Concerto 2


Domenica 18 settembre 2016, ore 18.00
Teatrino di Palazzo Grassi

In collaborazione con Palazzo Grassi - François Pinault Foundation

DIALOGHI TIMBRICI






Mario Paladin viola,
Carlo Teodoro violoncello


Ludwig van Beethoven (1770-1827)
Duetto “mit zwei obligaten Augenglasern“ in mi bemolle maggiore WoO 32 (1795/98)
[Allegro] - Minuetto

Darius Milhaud (1892-1974)
Sonata op.378 (1959)
Vif-Modere -Gai

Walter Piston (1894-1976)
Duo (1953)
Allegro risoluto - Andante sereno - Allegro Brillante

Paul Hindemith (1895-1963)
Duo (1934)
Schnelle Achtel

Witold Lutoslawski(1913 -1994)
Bukoliki (1962) cinque pezzi per viola e violoncello
Allegro vivace - Allegretto sostenuto - Allegro molto - Andantino - Allegro marciale

Letizia Michielon (1969)
La sposa del deserto. Omaggio a Khaled Al As'ad. Sonata per viola e violoncello (2016)
Ex Novo Musica 2016, prima esecuzione assoluta.


Il concerto presenta alcuni importanti lavori dei massimi compositori del XX secolo dedicati ad un organico raro, il duo di viola e violoncello. Se in epoca classica la viola non vide lo sviluppo di un proprio repertorio solistico - anche se questa sera presentiamo un curioso brano del giovane Beethoven che ne intuì le potenzialità straordinarie - a partire dalla metà del XIX secolo, con la predilezione degli autori romantici per le melodie dalla timbrica scura, a tratti nostalgica e crepuscolare, la viola viene preferita al violino in alcune delle più importanti composizioni del periodo - basti solo citare le raccolte Märchenbilder e Märchenerzhälungen di Robert Schumann e le Sonate op. 120 di Johannes Brahms. Infine nel Novecento, la letteratura per questo duo strumentale, che unisce l'impiego di registri profondi con una seducente espressività e cantabilità nel registro medio-acuto, si amplia regalandoci alcuni tra i più significativi brani della letteratura cameristica.

Del Duetto per viola e violoncello “con due occhiali da vista obbligati”, concepito da Beethoven come una vera e propria Sonata, ci sono pervenuti un primo tempo - già conosciuto in epoca romantica - un Minuetto e un abbozzo di un terzo tempo, fortunosamente ritrovati al British Museum, dopo la seconda guerra mondiale. L'opera costituisce l'unico saggio in cui Beethoven utilizza la viola come strumento solista. La genesi del Duetto fu l'amicizia con Nikolaus Zmeskall von Domanovecz, funzionario della Cancelleria Reale ungherese, buon dilettante violoncellista e compositore; un'amicizia che durò tutta la vita, né è prova la dedica del Quartetto per archi in fa minore, op. 95 (1810). Poiché Beethoven era un valente violista - suonò nella sua giovinezza nell'orchestra di Bonn - si ipotizza che il Duetto sia stato composto per esecuzioni private dei due amici. Il titolo fa evidente riferimento al fatto che Beethoven e Zmeskall erano entrambi molto miopi e dovevano “obbligatoriamente” indossare gli occhiali. La parentela tra i temi del duetto e quelli del primo movimento del Quartetto in do minore op. 18 Nr. 4 fa presumere che le due opere siano state concepite nel medesimo periodo, probabilmente tra il 1795 e il 1798.

Paul Hindemith, egli stesso virtuoso violista, ha dedicato molti suoi lavori al suo strumento, ampliandone considerevolmente il repertorio. Il Duo per viola e violoncello fu composto nel 1934, in una sola mattinata, durante una seduta di registrazione della sua musica da camera a Londra da parte di Szymon Goldberg et Emanuel Feuermann, per completare il minutaggio dell'album che si stava preparando; con le parole dello stesso Hindemith, in questa come in altre occasioni, non si trattava tanto di volontà o di necessità, ma del fatto di «non saper resistere all'assoluta necessità di comporre». Come spiega ampiamente nel suo Trattato di composizione (1937) egli visse profondamente «il passaggio da una formazione conservatrice a una nuova libertà. Il nuovo doveva essere attraversato, era necessario iniziare a esplorarlo». Il cammino fu accidentato, dominato da crisi e sconforti ma «mi sembra ora che la via sia spianata, che il linguaggio segreto dei suoni sia stato penetrato».

Se la musica di Hindemith contribuì non poco a far accettare al pubblico tedesco i nuovi linguaggi che si andavano imponendo in Europa nei primi decenni del XX secolo, altrettanta fu l'importanza del ruolo di Milhaud in Francia: l'eleganza, la naturalezza, la maestria tecnica incomparabile con la quale utilizzò il linguaggio politonale in opere come Le bœuf sur le toit (1919), Saudades do Brazil (1921) e La Création du monde (1923) ove si assiste alla meravigliosa fusione della forma classica con elementi di samba e di jazz, costituì certamente un ottimo biglietto da visita per la musica nuova in Francia. Dopo la seconda guerra mondiale Milhaud visse per lo più negli Stati Uniti. Alla Music Academy of the West ebbe molti allievi di composizione tra cui il violista Murray Adaskin (1906-2002) e il violoncellista Jim Bollé (1931), per i quali egli scrisse la Sonatine op. 378 concepita nei classici tre movimenti, uno dei suoi più alti saggi di uso del contrappunto. A metà del primo movimento infatti, si opera una perfetta permutazione delle voci, poi la medesima procedura si ripete con altre alterazioni in chiave. Il movimento mediano, placido, nostalgico e sognante introduce al Finale, quasi nel carattere di un Ländler.

Anche il Duo di Walter Piston, scritto nel 1949, testimonia il crescente interesse dell'autore nell'impiego della viola, interesse culminato con la composizione del Concerto (1957) per viola and orchestra, uno dei suoi lavori più apprezzati. Il Duo propone un equilibrio sapiente tra attenzione melodico-tematica e un tessuto armonico complesso e polivoco - ora politonale, ora modale, di rado accentuatamente dissonante. É attraversato da slanci passionali e raffinato impiego di virtuosismo, con al centro un adagio che, guardando all'essenza del canto come imprescindibile facoltà espressiva dell'uomo, fa pensare all' intimità della musica di Schubert.

Dopo aver visto, a cinque anni, il padre assassinato dai bolscevichi, anche a Lutoslawski accadde, come a Shostakovitch, di veder dichiarata la propria musica “indesiderata” dalle autorità culturali dei paesi dell'ex URSS, in ragione della sua espressività “troppo progressista”. Era il 1947, l'epoca della sua Première Symphonie. Lutoslawski dovette dunque imboccare il cammino di un'arte “rivoluzionaria nella tradizione” per godere del meritato successo che gli giunse con il Concerto pour orchestre (1954). Per ottenere il consenso della cultura ufficiale anche in Bukoliki (1952) l'autore - guardando ai 44 Duos per due violini di Bartók - prende a prestito elementi folcloristici: alcune melodie popolari raccolte da Wladyslaw Skierokowski. Alla prima versione pianistica, se ne aggiungerà una seconda per viola e violoncello (1962), su richiesta di William Primrose e Mstislav Rostropovich. Negli ultimi anni di vita Lutoslawsky, ormai libero dai condizionamenti espressivi che gli impose il regime polacco, dichiarò tuttavia di «guardare senza vergogna a queste prime opere del suo esordio compositivo».

Tadmôr, una Sonata per viola e violoncello della compositrice e pianista veneziana Letizia Michielon conclude la serata. Così ne parla l'autrice: «Tra Khaled Al As'ad, l'archeologo siriano barbaramente trucidato dall'Isis, e la città di Palmyra, il cui originale nome semitico era Tadmôr, vi fu un legame profondissimo. Il sacrificio eroico di Khaled, pronto a difendere i valori della storia e della cultura a prezzo della propria vita, rimane un esempio fulgido per l'intera umanità. Il brano rievoca la profonda emozione condivisa con gli illustri studiosi palmireni, amici di Al As'ad, riuniti a Varsavia in occasione di un convegno internazionale a lui dedicato, il primo dopo la liberazione della città siriana. L'intenso legame tra Palmyra e la Polonia si concretizza nel dialogo tra la viola, che utilizza l'accordatura del maqâm Nev-eser Pesrevi, e il violoncello, che estrapola liberamente alcuni profili tematici della Sonata op. 65 di Chopin, affiancandoli a reminiscenze della celebre Marcia Funebre dell'op. 35. Il genere sonatistico viene rivisitato per esprimere il violento gioco di contrasti che caratterizza la contrapposizione tra l'humanitas e la follia distruttrice del fanatismo.»