Concerto 14


Domenica 11 dicembre 2016, ore 20.00
Gran Teatro La Fenice, Sale Apollinee


MILLELUCI
Le cinestesie di Nino Rota
SIAE Classici di Oggi

Con il sostegno di SIAE

Laura Catrani canto
Aldo Orvieto pianoforte
Emilio Sala musicologo

Nino Rota (1911-1979)

Milleluci (da Ogni anno punto e da capo,
musiche di scena per la cicalata del tempo e del luogo di Eduardo De Filippo, 1971) per pianoforte

Tre liriche infantili (1935, testo di Lina Schwarz) per canto e pianoforte
Il Pescatore - È inutile - Tornando a casa

Canto della Buranella (versi di Andrea Zanzotto,
dalla colonna sonora del film Il Casanova di Federico Fellini, 1976) per canto e pianoforte

Circus Waltz (da Due valzer sul nome di Bach, 1975) per pianoforte

Perché si spense la lampada (1923, testo di Rabindranath Tagore) per canto e pianoforte

Salve Regina (1958) Mottetto per canto e pianoforte

Take the sun (lirica di Emery Bonnett dalla colonna sonora del film The Glass Mountain di Henry Cass, 1949) per canto e pianoforte

Ballata e Sonetto del Petrarca (1933) per canto e pianoforte
Di tempo in tempo (Ballata CXLIX) - Vago augelletto, che cantando vai (Sonetto CCCLIII)

Sonetto del Petrarca (1933) per canto e pianoforte
O passi sparsi, o pensier vaghi e pronti (Sonetto CLXI)

La figliuola del Re (1925, testo di Niccolò Tommaseo) per canto e pianoforte

Bruno Moretti (1957)
La cameriera oscura (testo di Pasquale Plastino, 2016) per canto e pianoforte
Commissione Ex Novo Musica 2016, prima esecuzione assoluta.

Nino Rota
Aria di Donna Rosa da Torquemada (1943, testo di Ernesto Trucchi da Victor Hugo)

Valzer carillon (da Due valzer sul nome di Bach, 1975) per pianoforte

Plein soleil (testo di Max François canzone tratta dal tema principale del film Plein solei di René Clement, 1960) per canto e pianoforte

Lo specchio delle civette (1935, testo di Aldo Palazzeschi) per canto e pianoforte


Milleluci. Le cinestesie di Nino Rota
Siamo così abituati all'immagine di un Nino Rota “inattuale”, tutto immerso nel suo “candore” angelicato e anacronistico, “fanciullinesco”, completamente avulso dalla musica “moderna”, che ripensarlo in una diversa chiave sembra un'impresa impossibile. Eppure negli ultimi due-tre lustri si è andata via via affermando anche un'altra linea interpretativa (Giovanni Morelli, Richard Dyer) che partendo dalla vocazione intermediale e dal camaleontismo stilistico, così caratteristici del modus operandi rotiano, ha riscoperto un'altra dimensione - attualissima, modernissima - insita nella sua musica. Una dimensione che ha a che fare con l'effetto di déjà entendu cui gli ascoltatori di Rota sono continuamente sottoposti con esiti talora destabilizzanti. Per dirla con Morelli, “il tema rotiano, che è ricorrente, sì, quasi troppo, ma capricciosamente alterato - anche perché non sempre ben ricordato com'era -, non è un promemoria, […] ma, al contrario, è […] un puro processo di caricamento della memoria dello spettatore”. Da qui, appunto, il già citato effetto di déjà entendu tipico della musica di Rota e della sua “memoria aliena” (Morelli) che potremmo anche rileggere come “memoria mediatizzata” (un altro tema di grande attualità). Quello che sembra volerci dire Nino Rota attraverso la sua musica è che nel mondo mediatizzato tutte le musiche (compresa la sua) sono in un certo senso preesistenti. In questo contesto viene in mente l'espressione che da anni ormai si usa per definire l'ultima fase della modernità: la “condizione postmoderna”. Essa è stata così definita da Steven Connor: “quella condizione nella quale per la prima volta, a causa della mediazione tecnologica che consente l'archiviazione di e l'accesso a un enorme numero di registrazioni del passato, il passato appare incluso nel presente”. Tra le consuetudini e le pratiche rotiane che rinviano alla “ri-mediazione” (spesso involontaria) di musiche preesistenti (proprie e altrui), va ricordata la curiosissima abitudine del maestro a comporre con la radio o il giradischi accesi. Ne dà un'interessante testimonianza, risalente al 1977, Francesco Lombardi: “Rota mi spiegò che questa aberrazione dello scrivere una musica ascoltandone un'altra si era acuita e approfondita nei lunghi anni del lavoro cinematografico, dove, nelle corse dell'ultimo minuto, gli capitava spesso di scrivere un brano nella cabina di regia dello studio di registrazione mentre l'orchestra ne stava eseguendo un altro”. Un altro aspetto fondamentale della (post)modernità di Rota, oltre al suo rapporto costante coi media, è l'attenzione da lui dedicata alla “musica leggera”. Come disse lui stesso in un'intervista, “non credo alla differenza di ceti e di livelli nella musica. Secondo me, la definizione musica leggera, semileggera, seria è fittizia. […] Il termine 'musica leggera' si riferisce solo alla leggerezza di chi l'ascolta, non di chi l'ha scritta”. Una dichiarazione davvero rivelatrice.
Ma questo approdo “postmoderno”, pur facendo capolino già negli anni '30, diventa dominante solo negli anni '40, con il lavoro regolare presso la Lux Film e poi con Federico Fellini, con le esperienze melodrammatiche dell'Ariodante (1942), del Torquemada (1943) e del Cappello di paglia di Firenze (opera terminata nel 1946) e con il radiodramma intitolato I due timidi (1950). Il nostro concerto, che ruota intorno alle tante vocis personae, alle “milleluci” che abitano la voce di una grande interprete (Anna Bonitatibus), lascia ampio spazio anche alle liriche da camera che Nino Rota (1911-1979) compose negli anni '20-'30 quando era davvero poco più che un bambino (prodigio) e ancora nell'orbita di Ildebrando Pizzetti e Alfredo Casella. La lirica da camera italiana assume in quegli anni dei connotati di genere assai riconoscibili che vale la pena ricordare. Essi si definiscono per opposizione sia al sentimentalismo mondano della romanza da salotto sia alla vocalità stentorea della tradizione melodrammatica ottocentesca. In un articolo del 1908 intitolato I versi per musica, Pizzetti afferma che tutta la vera poesia è per musica (“all'infuori della poesia che non esprime nessun sentimento - che non è poesia -, o di quella che vuol esprimere dei concetti filosofici, politici o economici o scientifici - che non è poesia -, o, in fine, della poesia cattiva - che è poesia solo in parte - della poesia non per musica non ce n'è e non ce ne può essere”). La nuova lirica da camera italiana deve dunque ricorrere alla “vera poesia” come avviene nella mélodie francese con il Baudelaire intonato da Debussy o il Verlaine messo in musica da Fauré. La vocalità sottesa a questo repertorio è antimelodrammatica e votata al raffinato culto della nuance (“Pas la couleur, rien que la nuance!”). Il suo pubblico è un pubblico d'élite, capace di cogliere le sfumature interpretative di uno stile canoro più evocativo che descrittivo. Rota compose la gran parte delle sue liriche per la cugina Maria Rota (1894-1961) che ebbe un ruolo non secondario nel far conoscere il talento musicale del piccolo Nino. Oltre a testi di “alta” poesia come quella del poeta indiano Rabindranath Tagore (vincitore del premio Nobel nel 1913 e messo in musica negli stessi anni anche da Casella, Ghedini e Alfano) o di Francesco Petrarca (di cui Pizzetti intonò un bellissimo sonetto nel 1922), Rota si orientò verso le liriche “infantili” di Lina Schwarz (1876-1947) che esprimono il suo famoso lato candido e fanciullesco, ironico-onirico, sempre sospeso tra gioco e sogno. Allo scoppio della seconda guerra mondiale Maria Rota smise di cantare in pubblico e Nino cessò di comporre liriche da camera (d'altronde anche il genere periclitò rapidamente). Anche assecondando la sua crescente vena umoristico-parodistica si può dire che Rota, dopo aver abbandonato la lirica da camera, coltivò uno speciale rapporto con la canzone, specialmente cinematografica. Negli stessi anni si (ri)appropriò del melodramma ottocentesco, tanto odiato dalla generazione dell'Ottanta. Ne uscì quella attitudine mimetica e postmoderna di cui abbiamo detto più sopra. Un'attitudine ben presente anche a uno dei suoi ultimi collaboratori, Bruno Moretti, che ha composto espressamente per il concerto, su testo di Pasquale Plastino, un breve monodramma - La cameriera oscura - ispirato alla nota storia di Vivian Maier, una governante alla Mary Poppins con la passione per la fotografia. Tornando a Rota, ci vuole la versatilità e la temerarietà di una grande interprete come Anna Bonitatibus per dar voce nello stesso recital a stili tanto diversi come il purismo delle liriche da camera, il camaleontismo delle canzoni cinematografiche e la drammaticità del canto teatrale. Buon ascolto. (Emilio Sala)