cui spicca il tritono re-la bemolle, con progressiva prevalenza di quest'ultima altezza, che viene percepita quasi come un annunciodella fine del brano.

Claudio Ambrosini Ma misi me per l'alto mare aperto

È curioso ma non avevo mai scritto un quartetto per archi, benché fossi stato più volte invitato a farlo. Finché non me lo ha chiesto Mario Messinis per un concerto da tenersi alla Fondazione Vedova, a Venezia. Ho accettato con entusiasmo, anche perché era un modo per riandare con la memoria a Emilio Vedova, a Bruno Maderna, a Luigi Nono, alla Venezia degli anni in cui ho cominciato. E a Gioacchino Lanza Tomasi, il dedicatario, uno dei primi ad aiutarmi concretamente a varare la nave. Le parole di Dante guidino ancora la rotta.
Per viatico: l'indagine sugli strumenti (produzione del suono/ascolto), la trasformazione del flusso di energia in forma. Come meta: un suono teso, che entri in uno spazio tridimensionale, veneziano, in cui le rifrazioni, gli scambi prospettici, le alternanze “battenti” rendano la tradizionalmente omogenea formazione del quartetto d'archi sbilanciata, cangiante, a tratti liquida, inafferrabile. (Claudio Ambrosini)

Fausto Romitelli Ganimede

Per Romitelli la composizione è una pratica ludica che ha per oggetto la manipolazione del suono che viene trasformato, “aggredito” con forte tensiva sensibilità corporea. Convinto che «spesso la musica contemporanea che ascoltiamo è castrata da una sorta di ideologia formalista, legata ad una considerazione puramente astratta degli aspetti strutturali e segnata da scarso interesse verso la percezione» Romitelli invita i compositori «a sporcarsi le mani, a uscire dal confortevole ghetto della musica colta contemporanea per confrontarsi con tutto l'universo sonoro che li circonda» , Per Romitelli il suono acustico (e con esso la ricerca della sua perfezione “armonica”) appartiene alla storia mentre il suono che ci circonda è fatto di musica amplificata, filtrata, trasformata, distorta dagli altoparlanti: la natura della sua ricerca espressiva si materializza attraverso un suono che partecipi alla nostra vita quotidiana: «è questo il nostro mondo, e lo è tanto nel senso sonoro che metaforico. Io desidero interpretare l'esperienza del vissuto rivestendola di una materia che le sia analoga. Unicamente attraverso questo tipo di esperienze sonore può sorgere un orizzonte simbolico che io senta appartenermi».(le citazioni sono tratte dall'intervista di Eric Denut a Fausto Romitelli in Il corpo elettrico, Monfalcone, 2003).
Pur essendo il brano che ascolteremo questa sera lontano cronologicamente (1986) dal momento in cui queste formulazioni estetiche vennero messe in musica nei lavori della maturità dell'autore (1998-2004), è carico di suggestioni espressive e di preveggenti intuizioni che si sarebbero presto sviluppate. In Ganimede Romitelli intende evocare un'atmosfera di assoluta immobilità attuata mediante la frammentazione di due serie armoniche in tratti brevi: la giustapposizione incessante di questi frammenti crea un'aura, una sensazione emozionale di natura psichedelica. La tecnica della frammentazione, che Romitelli deve alla lezione di Donatoni, rende indistinguibile l'origine del materiale, vivificandone le increspature. Se Romitelli ammirava in Donatoni l'abilità articolatoria del suono strumentale rifiutò da subito l'estetica del collages che mirava a costruire una materia sonora continuamente cangiante, ribollente, aperiodica e convulsamente inquieta. Romitelli ricerca proprio quel che Donatoni rifugge: cioè una degradazione, una collassazione dei tratti semantici contenuti nel materiale iniziale, non una loro valorizzazione. Ganimede guarda all'idea di un suono corporeo accompagnato da ombre e munito di scheletro, carne e pelle, in sintonia con le suggestioni dello Spettralismo e con ammirazione verso l'arte di Gérard Grisey, autore da lui sempre citato, nella linea storica Debussy-Ligeti-Grisey, come colui che ha meglio di ogni altro saputo esaltare il valore della sintesi e della fusione di molte diverse stratificazioni e suggestioni sonore.

Giovanni Albini Quintetto op. 53

Nella tensione verso un linguaggio asciutto, essenziale e icastico, la mia poetica si concentra sulla riduzione di un materiale musicale elementare - scale diatoniche, triadi, elementari condotte delle parti: le radici della nostra musica precipitate a nude forme archetipiche - ai suoi tratti essenziali, cercando di svelare alcuni luoghi inaspettati delle sue potenzialità espressive. Mentre quello stesso materiale, pur straniato, continua a vibrare di secoli di linguaggi, stili e storie. Come se le composizioni si costituissero a suo monumento, nel percorso controluce maturato nello studio dei meccanismi combinatori e dell'astrazione matematica che tale materiale nasconde, consentendo di svelare e scegliere alcuni luoghi inaspettati delle sue potenzialità espressive. Nuovi meccanismi, nuove sintassi, nuovi percorsi. (Giovanni Albini)