Concerto 3


Domenica 27 settembre 2015, ore 20.00
Gran Teatro La Fenice Sale Apollinee

Galante e Virtuoso

Evoluzione storica del gesto strumentale.
SIAE Classici di Oggi Progetto Musica Colta Contemporanea

«La musica quindi è - guardata come espressione
del mondo - un linguaggio in altissimo grado
universale, che addirittura sta all'universalità dei
concetti press'a poco come i concetti stanno alle
singole cose.»
Friedrich Nietzsche

Mario Caroli flauto e ottavino
Daniele Ruggieri flauto
Carlo Teodoro violoncello
Daniele Roi clavicembalo

Ivan Fedele (1953)
Donax (1992) per flauto solo

Georg Frederich Händel (1685-1759)
Trio Sonata in mi minore HWV 395 per due flauti e basso continuo
Largo - Allegro - Largo - Allegro

Salvatore Sciarrino (1947)
Morte tamburo (1999) per flauto solo

Pietro Antonio Locatelli (1695-1764)
Trio Sonata op 5 n° 1 in sol maggiore per due flauti e basso continuo
Andante - Largo - Allegro - Vivace

Doina Rotaru (1951)
Epistrophe (2009) per flauto solo
Prima esecuzione italiana

Carl Philip Emanuel Bach (1714-1788)
Trio Sonata in re minore WQ 145 per due flauti e basso continuo
Allegretto - Largo - Allegro


Ivan Fedele Donax

Sebbene il titolo riprenda il termine greco che designava il flauto di Pan, Ivan Fedele elabora in Donax una sorta di viaggio attraverso le diverse connotazioni culturali del flauto nelle varie epoche storiche risalendo infine all'archetipo del flauto a canne. La grande complessità strumentale formale e linguistica si traduce in svariati modi di suonare lo strumento attraverso tecniche strumentali diverse. Sebbene la scrittura sfoggi grandi abilità nel concepire raffinati effetti timbrici, tali effetti risultano sempre intimamente legati alla struttura formale del pezzo. Donax è diviso in quattro parti: all'inizio appare una sorta di dialogo tra più flauti che utilizzano i suoni “eolici” (suoni con soffio), i “pizzicati” (slap con la lingua), i “tongue ram” (un genere di slap ad imboccatura chiusa), suoni aspirati, glissandi con le labbra e trilli “timbrici” cioè tra note della medesima altezza, ma con colori diversi. La seconda parte utilizza i “tongue ram” in opposizione ai “jet whistle”, grandi esplosioni di soffi (ad imboccatura chiusa); nel movimento lento intervengono frequentemente “whistletones”, prodotti ad imboccatura chiusa, con la lingua posta in maniera idonea a far fischiare il flauto (tecnica difficile e sfruttata molto raramente). Il terzo movimento è una sorta di moto perpetuo basato all'inizio sullo staccato tradizionale, che progressivamente lascia il posto a dei cluster di armonici, ai quali sono associati dei piccoli elementi, una specie di ombra dei cluster, formati da una nota “decorata” da un trillo microtonale, che annunciano l'inizio dell'ultima parte del brano. Tale sezione evoca il ritorno al flauto primordiale, il flauto di canne, mediante diversi tipi di vibrato o “smorzato” (con le labbra o con il diaframma), alcuni bicordi, degli slap che fanno pensare al suono dei bongo, come anche dei trilli e delle oscillazioni microtonali che si ottengono attraverso una leggera rotazione dell'imboccatura. La parte finale utilizza questi elementi in maniera sempre più dolce, per lasciare l'ascoltatore con l'immagine di un flauto sognante e interrogativo.


Georg Frederich Händel Trio Sonata in mi minore HWV 395

Si è soliti attribuire alla musica strumentale di Händel meno rilievo rispetto alla produzione vocale sottovalutandone la straordinaria potenza espressiva. Il suo repertorio strumentale era in gran parte destinato a cerimonie occasionali (è il caso della Water Music e della Musica per i Fuochi d'Artificio Reali) o aveva la funzione di essere integrato nel contesto di opere di più vaste proporzioni: è questo il caso dei concerti per organo, dei Grandi Concerti op. 6 e dei Concerti a due cori. La destinazione delle opere strumentali händeliane non ne deve peraltro sminuire il prodigioso valore artistico. Le composizioni cameristiche di Händel appartengono per gran parte alle due principali forme in uso nel periodo: le sonate solistiche e le Trio Sonate per due strumenti melodici e basso continuo. Per le Trio Sonate Händel normalmente utilizza la forma della Sonata da Chiesa nell'abituale alternanza di movimenti lento-veloce-lento-veloce. Anche la Trio Sonata in mi minore che ascolteremo questa sera segue questa strutturazione. Il primo movimento è delineato da un armonioso incedere di scale e arpeggi dall'andamento semplice e privi di turbamenti armonici nel basso; nel secondo tempo, un Allegro fugato, il basso partecipa invece a pieno titolo al trattamento del materiale tematico. Dopo l'esposizione del tema da parte del primo flauto accompagnato dal controsoggetto affidato al basso è interessante notare l'inusuale accorgimento - ripetuto più volte nello svolgimento di questo movimento - di far tacere il basso, affidando il controsoggetto al primo flauto mentre il secondo espone il tema alla dominante: questa improvvisa e inattesa assenza della linea del basso subito dopo l'inizio del movimento genera un effetto timbrico particolare e sorprendente. Il terzo tempo, un Largo in sol maggiore, impiega una cantabilità vocale spiegata, con l'apparizione suggestiva della tonica minore in prossimità della conclusione. L'Allegro finale coniuga il carattere leggero di danza ternaria con tratti ritmicamente più impetuosi caratteristici della scrittura di Händel. La maggior leggerezza di scrittura viene realizzata affidando al basso il ruolo di semplice sostegno armonico (a parte un breve episodio imitativo) e adottando una condotta delle parti al tempo stesso essenziale e virtuosistica: riducendo l'uso delle imitazioni e privilegiando spesso disegni per terze.


Salvatore Sciarrino Morte tamburo

Negli appunti di Cantare con silenzio, l'irrompere dello strumento solista doveva formare due intermezzi. Il primo è divenuto L'orologio di Bergson; il secondo era contrassegnato come Danza della Morte-tamburo. Prima di ogni commento meglio leggere i testi che alla musica hanno fatto da culla. Così si apre Cantare con silenzio: Sapere chiaro produce certezza / e la certezza un'ombra / d'ignoranza. Tu / accanto a ciò che comprendi / impara ciò che non comprendi / nutri la solitudine / sì, parti: esci / all'incrocio dei venti / non sai quale a te tocca / scopri l'altro che genera in te. A questo punto si collocava originariamente L'orologio di Bergson. Attaccava poi il seguente canto: Bergson prendeva il bicchiere / girando con un cucchiaino / diceva all'uditorio: / dobbiamo aspettare che lo zucchero si sciolga. Bisogna sapere che, durante le sue lezioni, Bergson faceva in modo che tutti i presenti provassero la soggettività del tempo. Un esperimento di autosufficiente evidenza: data una quantità di zucchero in una data quantità di acqua a determinate condizioni fisiche, occorre un certo preciso tempo affinché lo zucchero si sciolga. Ma ad ognuno questo tempo sembrerà diverso, a chi breve, a chi interminabile. Sarebbe spontaneo immaginare che Bergson non portasse orologio. Invece la sua conoscenza del tempo si basava su un'esatta valutazione. L'orologio di Bergson batte colpi violenti, in apparenza sempre uguali. Invece il tempo impercettibilmente si flette. Dove smette di pulsare, continuiamo a percepirlo. In mezzo ai colpi passano sciami di eventi sonori eterogenei, nella stessa direzione del tempo o in direzione contraria. Questo pezzo sfrutta in modo inaudito le articolazioni più elementari che ci siano, suoni distanziati e ripetuti, usandoli come stacchi di immagini sonore periodiche e intermittenti. Ne deriva un'esperienza singolare di tipo cinetico. Entrano in gioco: persistenza, direzionalità dell'immagine, e soprattutto la discontinuità di spazio e tempo da cui la pluralità dimensionale scaturisce. Quantità di cose e sabbia trascinano a loro volta / cose e sabbia che fanno barriera. D'un tratto / il fiume smette di scorrere / perché prima scorreva. Stupefatti dinanzi all'arrestarsi della vita, restiamo assordati dal tamburo del silenzio. E il nostro cuore a danzare, solo da vivi infatti possiamo contemplare la morte. In Cantare con silenzio questa esplosione si voltava in gioia, richiamando le voci a narrare ancora una volta la nascita dell'universo. Estrapolata dal ciclo vocale, ora la danza si avviluppa in un contrasto di suoni violenti e suoni lontani, come tra luce e ombre con il sole a picco. Ardo di sete e muoio. / Ma bevi alla fonte perenne / a destra del cipresso... Spesso mi sono chiesto perché un cipresso bianco. Viene sempre menzionato dalla tradizione orfico-pitagorica, quasi a contrassegno dell'aldilà. Da qualche tempo, confusamente ho compreso: le strade antiche erano sterrate, il passaggio di uomini e bestie imbiancava gli alberi di polvere. Nel regno dei più il traffico era notevolmente il più intenso che si potesse pensare. Ho dedicato L'orologio di Bergson e Morte tamburo a Mario Caroli, per cui entrambi i lavori sono stati concepiti. (Salvatore Sciarrino)


Pietro Antonio Locatelli Trio Sonata op 5 n° 1 in sol maggiore

Locatelli nacque a Bergamo nel 1695. A quattordici anni era già violinista presso la cattedrale della sua città e l'anno dopo si recò a Roma per studiare con Corelli: di fatto non studiò con il maestro ma con un membro del prestigioso circolo di virtuosi del violino della sua scuola. A Roma, dove soggiornò fino al 1723, intraprese una brillante carriera concertistica. Nel 1725 era Mantova, al servizio del Landgravio Filippo di Hesse-Darmstadt; nel 1727-28 lo ritroviamo in Germania, dove incontra il famoso violinista francese Jean-Marie Leclair, con il quale stabilisce una cordiale relazione professionale. Nel 1729 Locatelli si stabilì ad Amsterdam, anche in funzione di collaborare con i locali editori, che potevano garantire una vasta circolazione internazionale alla sua musica. Viveva con un certo agio in una grande casa dirimpetto ad un canale, dove custodiva una importante collezione di opere d'arte e strumenti musicali, e una vasta biblioteca ricca di libri antichi, spesso presenti anche in molteplici copie: particolare che fa pensare svolgesse un'attività di collezionismo e commercio d'arte. I mercoledì sera organizzava concerti nella propria casa per un circolo di ricchi amatori e studenti. Usando le sue stesse parole si rifiutava di «suonare ovunque» e desiderava esibirsi «solo per i gentiluomini». Le sue esecuzioni erano famose e sono state descritte da scrittori come Diderot e Charles Burney. Le Sonate op 5 si inseriscono a pieno titolo nella tradizione italiana cercando al contempo di assecondare il gusto del suo nobile circolo di estimatori. Nello stile galante di queste sonate ritroviamo frequentemente elementi rococò che riflettono la volontà di Locatelli di adattarsi al gusto del suo tempo, in rapida mutazione. Nella successione dei tempi della Sonata op V nº 1 non è possibile individuare, in base al principio dell'alternanza lento-veloce, una programmatica regolarità: prevale il gusto per una dilettevole varietà. Il primo tempo, un andante dal carattere tranquillo con ampio sviluppo ornamentale (come frequentemente accade in Locatelli) è scritto nell'usuale forma di primo tempo di sonata di gusto tipicamente italiano con alternanze improvvise fra maggiore e minore verso la fine del movimento. Il secondo tempo, su un ritmo di Siciliana, denominato curiosamente Largo-Andante ha un carattere spiccatamente melodico. Locatelli si abbandona qui ad una cantabilità intensa che, grazie alla pregevole fattura della melodia, riesce ad adattarsi magnificamente al timbro e alla caratteristica sinuosità di fraseggio dei flauti. Il terzo movimento è un Allegro nella consueta scrittura virtuosistica ricca di sincopi, abbellimenti rapidi e ritmici e volatine: i due flauti si alternano nell'esporre il materiale tematico iniziale per poi intrecciarsi in un dialogo serrato. Caratteristici dello stile di Locatelli le brusche modulazioni al minore risolte poi con repentini ritorni in maggiore. L'ultimo tempo è una spensierata danza ternaria, una sorta di Minuetto inframezzato da un Trio centrale in minore, espressivo e a tratti ombroso, che valorizza il trascinante e gioioso il ritorno del tema iniziale di danza.


Doina Rotaru Epistrophe

É un breve pezzo per flauto, ispirato dalla musica tradizionale rumena di ascendenza bizantina. Nella musica bizantina il termine “epistrofe” viene ripetuto alla fine di ogni frase. Alcuni specifici elementi melodici e ritmici sono usati in questo pezzo, per rendere il sapore e lo spirito di questa musica, senza fare però uso di citazioni. Anche se poche cellule melodiche sono estensivamente ripetute in questo lavoro, le ripetizioni non sono mai identiche, e i motivi e le frasi non sono mai esattamente uguali. Una ripetizione che eviti la simmetria è molto importante in questo tipo di musica monodica. La semplicità e l'austerità del materiale modale diatonico - il modo dorico di Re - è compensata da cambiamenti di registro e colore del flauto. Tre distinti livelli, si alternano durante il pezzo, tre differenti sonorità del flauto nei tre diversi registri dello strumento:

- Una quinta giusta che si ripete ossessivamente, simbolo della luce, suonata negli armonici, che nelle sue undici apparizioni è sempre mutevole (con variazioni di registro, ritmo, o numero di note).
- nel registro basso il flautista suona e canta allo stesso tempo, come una “voce del prete”, con diverse modalità: quinte, doppie e triple ottave parallele, oppure bordoni tenuti dal flauto mentre la melodia viene cantata con la voce.
- Il livello dell' “orante”, fra i due livelli precedenti, si presenta con suono ordinario, senza o con poco vibrato, con le indicazioni “dolce, semplice”, “dolcissimo” o “suoni neutri”. (Dorina Rotaru)

Carl Philip Emanuel Bach Trio Sonata in re minore WQ 145


Carl Philip Emanuel Bach, secondo dei figli sopravvissuti di Bach, servì dal 1740 al 1767 alla corte del Re di Prussia Federico il Grande come clavicembalista. Dal 1767, dopo la morte di Telemann, divenne direttore della musica ecclesiastica della città di Amburgo. Federico II assunse al suo servizio Carl Philip Emanuel Bach nel 1738 e, dopo la sua incoronazione nel 1740, lo nominò clavicembalista principale della sua corte. Nonostante Federico ne ammirasse la bravura come clavicembalista, era debolmente affascinato alla sua attività di compositore: ciò spiega la relativa esiguità di opere per flauto scritte da Carl Philip Emanuel Bach nel corso del suo lungo servizio alla corte di Federico. Come afferma nel 1772 il celebre giornalista e viaggiatore Charles Burney, entusiasta ammiratore della sua musica, «il gusto musicale di Federico era quello di quaranta anni fa»: ciò spiega perché Carl Philip Emanuel Bach non avesse ricevuto alla corte di Potsdam la considerazione che senz'altro meritava, e perché il compito di scrivere musica per le occasioni importanti fosse preferibilmente affidato a figure di minor rilievo come Carl Heinrich Graun (1704-1759) e Johann Joachim Quantz, maestro di flauto di Federico e unico musicista autorizzato a muovergli osservazioni e critiche. Sia numericamente che nella storia di questo genere di composizione la Sonata in Trio è predominante nella produzione cameristica di Carl Philip Emanuel Bach. Il termine Trio come sappiamo si riferisce al numero delle parti obbligate - e non al numero degli esecutori. Dunque appartengono a questo genere sia opere per uno strumento e clavicembalo obbligato che opere scritte nella forma più tradizionale con due strumenti e basso. Molte Sonate in Trio ci sono pervenute in entrambe le versioni. Nella produzione di Carl Philip Emanuel Bach sono presenti forme di Sonate in Trio di impronta contrappuntistica nelle quali il basso è coinvolto a pieno titolo nello svolgimento del materiale tematico e lavori in stile italiano dai tratti meno polifonici come appunto la Trio Sonata in re minore Wq 145 che ascolteremo questa sera, nella quale il basso riveste un ruolo di semplice fondamento armonico. Questa sonata fu composta nel 1731 e successivamente revisionata nel 1740. Quest'ultima versione, originalmente concepita per flauto violino e basso continuo veniva suonata dal Re con il violinista di corte Franz Benda e Bach stesso al clavicembalo. Spesso la parte di violino veniva sostenuta da Johann Joachim Quantz, maestro di flauto di Federico: da qui la tradizione di eseguire questo brano per due flauti e basso continuo come nel concerto di questa sera. La Trio Sonata in re minore ha una stretta relazione con una sonata nella stessa tonalità per violino e cembalo obbligato in passato attribuita a Johann Sebastian Bach (BWV 1036 nel catalogo di Schmieder). La Sonata BWV 1036 è nel complesso meno elaborata e manifesta uno stile più antico rispetto alla Sonata WQ 145: la spiegazione più probabile sembra essere che la Sonata BWV 1036 sia stata composta nel 1731 da Carl Philip Emanuel probabilmente con l'aiuto del padre mentre la Sonata WQ 145 ne sia la versione definitiva del 1740.