Concerto 3


Domenica 29 ottobre 2017, ore 20.00
Gran Teatro La Fenice, Sale Apollinee

COMMUOVERE L'ANIMA



Con il sostegno di Palazzetto Bru Zane - Centre de musique romantique française

Daniele Ruggieri flauto,
Roberto Giaccaglia fagotto,
Carlo Teodoro violoncello,
Aldo Orvieto pianoforte.


Franz Joseph Haydn (1732 - 1809)
Trio Hob. XV:17(1790) in fa maggiore per flauto, violoncello e pianoforte
Allegro - Tempo di minuetto

Anton Reicha (1770 - 1836)
Sonata in si bemolle maggiore (1810/15)per fagotto e pianoforte
Allegro - Adagio - Allegretto

Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)
Sonata K. 292 (1776)per fagotto e violoncello
Allegro - Andante - Rondò (Allegro)

Anton Reicha (1770 - 1836)
Grand Quatuor Concertant op. 104 (1824) in mi bemolle maggiore per flauto, fagotto, violoncello e pianoforte
Adagio/Allegro - Andante - Minuetto (Allegro Assai) - Finale (Allegro)


Anton Reicha Sonata per fagotto, Grand Quatuor op. 104

Allo stesso modo di Haydn, universalmente considerato “il padre del quartetto d'archi”, Anton Reicha divenne a giusto titolo famoso per la sua produzione di quintetti a fiato. I suoi 24 quintetti, scritti nel periodo 1811-20 e dedicati a illustri virtuosi del Conservatoire, gli assicurarono autentico successo presso il pubblico parigino. Per gli stessi virtuosi di strumento a fiato Reicha scrisse una considerevole mole di brani solistici tra i quali la serie dei quintetti per flauto (op. 105), per oboe (op. 107), per clarinetto (op. 89), per corno (op. 106), per fagotto (1826) e quartetto d'archi. Oltre al flauto, strumento prediletto da Reicha -il giovane Anton iniziò la sua carriera musicale come flautista nella Hofkapelle di Bonn con al fianco Franz Ries e Andreas Romberg ai violini e Ludwig van Beethoven alla viola -anche il fagotto riveste notevole importanza nel suo catalogo: oltre al già menzionato quintetto,egli compose una serie di Variazioni per il medesimo organico strumentale e i due brani che ascolteremo questa sera: la Sonata per fagotto e pianoforte e il Grand Quatuor op. 104 per l'insolito organico di flauto, fagotto, violoncello e pianoforte. Anche se, a giudizio degli attuali studi musicologici, l'approccio intellettuale e analitico della musica di Reicha difficilmente si coniuga con la spontaneità necessaria al palcoscenico, sappiamo che Reicha si stabilì definitivamente a Parigi nel 1808 con la ferma volontà di intraprendere la carriera di operista. Nonostante egli stesso annoveri alcuni lavori teatrali di quegli anni tra le sue opere più riuscite, l'insuccesso della sua musica di scena lo indusse a ripiegare sulla più intima vena espressiva cameristica. Ma l'eco di questo suo primo amore appare in molte sue opere, come anche nell'Adagio iniziale del Grand Quatuor ove assistiamo ad una vera e propria “entrata in scena” delle individualità strumentali, che vengono caratterizzate con idiomatica definizione espressiva. Il seguente Allegro in forma sonata, presenta una perfetta pariteticità di scrittura tra le voci con una leggera predominanza della parte pianistica che a tratti viene esposta nella forma - che ritroviamo spesso in opere coeve di Mozart e Beethoven - di un concerto per pianoforte e ridotto organico orchestrale. Da segnalare, nel corso di questo primo movimento, un breve tema di marcia che apre in modo assolutamente inconsueto la sezione di sviluppo. Anche il secondo movimento si avvale di una breve introduzione, questa volta pianistica, quasi sipario operistico. Il fagotto espone un tema di nobiltà haydniana, che, nel corso del brano, verrà riproposto una seconda volta dal violoncello e una terza, in forma riccamente fiorita, dal flauto. Le sezioni di ponte tra le tre esposizioni tematiche sono per lo più affidate al pianoforte e la più estesa tra queste, nell'emblematica tonalità di do minore, volge la classicità del tema iniziale a tinte romantiche, indulgendo talvolta al patetico ma con perfetto equilibrio formale di ascendenza mendelssohniana. Di gusto Biedermeier appare anche il seguente Minuetto, la cui struttura formale presenta due riprese del tema iniziale e due Trii, di cui un primo con dolce andamento di Ländler, ed un secondo pianistico che, con bell'effetto teatrale, ci proietta in un mondo di raggelata arcaicità. La conclusione del movimento abbrevia la riesposizione iniziale per lasciar spazio ad una coda “sinfonica” su materiali del primo Trio. Il Finale presenta un rigore analitico e un impegno intellettuale senza precedenti per un'opera del periodo. L'utilizzo di una struttura ibrida tra Rondò e Forma Sonata consentono a Reicha di sfoggiare tutta l'abilità combinatoria dei suoi studi matematici con un risultato di sorprendente rutilanza fonica di materiali. La Sonata per fagotto e pianoforte, opera postuma e non inclusa nel catalogo che l'autore redasse in vita, fu probabilmente scritta da Reicha durante i primi anni del suo soggiorno parigino: presenta due brillanti movimenti veloci che incorniciano un Adagio elegiaco di grande liricità e sapienza nello sfruttamento di tutti i registri espressivi dello strumento. Il primo tempo in forma sonata e il Rondeau finale puntano su un virtuosismo lussureggiante ma mai gratuito; sempre controllato e funzionale al desiderio di ordine formale che contraddistingue tutta la musica di Reicha. La Sonata non presenta ancora quegli attributi di commistione linguistica che vediamo dominare nel Grand Quatuor ove diversi climi sonori evocati da molteplici linguaggi appartenenti a epoche storiche molto differenziate vengono sapientemente sfruttati drammaturgicamente. Tale stile, che contraddistingue l'ultimo periodo creativo dell'autore, è senza dubbio quello che meglio identifica la musica di Reicha come colta e raffinata sintesi della grande instabilità che caratterizzò la ricerca linguistica e formale del primo Ottocento.

Franz Joseph Haydn Trio Hob. XV:17

Dopo la morte di Nikolaus I Joseph Prince Esterházy il 28 settembre 1790 l'orchestra di corte fu sciolta e Haydn si trasferì a Vienna. Nel 1791/92 intraprese la sua prima visita in Inghilterra e nel 1794/5 la seconda.I tre Trii Hob. XV: 15-17 (1790) gli furono commissionati dall'editore inglese John Bland nel 1789. Ciò non impedì all'imprenditore Joseph Haydn di vendere contemporaneamente le tre opere all'editore Artaria di Vienna! Si tratta degli unici esempi di trii con pianoforte il cui organico annovera il flauto in luogo del più consueto violino: strumentazione che potrebbe essere spiegata come una concessione al gusto inglese in quanto il flauto era all'epoca molto popolare tra i membri dell'aristocrazia e della borghesia anglosassone. Anche i più tardi London Trios Hob. LV: 1-4 (1794) per due flauti e violoncello, furono infatti scritti per due aristocratici inglesi, flautisti dilettanti. Al contrario degli altri due trii (in re e sol maggiore)scritti per il medesimo organico - strutturati entrambi in due vivaci movimenti in forma sonata che incorniciano un movimento centrale più lento in forma di Lied - il Trio in fa maggiore, che ascolteremo stasera, ci rivela deliziose sorprese. La partizione dell'opera in due soli movimenti presenta un solenne Allegro iniziale con una drammatica sezione di sviluppo condotta sinfonicamente, profondamente espressiva. Il carattere intenso e passionale del primo movimento si scioglie in un compassato ed elegante minuetto che conclude l'opera.In questo lavoro - e contrariamente a quanto avviene nei trii in sol e re maggiore - la dialettica tra gli strumenti diviene più marcata affidando Haydn al flauto una parte melodica per lo più indipendente da quella del registro acuto del pianoforte, lasciando invece al violoncello il ruolo di contribuire alla forza, al colore e alla vitalità ritmica sostenendo la linea del basso del pianoforte.Il fatto che questi tre trii con flauto siano senz'altro dedicati a musicisti dilettanti non deve ingannare riguardo il loro valore musicale: anche se meno sontuosi delle sinfonie o meno elaborati polifonicamente della scrittura quartettistica, queste opere presentano fecondità melodica, bruschi cambi di registro e deliziose improvvise deviazioni della curvatura melodica.

Wolfgang Amadeus Mozart Sonata per fagotto e violoncello K. 292

Mentre si trovava al servizio di Hieronymus von Colloredo, Principe Arcivescovo di Salisburgo, Mozart ricevette una commissione dal direttore del teatro del Principe Elettore Massimiliano III Giuseppe di Baviera per scrivere un'opera buffa da rappresentarsi al carnevale di Monaco del 1775. Recatosi nella capitale bavarese nel gennaio di quell'anno per assisterealle prove de La finta giardiniera (K. 196) Mozart ebbe modo di conoscere e lavorare con i fagottisti dell'orchestra di Corte, senz'altro a quel tempo tra i migliori solisti d'Europa.Le ricerche documentarie sulla Sonata K. 292 (196c), come anche quelle sul coevo Concerto K. 191 per fagotto e orchestra portano al nome del barone Thaddäus von Dürnitz, che presumibilmente commissionò tre concerti per fagotto a Mozart. Sappiamo per certo che i tre concerti e la Sonata K.292 (che comparivano nell'inventario della biblioteca del barone) furono consegnati da Mozart stesso al barone in occasione della prima rappresentazione de La finta giardiniera nel gennaio 1775 a Monaco. Non si ebbero più notizie del Concerto K191 (l'unico giunto sino a noi, la cui partitura data Salisburgo, 4 giugno 1774) né della Sonata K292 fino ai primi anni dell'ottocento, quando l'editore Johann André acquistò direttamente dalla moglie di Mozart, Costanze, una cartella di musica autografa comprendente i due brani che poi pubblicò nel 1804/5 secondo la lezione del manoscritto, successivamente andato perduto. Non solo le origini del lavoro e la sua datazione, ma la Sonata stessa rimane un mistero per gli studiosi. La designazione del violoncello come partner del duo sembra discutibile: Mozart non ha lasciato istruzioni specifiche riguardo alla strumentazione e la scelta potrebbe essere stata fatta dall'editore. Il trattamento della seconda voce come vero e proprio Basso Continuo sembrerebbe rendere possibile l'uso di strumenti che vanno dal violoncello agli strumenti a tastiera o adun secondo fagotto. La linea del basso, pur contribuendo occasionalmente alla texture con interventi motivici, è trattata in modo privo di enfasi per consentire al fagotto un ruolo spiccatamente solistico. Il movimento centrale esplora le qualità liriche dello strumento mentre i movimenti estremi, un Allegro in forma sonata e un Finale in forma di rondò, sfruttano la flessibilità dello strumento e mettono in luce le abilità tecniche dell'esecutore.