Concerto 14


Lunedì 14 dicembre 2015, ore 20.00
Ateneo Veneto

In collaborazione con Ateneo Veneto


Soliloquy


SIAE Classici di Oggi Progetto Musica Colta Contemporanea

«Ogni forma d'arte che guarda al futuro, ed è
perciò degna della massima attenzione, ci parla di
conflitti inerenti il suo farsi, i suoi processi, i suoi
elementi costituenti - concreti o concettuali che
siano.»
Luciano Berio



Zero Vocal Ensemble

Eva Macaggi e Ai Nagasue soprani
Elisa Bonazzi e Matilde Lazzaroni contralti
Michele Foresi e Fabio Gentili tenori
Giacomo Serra e Paolo Marchini bassi


Claudio Monteverdi (1567-1643)
Dal Quarto libro de' Madrigali a cinque voci, Venezia 1603
Sfogava con le stelle
Dal Primo libro de' Madrigali a cinque voci, Venezia 1587
Baci soavi e cari
Da Madrigali guerrieri et amorosi, Venezia 1638
Ecco mormorar l'onde

Claudio Ambrosini (1948)
Soliloquy (testo di Sylvia Plath, 2003/15), nuova versione per doppio quartetto vocale
Commissione Ex Novo Musica. Prima esecuzione assoluta.

Sigismondo d'India (1582-1629)
Dal Terzo Libro de' madrigali a cinque voci, Venezia 1615
Dispietata pietade
Dovrò dunque morire
Canzone di lontananza

Luciano Berio (1925-2003)
Cries of London (1974-76) per ottetto vocale



Nell'operare una scelta di testi dell'ultimo madrigalismo italiano per questo progetto concertistico la preferenza è caduta su due tra i più grandi autori tardo cinquecenteschi, il cremonese Claudio Monteverdi e il siciliano Sigismondo D'India, legati da un orientamento estetico comune che mira a dare il massimo valore semantico al tessuto verbale del testo poetico: l'orientamento è chiaro, indirizzato verso autori contemporanei come Tasso, Guarini, Marino e Rinuccini i quali, figli dell'umanesimo e del petrarchismo, arricchiscono le loro narrazioni tramite metafore, iperboli ed antitesi, che acquistano grande efficacia drammaturgica in una sapiente veste musicale. D'India conobbe Monteverdi presso la corte dei Gonzaga a Mantova e da lui apprese l'uso di un cromatismo espressivo e di dissonanze volte a valorizzare il senso drammatico dei testi. Risulta opportuno sottolineare come i due autori apprezzino un uso promiscuo di polifonia e monodia accompagnata. L'arte del canto solista era del resto uno dei punti di forza di Sigismondo, lui stesso stimato cantore presso molte corti italiane e noto per le sue opere a voce sola e basso continuo - come il suo contemporaneo Giulio Caccini, al quale sicuramente avrà pensato componendo il madrigale Dovrò dunque morire che Caccini musicò nelle sue “Nuove musiche” del 1601. Un uso della polifonia più dinamico, e l'alternanza di sezioni “a voci sole”, mette in luce l'espressività della parola e obbliga l'ascoltatore ad indagare i rapporti dialettici che si instaurano tra le voci. Risultano di fatto evidenti già dal primo libro dei madrigali di Monteverdi, con il madrigale Ecco mormorar l'onde, le anticipazioni dello stile declamato e del recitativo, in cui le voci, in perfetto stile imitativo, giocano tra loro contendendosi ciascuna un proprio spazio declamatorio nel quale il testo viene messo in risalto per poi andare di nuovo a confondersi nel tessuto polifonico con l'ingresso delle voci successive. L'audacia espressiva spinge addirittura Monteverdi, in Sfogava con le stelle, a prescrivere un solo accordo per il primo settenario lasciando liberi gli esecutori di scegliere i valori meglio corrispondenti agli accenti della recitazione, applicando così il concetto di “sprezzatura” al madrigale polifonico e dando di fatto ai cantanti una libertà che quasi più si addice a degli attori di teatro. Opportuno infine rilevare l'aderenza di Sigismondo allo stile ricco di ritardi e dissonanze non preparate che caratterizza la produzione di Gesualdo; anche in Sigismondo d'India tali tecniche, tanto care al principe di Venosa, supportano con efficacia quei componimenti poetici che si fondano su stati d'animo contrapposti, come ad esempio l'antitesi amore/dolore. In Dispietata pietate, madrigale posto da Sigismondo al primo posto del suo Terzo libro abbiamo un perfetto esempio di questo stile compositivo. (Giacomo Serra)


Claudio Ambrosini Soliloquy

Soliloquy of the Solipsist, scritta nel 1956, è una delle poesie centrali di Sylvia Plath, poetessa americana suicidatasi qualche tempo dopo, a soli trentun'anni. La sua realizzazione musicale cerca di rendere alcuni aspetti della personalità dell'autrice e insieme di riproporre la struttura del testo originale, articolato in quattro strofe, ciascuna aperta dalla parola “io”. Quattro interpreti femminili, attorniate da altrettante “ombre” maschili, fungono da alterego della poetessa ed effettuano, cantando, dei movimenti del capo che indirizzano la voce verso punti diversi della sala, producendo una sorta di spazializzazione naturale del suono, che si sposta da sinistra a destra o viceversa. Un “raggio sonoro” si diparte così da ciascun interprete e crea dei tracciati astratti nell'aria. Il canto - ora aperto, ora interiorizzato, a bocca chiusa - crea alternanze di pieno e vuoto, rendendo più complessa la percezione della prospettiva. Le cantanti - quasi facce di uno stesso prisma - sottolineano gestualmente l'idea di “colloquio con sé”, passandosi la voce l'un l'altra, come il testimone di una staffetta in un gioco di specchi. In origine commissionato per festeggiare virtualmente il compleanno di Peggy Guggenheim, Soliloquy è stato eseguito per la prima volta il 26 agosto 2003 sulla sua tomba, nel giardino del Guggenheim Museum di Venezia. (Claudio Ambrosini)


Luciano Berio Cries of London (1974-76)

Cries of London, per otto voci (due soprani, due contralti, due tenori, due bassi) è la rielaborazione di una composizione omonima a sei voci (due contralti, un tenore, due baritoni e un basso) che ho scritto nel 1974 per i King's Singers. In questa nuova versione i Cries of London sono diventati un breve ciclo di sette pezzi vocali di carattere popolare, dove un pezzo semplice si alterna in modo regolare a un pezzo musicalmente più complesso. Il primo e il terzo «Cry» hanno lo stesso testo. Il quinto «Cry» è l'esatta ripetizione del primo. Il settimo pezzo, «Cry of Cries», è un commento ai «Cries» precedenti: pur usando le stesse melodie e gli stessi caratteri armonici, musicalmente se ne allontana e li ricorda a distanza ... Nell'insieme questo breve ciclo può anche essere ascoltato come un esercizio di caratterizzazione e di drammaturgia musicale. Il testo è essenzialmente una libera scelta delle famose frasi dei venditori nelle strade della vecchia Londra. (Luciano Berio)