Concerto 5


Domenica 11 ottobre 2015, ore 20.00
Gran Teatro La Fenice Sale Apollinee

Colori francesi

In collaborazione con Palazzetto Bru Zane - Centre de musique romantique française



«Sappiamo che l'Arte non ha patria... poverina...
i suoi mezzi non glielo permettono... [...]
Si!... I tedeschi portano via tutto alla Francia...
È una vergogna!...
Sapete bene che Wagner era francese...
Era molto franco-tedesco quel caro uomo
- come tutti i buoni francesi, del resto...»
Erik Satie


Ex Novo Ensemble
Daniele Ruggieri flauti
Davide Teodoro clarinetti
Carlo Teodoro violoncello
Aldo Orvieto pianoforte

Louise Farrenc (1804-1875)
Trio op. 45 (1857) per flauto, violoncello e pianoforte
Allegro deciso/Più moderato ed espressivo - Andante - Scherzo - Finale (Presto)

Charles-Marie Widor (1844-1937)
Suite op. 34 (1877) per flauto e pianoforte
Moderato - Scherzo (Allegro vivace) - Romance (andantino) - Finale (vivace)

Gabriel Pierné (1863-1937)
Sonata da Camera op. 48 (1926) per flauto, violoncello e pianoforte
Prélude - Sarabande - Finale

Gabriel Fauré (1845-1924)
Trio op. 120 (1923), versione originale per clarinetto, violoncello e pianoforte
Allegro ma non troppo - Andantino - Allegro vivo


Louise Farrenc Trio op. 45

Louis Dumond, nata nel 1804 in una famiglia parigina di scultori e pittori che appartenevano all'antica “colonia” degli artisti della Sorbona (una congregazione di artisti che lavoravano al servizio dei reali di Francia) fu una delle poche ragazze del suo tempo ad aver potuto ricevere una buona educazione musicale come allieva di Anton Reicha fin dall'età di quindici anni. Nel 1821 sposò Aristide Farrenc, flautista ed editore, imponendosi all'attenzione del mondo musicale come pianista, insegnante e compositrice. Stimolata dalla sua passione per la musica antica raccolse e pubblicò insieme al marito una ricca antologia di opere per clavicembalo e pianoforte al tempo sconosciute. Tale immane lavoro di ricognizione storica del repertorio antico è testimoniato dai volumi che gli editori Farrenc e Leduc pubblicarono tra il 1861 e il 1875: Trésor des Pianistes. Nel 1842 fu la prima donna ad ottenere un posto di insegnante al Conservatorio di Parigi anche se con un salario più basso di quello riconosciuto ai suoi colleghi maschi; mantenne con successo questo ruolo di prestigio fino alla morte, nel 1875. Smise di comporre nel 1859 in seguito all'immenso dolore provocatole dalla prematura morte della figlia Victorine, fin da giovanissima prodigiosa pianista e prima esecutrice di quasi tutte le sue opere. Il Trio op. 45, dedicato al flautista Louis Dorus (maestro di Paul Taffanel il quale fu a sua volta maestro di Philippe Gaubert) è l'ultima sua opera da camera e rivela una forte personalità nel temperare la predilezione per la solidità formale del primo Romanticismo tedesco - con una particolare ammirazione per Schubert - con il gusto, la leggerezza e la raffinatezza timbrica francese.


Charles-Marie Widor Suite op. 34

Charles-Marie Widor, nato a Lione nel 1844 da un famiglia italo-ungherese di antica tradizione organara, è apprezzato per la sua grande produzione di lavori per organo; tra questi uno almeno, la Toccata che conclude la V Sinfonia, è universalmente noto per siglare i riti del matrimonio e della Pasqua con la sua esplosione di gioia. Widor fu organista alla chiesa di Saint-Sulpice a Parigi dal 1870 al 1934, collaborò con Albert Schweitzer alla edizione di riferimento delle opere per organo di Bach e fu professore d'organo e di composizione al Conservatorio di Parigi ove ebbe per collega il flautista Paul Taffanel, dedicatario della Suite op. 34. Composta nel 1898, ma tratta dalla musica di scena Le Conte d'avril di Augustin Léon Dorchain andata in scena nel 1885 al teatro Odéon di Parigi, la Suite è di fatto costruita secondo il modello sonatistico in quattro movimenti ben contrastati ed efficacemente caratterizzati da pregnanti gesti romantici. Nel primo movimento domina infatti una materia ribollente di lirico ardore, nel veloce scherzo una scenica reiterazione del gesto di apertura (un salto ascendente di ottava). Il movimento lento è pervaso da atmosfere sognanti e improvvisi sbalzi d'umore, irruenti e passionali mentre il Finale rappresenta un galoppo fiero e virtuoso, ma dai tratti appena tormentati. Per il suo tempo, il piano armonico della Suite può definirsi conservatore, con modulazioni condotte sapientemente ma senza sfruttare le tecniche di deformazione e rottura tipiche del linguaggio tardo romantico fin-de-siècle.


Gabriel Pierné Sonata da Camera op. 48

Gabriel Pierné, uno dei musicisti più noti e stimati del suo tempo, succedette nel 1910 al fondatore Édouard Colonne, alla guida dell' Association artistique des Concerts Colonne, una delle compagini orchestrali più antiche e famose di Parigi (presso la quale operò fino al 1932). Tra le sue molte prime esecuzioni l'assidua collaborazione con Diaghilev per i Ballets Russe e la première della Sacre du printemps di Stravinskij. Proprio in relazione alla sua profonda conoscenza delle diverse anime della musica francese fin de siècle si avverte nella sua scrittura un desiderio di sintesi e una tendenza alla sperimentazione di diversi linguaggi. La Sonata da camera op. 48, lavoro della piena maturità, rappresenta un momento di svolta nella parabola artistica dell'autore con la precisa volontà di rinunciare alla densità di scrittura alleggerendo il discorso musicale: concisione e ricerca di purezza formale ed espressiva che aderisce all'emergente imporsi del neoclassicismo. Alla partitura viene infatti premesso l'esordio di Menalca nella Quinta Egloga delle Bucoliche di Virgilio: «Perché, o Mopso, incontrandoci qui, entrambi abili tu a soffiare leggere canne, io a cantare versi, non ci sediamo tra questi olmi misti a nocciuoli?» Dedicata alla memoria del flautista Louis Fleury, fu commissionata dalla mecenate americana Elizabeth Sprague Coolidge, e creata il 16 ottobre 1927 da Marcel Moyse, Hans Kindler e dall'autore al pianoforte. Sia l'organico strumentale - nel quale forse flauto e violoncello simboleggiano i pastori di Virgilio - che la trama sonora trasparente e preziosamente cesellata richiamano alla memoria la Sonata per flauto, viola e arpa di Debussy. Anche se la scrittura è solidamente classica, con largo uso del contrappunto, i riferimenti stilistici sono molteplici: dagli accenni politonali del primo movimento al colore neobarocco della Sarabanda, alla country dance citata nella parte centrale della veloce Giga finale.


Gabriel Fauré Trio op. 120

La pianista Yvonne Lefébur aveva undici anni quando suonò la prima volta davanti a Fauré e fu una delle ultime persone a rendergli visita pochi giorni prima della sua morte Tra le opere che ella suonò in questa occasione le parti di pianoforte della Seconda Sonata per violoncello e il Trio in re minore op. 120: « il suo aspetto mi impressionò fortemente ai tempi della mia infanzia per la sua bellezza espressiva, il suo sguardo cupo, ardente e dolce; lo ritrovai così fragile, ansioso, distrutto dalla sofferenza senza dubbio morale oltre che fisica, straziante rivelazione della vecchiaia per un essere ancora incosciente delle gioie della giovinezza». Malgrado questa testimonianza drammatica, il Trio con pianoforte è permeato da una limpida serenità. Fu presentato in pubblico la prima volta in un concerto d'onore alla Société National de Musique il giorno del 78. Compleanno di Fauré, il 12 maggio, ma l'autore era troppo sofferente per potervi assistere. Assisterà però all'esecuzione del trio il 21 giugno seguente alla École Normal de Musique da parte del celebre trio di Alfred Cortot, Jacques Tibaud e Pablo Casals. L'opera fu concepita durante un periodo di riposo a Annecy-le-Vieux nel settembre del 1922 dove fu composto il celebre Andantino che diverrà poi il fulcro emozionale dell'opera: una melodia infinita ove i tre strumenti si scambiano incessantemente i ruoli sostenuti da un'evoluzione armonica di estrema raffinatezza. L'opera, concepita per clarinetto e violoncello e pianoforte, fu portata a termine a Parigi nel marzo del 1923 e pubblicata, probabilmente per sole ragioni pratiche, senza alcuna menzione allo strumento a fiato. La scrittura intimamente fusa delle parti degli archi nei movimenti estremi può far pensare ad un cambio di destinazione strumentale dell'opera al tempo della ripresa del lavoro a Parigi molti mesi dopo la composizione dell'Andantino. La questione rimane irrisolta dal punto di vista dell'indagine musicologica ma l'ascolto della versione con clarinetto rimane di notevole interesse per meditare sull'idea timbrica che Fauré poteva aver concepito per quest'opera. Altro elemento enigmatico risulta la citazione, nelle prime misure del finale, Allegro vivo - uno scherzo impetuoso, virtuoso e brillante - dei Pagliacci di Leoncavallo, un'opera che Fauré non amava e che si è dunque propensi a ritenere non cosciente. Non meno affascinante degli altri movimenti è l'Allegro ma non troppo apre il Trio all'insegna di una toccante essenzialità melodica acquerellata da una armonia fluida e spoglia.