Concerto 7


Martedì 18 ottobre 2016, ore 20.00
Scuola Grande di San Rocco, Sala Capitolare


TRA VIENNA E PARIGI
SIAE Classici di Oggi

Con il sostegno di SIAE
In collaborazione con Scuola Grande Arciconfraternita San Rocco


Daniele Ruggieri flauto,
Carlo Lazari violino
Mario Paladin viola
Nicoletta Sanzin arpa



Ludwig van Beethoven (1770-1827)
Serenata op. 25 in re maggiore (1801) per flauto, violino e viola
Entrata. Allegro - Tempo ordinario d'un Minuetto - Allegro molto - Andante con variazioni - Allegro scherzando e vivace - Adagio - Allegro vivace

Camille Saint-Saëns
Fantasia op. 124 (1907) per violino e arpa

Federico Ghedini (1892-1965)
Concertato (1941) per flauto viola e arpa

Salvatore Sciarrino (1949)
Fauno che fischia a un merlo (1980) per flauto e arpa

Matteo D'Amico (1955)
Variazioni della Regina (2015) per violino e viola
Ex Novo Musica 2016, prima esecuzione assoluta.

Maurice Ravel (1875-1937)/Carlos Salzedo (1885-1961)
Sonatine en Trio (1903/5), trascrizione di Carlos Salzedo per flauto viola e arpa
Modéré - Mouvement de menuet - Animé


Il programma di questa sera si struttura in tre sezioni, fortemente tra loro interrelate. In apertura la Serenata op. 25 di Beethoven, brano molto apprezzato dai viennesi dei primi anni del secolo XIX, deve il successo all'adesione - almeno parziale - a quel modello di conversazione semplice e amabile tra gli strumenti tipico della produzione settecentesca. Altrettanto le opere del tardo romanticismo francese (la Fantasia di Saint-Saëns e la celeberrima Sonatina Ravel) sono destinate - un secolo dopo! - ai salotti dell'alta borghesia parigina, ambienti di amatori illuminati che apprezzavano l'arpa come strumento che coniugava antichissima tradizione e grande modernità, strumento che evocava il raffinato suono del clavicembalo settecentesco “ammodernandone” le sonorità. Infine un ultimo capitolo guarda alla letteratura moderna e al contemporaneo attraverso le opere di Ghedini, Sciarrino e D'Amico i cui geni senz'altro sono da ricercarsi nel fascino discreto di questo raffinato ensemble strumentale e nell'adesione a mondi sonori mitici e arcaicizzanti.

Durante i primi anni viennesi l'interesse di Beethoven si orienta - quasi a prepararsi ad affrontare la più complessa forma del quartetto - verso la produzione di trii per archi (op. 3, op. 9 nr.1, 2, 3) e vedono la luce anche due Serenate (op. 8, op. 25) di cui una sfrutta il particolare organico di flauto, violino e viola, discostandosi dalla tradizionale impostazione che preferisce la viola al violoncello nel registro basso. L'ampio uso delle doppie corde negli strumenti ad arco in queste composizioni per trio ed anche nella Serenata op. 25 senz'altro prelude alla scrittura quartettistica della maturità. L'opera, fin dalla scelta dell'organico, sperimenta soluzioni timbriche nuove e sembra quasi rappresentare una sfida al grande talento mozartiano nella composizione di musica di intrattenimento di alto contenuto espressivo. Beethoven utilizzò solo raramente il flauto, nelle sue opere da camera e si ritiene che il suo impiego nella Serenata op. 25 sia da relazionarsi alla grande diffusione dello strumento, in quegli anni divenuto di moda presso le classi colte viennesi. Se da un lato l'opera soddisfa tutte le richieste di estemporaneità, gaiezza e virtuosismo strumentale, dall'altro si impegna ad esplorare le potenzialità dello strumento a fiato allo scopo di creare un nuovo senso dello spazio giocando sulla sua timbrica luminosa e trasparente.

Con la Fantasia op. 124 per violino e arpa, terminata il 13 marzo 1907 a Bordighera durante una vacanza che seguì la tormentata prima dell'opera Le timbre d'argent Saint-Saëns realizza un capolavoro di purezza melodica nel dominio sovrano dello sviluppo dei materiali; quasi una suite di “momenti musicali” ricchi di timbri e colori affascinanti, realizzazione perfetta delle qualità più amate dai musicisti francesi: eleganza, leggerezza, adesione dell'arte musicale allo spirito naturalista e bucolico. La prima sezione si presenta come una improvvisazione nella quale due personalità strumentali - che poco si conoscono! - si incontrano per la prima volta presentando le rispettive peculiarità espressive e le proprie capacità solistiche. L'esposizione di un delizioso episodio lirico lascia spazio al virtuosismo del violino, che affronta quasi una cadenza da concerto, poi ad un sezione danzante su un rigoroso ritmo ondeggiante di passacaglia in 5/4 che si stempera nella dolcezza della ripresa del tema iniziale, ora avvolto da un aura di lugubre stupore. Il materiale musicale sembra via via diventare più familiare e confortevole agli attori di questa breve scena man mano che si sviluppa il loro intenso rapporto musicale.

La Sonatine di Maurice Ravel, iniziata nel 1903 in vista di un concorso organizzato da un rivista musicale, fu la sua prima opera stampata da Durand nel 1905; dichiarato frutto dell'amore del suo autore per il mondo sonoro francese sei-settecentesco e in particolare per la letteratura clavicembalistica, incontrò subito un successo pieno, introducendo in Francia un nuovo gusto per schemi compositivi e modi di scrittura propri della tradizione preromantica. Con le sue sonorità essenziali, quasi metalliche, i molti riferimenti ai carillon - chiaro indizio della smisurata passione di Ravel per gli automi -, quest'opera rappresenta un momento cruciale per il suo autore il quale sceglie di allontanarsi dalle atmosfere dell'Impressionismo e del Simbolismo a favore di una architettura più agile e stilizzata, di una scrittura più trasparente, di una scansione ritmica deliziosamente curata ma implacabile. L'opera ha ispirato l'arpista francese Carlos Salzedo (1885-1961) ad una trascrizione per l'organico strumentale di flauto, viola (o violoncello) e arpa. La Sonatine en trio è un terreno di esplorazione fertile per Salzedo che ha studiato nuovi effetti e nuove tecniche per la produzione del suono allo scopo di sviluppare le potenzialità dell'arpa e rendere lo strumento efficace nella trascrizione di quest'opera di Ravel che egli adorava.

Come afferma Paolo Cattelan: «il periodo di massimo oscuramento della civiltà europea contemporanea, il periodo della tragica vicenda della seconda guerra mondiale, corrisponde, nella biografia artistica di Giorgio Federico Ghedini ad una vistosa intensificazione della ricerca linguistica ed espressiva, e rappresenta […] una risposta drammatica e paradossale alla stessa tragedia storica.» È il periodo che, dalle parole di Massimo Mila, viene definito della «modernità radicale» del musicista piemontese. La tecnica contrappuntistica diventa in questi anni un collante strutturale dello stile di Ghedini e l'antico, il costante riferimento al passato non incrina la coscienza del moderno costruttore di architetture sonore. Nel Concertato, del luglio 1942, si palesa immediatamente la tendenza di Ghedini «a privilegiare i registri gravi come se fossero un contrassegno costante di quel suo modo interiore, raccolto e pervaso da una sorta di misticismo sempre incline a una visione pessimistica.» (Edward Neill) La composizione si muove liberamente con movenze di passacaglia, spunti contrappuntistici, frequenti fisiologici cambiamenti di ritmo terminando - non senza presentare spunti modali dal sapore arcaico - in un clima rarefatto e accordale, come se dovesse essere inghiottita da quel “nulla” che è sinonimo di silenzio totale.

Fauno che fischia a un merlo (1980) di Salvatore Sciarrino inscena la mitica figura del fauno che dialoga con un merlo nel paesaggio campestre. La scena è immersa ancora una volta nel silenzio: «il silenzio, qualcosa di essenziale al suono, come il giorno alla notte. Il suono è dentro il silenzio, e questo è suono». Il brano insegue un'attitudine cara a Salvatore Sciarrino, la «meditazione per mezzo del suono», il godimento di chi si perde nello stupore dell'estasi. Il lavoro si ispira ad una famosa tela di Arnold Böcklin (1827-1901) del 1854 che raffigura Pan in uno stato di grazia, che interagisce con un piccolo merlo poggiato su un ramo, fischiandogli come a voler dialogare con lui: una teatralità che diventa sogno, parodia, trasfigurazione romantica del mito. Con le parole di Sciarrino immaginare «si fonda su una natura visiva, suscita spazi. E il magazzino della memoria affollano le immagini. Esse ne sono per così dire le maniglie. Perfino le funzioni primarie della mente, gli stessi concetti, balzano in figure, una sorta di visione mentale».

Le Variazioni della Regina di Matteo D'Amico, dedicate ai musicisti dell'Ex Novo Ensemble, nascono - scrive l'autore - «all'interno di una serie di lavori che partono dalla melodia gregoriana del Salve Regina, e che in questo caso vedono protagonisti il violino e la viola, strumenti quasi 'gemelli', che si prestano magnificamente ad intrecciare le loro simili voci, come due volti di un unico pensiero. La melodia del Salve Regina viene esposta inizialmente in maniera chiara e percepibile, anche se già sotto forma di una prima, elementare variazione. Seguono poi altre quattro ampie variazioni, che ripercorrono fedelmente il suo iter musicale, arricchendolo di immagini sempre diverse, e via via più incalzanti fino alla terza variazione, culmine dell'intensità ritmica di tutto il lavoro. La variazione finale si distende nuovamente in atmosfere più liriche e meditative, fino al finale che si dilegua nel pianissimo, sussurrando figure volatili e leggere.»