Concerto 4


Sabato 11 novembre 2017, ore 18.00
Ateneo Veneto, Aula Magna

SIAE - Classici di Oggi
QUASI UNA SERENATA


In collaborazione con Ateneo Veneto
Con il sostegno di SIAE

Daniele Ruggieri flauto,
Alberto Mesirca chitarra,



Mario Castelnuovo Tedesco (1895-1968)
Sonatina op. 205 (1965)per flauto e chitarra
Allegretto grazioso - Tempo di siciliana - Scherzo-Rondò

Camillo Togni (1922-1993)
Cinque Pezzi per flauto e chitarra (1975/6)
Intreccio-Fermamente - Fiore di cinnamomo - Rondine garrula - Compianto

Niccolò Castiglioni (1932-1996)
Sic (1992) per flauto e chitarra

Giorgio Federico Ghedini (1892-1965)
Tre pezzi per flauto (1962) per flauto
Andamento - Bizzarria - Canto, o della solitudine

Mauro Giuliani (1781-1829)
Grande Duo Concertante op.85 (1817) in la maggiore per flauto e chitarra
Allegro moderato - Andante molto sostenuto - Scherzo (Vivace) - Allegretto espressivo

Antonio Covello (1985)
jenseits der Menschen II (2017) per flauto e chitarra
Commissione Ex Novo Musica, prima esecuzione assoluta


Mario Castelnuovo Tedesco Sonatina op. 205

Nel 1965 Castelnuovo-Tedesco aveva settant'anni e il suo catalogo già superava i duecento numeri d'opera. La Sonatina per flauto e chitarra, con la sua scrittura naturale e perfettamente equilibrata, è prova della lunga esperienza compositiva del suo autore. Nel primo movimento, allegretto grazioso, i due strumenti godono di perfetta pariteticità nell'esposizione dei due temi. La sezione centrale, più dolce e tranquillo, vede la comparsa di un nuovo soggetto, cui segue una ripresa dei materiali iniziali svolta con tipiche pratiche contrappuntistiche: procedimenti a canone, combinazioni ed inversioni dei temi. Una seconda ripresa della sezione centrale (tranquillo) propone l'ascolto simultaneo dei due temi principali ma il tema iniziale verrà trasformato espressivamente per adeguarsi al contesto di questo nuovo tempo. Il movimento si conclude con il motivo di apertura trattato per moto contrario tra i due strumenti.
Il secondo movimento, Tempo di siciliana,affida al flautola prima esposizione di un affascinante tema dal sapore teneramente nostalgico; una riesposizione del tema da parte della chitarra viene finemente decorata da virtuosistici arabeschi di abile scrittura flautistica. Una sezione centrale, quasi notturno, deriva una nuova melodia dagli arpeggi chitarristici di accompagnamento al tema principale. Il ritorno alla siciliana iniziale viene trattato in modo canonico tra i due strumenti e una serena coda conclude il movimento nella tonalità maggiore.
Lo spiritoso Scherzo-Rondò che conclude il lavoro si svolge in due sezioni A e B, nelle quali entrambi gli strumenti presentano il tema poi trattato canonicamente. Nelle sue riproposizioni, il tema del rondò viene proposto invertito e il passaggio successivo (in veloci terzine) risulta essere costruito sviluppando la figura di accompagnamento di apertura. Il nuovo tema della sezione C viene prima presentato dalla chitarra ornato da un accompagnamento flautistico “in frullato”, poi dal flauto accompagnato da un andamento chitarristico “in tremolo”. La sezione A viene brevemente riproposta e sfocia in una estesa coda che vede la sovrapposizione del tema B (al flauto) e del tema C (alla chitarra). Il brano, composto per Werner Tripp and Konrad Ragossnig, è sicuramente una delle opere del repertorio moderno che meglio colgono l'espressività pacata, intima, meditativa, mai salottiera, di questo affasciante duo strumentale.

Camillo Togni Cinque Pezzi

L'improvvisa scomparsa di Luigi Dallapiccola nel febbraio del 1975 e la lettura del libro di Bruno Gentili su Anacreonte ispirarono la stesura dei Cinque pezzi per flauto e chitarra, scritti nel 1975/76. Il materiale seriale è desunto dalle diciotto battute iniziali dell'ultimo lavoro del compositore istriano Lux, abbozzato per voci e strumenti e rimasto incompiuto. Fu la moglie Laura a trovarlo sul pianoforte la sera del 18 febbraio 1975 e a donarlo agli amici del marito.A ciascuno dei cinque pezzi è preposta una citazione da Anacreonte. Il terzo pezzo, Intreccio, che è un piccolo erotikon per flauto solo composto con i quarti di tono, funge da centro ideale di una rifrazione che accompagna sensibilmente l'intera opera, permeandola di interne corrispondenze che sottilmente rimandano al comporre di Dallapiccola. Attorno ad esso si stringono il secondo pezzo (Fermamente) e il quarto (Fiore di cinnamomo), entrambi per flauto e chitarra. I suoni multipli del flauto solo caratterizzano il primo (Rondine garrula) e l'ultimo (Compianto), nel quale il flauto espone tutta la melodia di Dallapiccola isolandone le frasi con lievi ombreggiature di accompagnamento.Proporzioni architettoniche, figure ritmiche, valori di durata, densità orizzontale e gradi d'intensità dinamica rappresentano una diretta conseguenza della struttura dodecafonica, eppure direttamente proporzionale a tanta coerenza risulta la straordinaria libertà, lo stile decisamente improvvisativo della scrittura.Il primo brano, Rondine garrula, per flauto solo, leggerissimo nelle sonorità, è caratterizzato da un brulichio di suoni velocissimi e come polverizzati, confluenti in suoni multipli o tremoli.Tutte le sequele - velocissime, ciascuna fornita di una ben precisa dinamica -si concludono con un suono del flauto: multiplo, tremolo, frullato, alla fine anche con la voce. Una attenta determinazione della durata delle cesure tra le sequele determina la crescente concitazione dell'iter sonoro. Nel secondo brano, Fermamente alla linearità del flauto solo si sostituisce un dialogo serrato con la chitarra, il colore diviene vivido e le articolazioni perdono in sfumatura per guadagnare in incisività. II flauto introduce il suono con colpo di chiave mentre la chitarra realizza armonici di estrema secchezza, pizzicando con l'unghia del pollice della mano destra la corda dietro al dito della mano sinistra, sulle barre. Ogni sequela è caratterizzata da sonorità molto ben definite, a volte in contrasto fra i due strumenti, a volte in totale sintonia. Il terzo brano Intreccio costituisce il punto culminante dell'intera composizione. Si trova al centro, la sua forma è a specchio, il suo materiale assorbe i quarti di tono come in un'ansia di possesso dell'intera gamma sonora. La sua temperatura espressiva è di straordinaria intensità: pur ricercando il massimo dell'intonazione con una serie di posizioni particolari, il flauto non è tuttavia in grado di garantire su tutti i quarti di tono la stessa qualità timbrica. La linea appare cosi franta, spasmodica, ricca di colori che riesumano le ancestralità ligneedell'aulos greco. Il quarto brano, Fiore di cinnamomo il ritorno all'intreccio tra i due strumenti si riflette questa volta in una decantazione del suono: sonorità tenui, intercalarsi di articolazioni rapide a momenti di stasi, armonici ai due strumenti, frullati e ribattuti al flauto, al ponticello e battuto sulla tastiera, smorzato alla chitarra. Nell'ultimo brano, Compianto, per flauto solo, è dedicato esplicitamente alla memoria di Dallapiccola ed è una citazione letterale della parte vocale del suo pezzo rimasto incompiuto. Il flauto espone le quattro frasi della melodia originale negli identici intervalli del testo e con una ritmica che ripropone (con durate declamatorie approssimative, quasi da canto gregoriano) le durate dell'originale; al termine di ogni frase il flauto inserisce però una sorta di accompagnamento-espletamento basato su suoni multipli, ad integrazione della forma seriale che la melodia aveva solo parzialmente enunciato. La quarta frase inverte la situazione in modo da chiudersi con gli ultimi suoni scritti da Dallapiccola sulla parola “lumen”. (tratto da Daniela Cima, Camillo Togni, Le opere, Edizioni Suvini Zerboni, Milano, 2004)

Niccolò Castiglioni Sic

In questo raffinato brano di Niccolò Castiglioni due brevi movimenti veloci, in forma di danza, incorniciano tre episodi centrali di grande lirismo, ricercatezza timbrica e intensa emotività. L'episodio iniziale, presto, rigorosamente in tempo, affidato all'ottavino, abbaglia per la luminosa, divertita e ironica gestualità di uno degli strumenti più amati dall'autore, al quale è affidata una melodia circolare tanto ricca di rimandi interni quanto continuamente “spezzata” da brusche deviazioni nelle figurazioni. Alla chitarra - che suona un solo accordo, “strappandolo” con rituale potenza sonora - è affidato il compito di evidenziare la metrica, ora regolare, ora fortemente asimmetrica dello strumento solista. L'episodio che conclude il brano, allegretto, presenta in modo evidente la riproposta “a specchio” dei materiali del flauto nella linea della chitarra. La struttura frammentaria dell'inizio, un vero e proprio hoquetus, si infittisce progressivamente man mano rivelando il procedimento canonico che organizza l'intero movimento. In questi due movimenti estremi di Sic ritroviamo l'amore di Castiglioni per «una certa nobiltà popolaresca.» e la sua ritrosia per i «per i toni snervatamente delicati e troppo raffinati». Nei tre episodi lirici centrali (Andante sostenuto, Molto calmo, Con fantasia) - collegati tra loro da arabeschi di bellezza cristallina affidati alternativamente ai due strumenti - prevale un paesaggio sonoro rarefatto e un'atmosfera notturna, sacrale, subito inaugurata dal flauto in sol nel suo registro più grave. Se il primo dei tre episodi si apre con la secca citazione di una serie dodecafonica affidata al flauto, il secondo - per contrasto - presenta una dolce melodia accompagnata da accordi dal sapore tonale, evocazione raffinatissima della temperie romantica, che l'autore ha sempre dichiarato di amare. Il terzo brano conclude la parte centrale del lavoro con un ampio solo della chitarra: dodici sistemi, nei quali lo strumento viene accompagnato da una sola nota di flauto nel registro basso per ogni sistema; esponendo dunque quest'ultimo una nuova serie dodecafonica! Il trattamento dello strumento solista con grandi lirici cambi di registro e un raffinato pacato uso di suoni armonici rivela la miracolosa naturalezza della scrittura di Castiglioni, evocando alla memoria l'atmosfera di una trasfigurata serenata notturna.

Giorgio Federico Ghedini Tre pezzi

Secondo Luciano Berio Ghedini era un musicista artigiano, rifiutava ogni ideologia, «era essenzialmente un compositore di natura tematica». Avventurandosi in zone più complesse «lo faceva sempre in maniera molto emotiva, […] gli mancava la dimensione “intellettuale”, concettuale della musica». «Le musiche tecniche durano come la moda d'un abito: quelle che cantano sono eterne» ebbe ad affermare Ghedini rimarcando la sua posizione di esclusiva concentrazione sul fatto musicale. Spirito autocritico spesso divorato da un'ansia di superamento, egli sperimentò peraltro tutte le “imposizioni tecniche” che istintivamente rifiutava, prima attraverso una stagione di severità contrappuntistica (dal 1940 a poco dopo la fine del conflitto mondiale), poi addirittura attraverso la parziale adozione linguaggio dodecafonico. Come afferma con grande acume Luciano Berio «è possibile che alla base del suo rifiuto di una certa modernità ci fosse un giudizio dato dall'orecchio, la percezione di cose che non quadravano, di essere in presenza di musica scritta da gente che aveva delle pessime orecchie […] può anche darsi che ciò rispondesse auna esigenza di rigore interiore, di purezza. Comunque sia, Ghedini a questo punto si ritraeva.» I Tre pezzi per flauto che ascolteremo questa sera sono tra le ultime opere dell'autore, appartengono ad una stagione creativa spesso a torto liquidata come indulgente all'edonismo sonoro, al puro compiacimento timbrico di rassicurante ordine paratonale. Scritti in un linguaggio modale depurato da ogni tensione cromatica, raggelati in una fissità contemplativa venata di arcaismo religioso questi brani esprimono - come afferma Goffredo Petrassi -la sua passionalità «in modo molto spesso freddo e distaccato: c'era un fuoco che ardeva in lui ma che non appariva, di cui bisognava indovinare l'esistenza». La sua attrazione per la musica rinascimentale e la profonda, quasi infantile, infatuazione per il madrigalismo monteverdiano rappresentano per Ghedini una naturale condivisione di modalità espressive con gli antichi maestri, una fiducia nella musica in grado di esprimere alti valori umani. L'isolamento culturale in cui visse (emblematicamente espresso dal titolo dell'ultimo dei tre brani che ascolteremo questa sera: Canto, o della solitudine) fu anche dettato da un carattere molto acceso e polemico ben tratteggiato da Fernanda Pivano: «cosa volete, Ghedini è fatto così. Se si dimentica un momento di essere Ghedini, parla male di Ghedini».

Mauro Giuliani Grande Duo Concertante op.85

Mauro Giuliani, nacque nel 1781 a Bisceglie (vicino a Bari), all'epoca territorio del Regno di Napoli. Non sappiamo molto dei suoi anni di formazione, ma lo ritroviamo a Vienna nel 1806, ove si impone come uno dei migliori musicisti della capitale austriaca. La chitarra ebbe notevole fortuna nella Vienna dell'epoca Biedermeier: meno costosa del violino e del pianoforte per l'educazione dei bambini (tutti avviati allo studio di uno strumento), più facilmente trasportabile e di più facile approccio per un apprendimento di livello amatoriale, la chitarra garantiva anche un buon numero di vantaggi sociali: poteva essere fonte di divertimento nei salotti borghesi e aristocratici, durante gite in campagna o lunghi viaggi; per le giovani ragazze rappresentava poi una strategia precisa per mettersi in luce in società e attirare l'attenzione di eventuali pretendenti. Un numero significativo di pubblicazioni viennesi destinate alla chitarra la vedono presente - sia in ruoli concertanti che di accompagnamento - in piccoli complessi strumentali.
La notorietà di Giuliani a Vienna fu così rilevante che venne nominato dall'imperatrice Maria Teresa d'Austria «virtuoso onorario da camera». In una delle più importanti feste celebrative della corte viennese, le «Sérénades pour les soirées musicales dans le Jardin Botanique de Schönbrunn», Johann Nepomuk Hummel incluse in suo onore, nella sua Serenata op. 63, tre variazioni così nominate «de Mons: Giuliani, de Mons: Maysender, de Hummel». Nel partecipare a concerti con i migliori musicisti della corte fu probabilmente in funzione della collaborazione concertistica con il più grande violinista viennese dell'epoca, Louis Spohr che Giuliani compose la maggior parte delle sue opere per violino e chitarra. Come d'uso il violino era sempre sostituibile con il flauto. Il Grande Duo Concertante op.85 è forse la più famosa fra le composizioni del suo ricco catalogo per questo complesso strumentale. Avvolta da uno charme che desidera essere funzionale ai gusti viennesi, l'opera è pervasa da una melodicità intrisa di un gusto mediterraneo: passionale, intimo e a tratti nostalgico. Allo strumento solista naturalmente è affidato un ruolo dominante sul piano melodico ma ritroviamo nella parte chitarristica un numero di soli che esigono una tecnica avanzata e un buon numero di passaggi di «bravura alla Rossini» che escludono quest'opera da una destinazione amatoriale.

Antonio Covello jenseits der Menschen II

Il brano è il secondo della serie jenseits der Menschen,formata da composizioni per organici diversi, accomunati dalla considerazione della componente melodica come elemento cardine: il titolo corrisponde alle ultime parole della poesia Fadensonnen di Paul Celan «es sind noch Lieder zu singen jenseits der Menschen» (ancora vi sono melodie da cantare al di là degli uomini). È proprio la melodia - leggera e con un carattere meditativo - ad aprire questo brano per flauto e chitarra; e ciascuna tipologia di variazione e sviluppo a cui essa è sottoposta è essa stessa (e coincide con) una sezione della composizione; definendola quindi non solo sul piano lineare ma anche in senso “formale”, strutturale. Tale modus operandi ripercorre all'inverso - a mo' di alter ego- ciò che accade nel primo brano della serie, per clarinetto e violoncello, dove la melodia si dispiega solo nella sezione conclusiva. (Antonio Covello)