Concerto 10


Sabato 21 novembre 2015, ore 20.00
Teatrino di Palazzo Grassi

Verso il "Nuovo Mondo"

In collaborazione con Palazzo Grassi - François Pinault Foundation

«Gli Indiani sono il solo popolo civilizzato
che non conosce il denaro e che riveste di parole ornate
le cose piů usuali. Com'č differente invece un
business-man di Chicago! Per costui Roosevelt
si chiama “Teddy”, per gli Indiani: “Our great
white father”.»
Ferruccio Busoni, Columbus, 1910


Ex Novo Ensemble
Davide Teodoro clarinetto
Carlo Lazari violino
Annamaria Pellegrino violino
Mario Paladin viola
Carlo Teodoro violoncello


Antonin Dvorák (1841-1904)
Quartetto in fa maggiore op. 96 “Americano” (1893) per due violini, viola e violoncello
Allegro ma non troppo - Lento - Molto vivace - Finale (Vivace ma non troppo)

Samuel Coleridge-Taylor (1875-1912)
Quintetto op. 10 in fa diesis minore (1895)per clarinetto, due violini, viola e violoncello
Allegro moderato - Larghetto affettuoso - Allegro leggiero - Allegro agitato


Antonin Dvorák Quartetto in fa maggiore op. 96 “Americano”

Alla fine della sua prima stagione come direttore del Conservatorio Nazionale di New York Dvorák trascorse l'estate del 1893 presso la colonica ceca di Spillville, nel nord-est dello Iowa con la sua famiglia e i compatrioti cechi.
In quest'atmosfera serena vedono la luce dapprima il Quartetto in fa maggiore op. 96 “Americano” e subito dopo il Quintetto per archi in mi bemolle op. 97 “Indiano”. Per l'abbozzo del Quartetto op. 96, Dvorák impiegň tre soli giorni dall'otto al dieci giugno 1893; due giorni piů tardi iniziň a preparare la partitura, completata il 23 giugno. Il quartetto Kneisel ne diede la prima esecuzione a Boston, del gennaio del 1894.
Come in tutta la produzione americana di Dvorák l'andamento melodico ricorda elementi del folklore ma non si incontrano mai vere e proprie citazioni di spiritulas negri o di “canti delle piantagioni”. Il trattamento sincopato dei temi del primo movimento evidenzia un forte legame tra l'incedere ritmico dei canti negri e le danze del folklore slovacco. E' un contemplare tranquillo e curioso di un paese straniero - ma accogliente - di cui si apprezzano le comuni radici di amore per la natura, la campagna, i modi di vita contadini. Dvorák č sensibile alla grazia melanconica della grande prateria (nel movimento lento), e al fascino esotico della natura.
Nello Scherzo appare infatti, in modo inusuale e repentino, un'idea melodica secondaria tratta dal canto rapido e incessante di un “uccello dannato”, un uccello rosso incontrato dall'autore durante una passeggiata nelle foreste di Spillville. Alcuni studiosi, sulla base di registrazioni di canti delle varie specie di uccelli d'America, hanno individuato effettivamente una specie che canta cinque brevi frammenti melodici (non quattro, come nel tema di Dvorák), discendenti per terze, con cadenza estremamente rapida e notevole potenza vocale.
Il Rondň finale, essenzialmente omofonico, prende parte alle gioie domenicali dei villaggi. Si puň forse immaginare l'episodio centrale, un corale, come una improvvisazione di Dvorák per la messa, sul piccolo organo della chiesa di St. Wenceslas nella chiesa di Spillville.
Come in altre opere del suo primo soggiorno americano, un ruolo importante č riservato all'uso della scala pentatonica. Nel primo movimento, una certa somiglianza con l'incipit del Quartetto in mi minore “From my Life” di Smetana (con la melodia affidata alla viola, i violini in tremolando, e il violoncello che tiene la nota pedale) evidenzia quei sentimenti di nostalgia e tenerezza con cui l'autore guarda alla sua patria, espressi frequentemente, e con profonda emozione, in tutte le opere del periodo trascorso in America.


Samuel Coleridge-Taylor Quintetto op. 10

Opera giovanile di Samuel Coleridge-Taylor, compositore e direttore d'orchestra afro-britannico, il Quintetto op. 10 č un lavoro sorprendentemente maturo per un ventenne. Raccoglie la sfida di Charles Stanford, suo maestro al Royal College of Music di Londra, il quale sosteneva provocatoriamente che nessuno, dopo Brahms, sarebbe stato in grado di scrivere un quintetto con clarinetto! Figlio di un medico africano e di una donna inglese, Coleridge-Taylor ebbe grande notorietŕ soprattutto grazie a tre tournée americane (1904-1910) che lo resero celebre come “African Mahler” o “Black Mahler”. Come compositore subě profondamente l'influsso del folklore africano, che successivamente integrň e elaborň attraverso lo studio della musica dei neri e degli indiani d'America. Seguendo l'esempio dei grandi compositori romantici (Brahms, Grieg, Dvorák) egli innestň la musica folk negra e gli spirituals americani, in forma riconoscibile, ma mai letterale, nel tessuto formale della tradizione musicale europea. Il suo oratorio Song of Hiawatha, su testo del poeta e educatore americano Henry Wadsworth Longfellow (1807-1882) per soli, coro e orchestra, ispirato alla leggenda indiana del pellerossa Hiawatha, divenne una tra le opere musicali piů popolari in Inghilterra nei primi anni del secolo. Tale composizione lega biograficamente Cooleridge-Taylor ad Antonin Dvorák, il quale a sua volta tentň di portare a termine il progetto di scrivere un'opera americana basata sulla medesima leggenda: progetto che non giunse oltre la fase degli abbozzi preliminari e che sfociň successivamente nella popolarissima Sinfonia op. 95 “Dal nuovo mondo”. Il Quintetto op. 10 merita senz'altro di andare ad arricchire il repertorio per questa formazione, si fa apprezzare per la sua solida architettura e la sua profonda sensibilitŕ: presenta due movimenti finali basati su materiale popolare che palesano inequivocabilmente l'ammirazione del suo autore per la lezione di Dvorák.