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Sabato 1 novembre 2014, ore 20.00
Teatrino di Palazzo Grassi

ITINERARIO MOZARTIANO



In collaborazione con Palazzo Grassi - François Pinault Foundation e Studio Tapiro

Ex Novo Ensemble

Davide Teodoro clarinetto (*)
Carlo Lazari violino
Annamaria Pellegrino violino
Mario Paladin viola
Carlo Teodoro violoncello

Con la partecipazione di
Laura Micelli clarinetto e corno di bassetto (**)
Filippo Barbagallo clarinetto
Maria Benedetti clarinetto e corno di bassetto
Tiziana Luca corno di bassetto

Preludio critico di Valentina Confuorto

Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)
Adagio K 580a (1789) in fa maggiore per clarinetto(*) e tre corni di bassetto

Camillo Togni (1922-1993)
Invenzione (1939) per quattro clarinetti
Prima esecuzione assoluta

Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)
Adagio K 411 (K484a) in si bemolle maggiore (1785) per due clarinetti e tre corni di bassetto

Elliott Carter (1908-2012)
Canon for 3 (in memoriam Igor Stravinskij, 1971) per tre clarinetti

Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)
Allegro K 580b (1789) in fa maggiore per clarinetto(*), corno di bassetto(**), violino, viola e violoncello

Krzysztof Penderecki (1933)
Quartetto (1993) per clarinetto(*), violino, viola e violoncello
Notturno (Adagio) - Scherzo (Vivacissimo) - Serenade (Tempo di Valse) - Abschied (Larghetto)

Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)
Allegro K 516c (1787) in si bemolle maggiore per clarinetto(*), due violini, viola e violoncello

«In ogni epoca i tedeschi sono sempre stati i più grandi armonisti e gli italiani i più grandi melodisti.
Ma da quando il Nord ha prodotto un Mozart, noi del Sud siamo stati battuti sul nostro stesso terreno
perché egli si innalza al di sopra delle nazioni unendo in sé l'incanto della melodia italiana
e tutta la profondità dell'armonia tedesca.
Egli è il solo musicista che possieda nel medesimo grado sapienza e genio

(Gioacchino Rossini)



«Mozart è la felicità prima che questa sia giunta a compimento.» (Arthur Miller)

Mozart ascoltò il clarinetto per la prima volta nel 1763 in un'Accademia dell'Orchestra di Mannheim a Schwetsingen. La predilezione per questo strumento fu tardiva, ma molto prolifica. Il primo impiego accertato è nel Divertimento K113, scritto 1771 per l'orchestra privata del patrono di Milano. Da quel momento in poi fino alla sua morte, Mozart inserirà spesso interventi solistici affidati al clarinetto nei concerti per pianoforte e orchestra, come ad esempio nella Siciliana del Concerto K488, dove è il clarinetto, pur dialogante con altri strumenti, a dare il colore dominante alla tessitura melodica.
Determinante fu l'amicizia personale, nonché la comunanza dell'appartenenza alla stessa loggia massonica con Anton Stadler, virtuoso in particolar modo del clarinetto di bassetto. Confrontandosi con Stadler sulle potenzialità dello strumento Mozart scriverà, tra le altre cose, il Trio “dei birilli” K498, la Musica funebre massonica K477 (che impiega anche il corno bassetto), il Quintetto K581, il Concerto K622, in cui le risorse timbrico-espressive del clarinetto vengono sfruttate mirabilmente.
Ci sono pervenuti numerosi frammenti che prevedono sia l'uso del clarinetto, che quello di uno o più corni di bassetto, strumento suonato dal fratello di Anton Stadler, Johann.
- Nell'Adagio K 580a il clarinetto solista è accompagnato da tre corni di bassetto, in una fusione timbrica toccante. La melodia del clarinetto è estremamente cantabile, lo strumento potrebbe benissimo essere sostituito dalla voce di un personaggio d'opera, di una donna che sospira e descrive la sua tenera passione amorosa. La prima parte dell'Adagio, descrittiva e serena, viene velata da un accenno di turbamento, che presto evapora repentinamente per ritornare all'aurea morbidezza iniziale.
- Anche l' Adagio K 411 (K484a) fu probabilmente scritto per i fratelli Stadler. Il carattere solenne e la costruzione armonica seria fanno supporre che fosse destinato ad una cerimonia massonica solenne. Il terzo corno di bassetto funge da basso, con mirabili interpolazioni di note di passaggio tra le note del basso; gli altri due corni di bassetto alternano momenti di accompagnamento ad altri di interazione con i due clarinetti, procedendo spesso per terze e per seste. A momenti accordali omoritmici, particolarmente espressivi, si alternano sezioni più discorsive. Il tema iniziale ritorna ciclicamente, ripresentandosi anche alla fine del brano, che si conclude con una breve coda dall'incedere maestoso.
- Egualmente l'Allegro in fa maggiore K580b per clarinetto, corno di bassetto e trio d'archi, fu probabilmente composto per Anton e Johann. Il brano non è di grande spessore, ma è interessante poiché una delle rare partiture mozartiane incomplete e prive di finale. Il primo tema è esposto prima dal violino, ripreso poi dal clarinetto, accompagnato dal corno di bassetto. Seguono una serie di riesposizioni, a volte condivise tra gli strumenti, altre proposte nella tipica veste timbrica del raddoppio "alla terza". Il secondo tema è più cantabile modula spesso in tonalità minore, con cadenze a sorpresa. C'è poi un inaspettato cambiamento metrico, il carattere diviene dapprima scherzoso, poi più drammatico, fino alla riproposizione del gioioso tema iniziale. Segue uno sviluppo che alterna momenti dinamici a progressioni più sospensive. Il secondo tema è riproposto fugacemente, ma, come a seguito di un ripensamento, il compositore continua a giocare intorno ai materiali del primo tema. Dopo una serie di modulazioni lo stesso materiale espositivo è ancora variato e riutilizzato in minore. Un ponte modulante riconduce al tema iniziale, e alla consueta sezione di coda.
- L'Allegro K516c fu probabilmente composto nel 1787, due anni prima del famoso Quintetto in la maggiore per clarinetto e archi. Intenzionalmente sarebbe dovuto essere l'inizio di un Quintetto, ma ci restano appena novantatré battute. Dopo una breve introduzione dei soli archi il clarinetto fa il suo discreto ingresso nel tessuto timbrico. Inaspettatamente si avvia un episodio concitato "in terzine", dettato prima dal violoncello e ripreso poi dal clarinetto. Presto si torna alla cantabilità dell'inizio, con il clarinetto e il violino che si scambiano uscite virtuosistiche. La seconda parte è un minore dagli accenti melodrammatici, con scale ascendenti eseguite in sequenza alternata dai vari strumenti; segue un nuovo episodio in terzine, che lascia infine spazio alla riesposizione dell'idillico tema iniziale.


Camillo Togni Invenzione (1939) per quattro clarinetti

Scritta quando il compositore aveva appena diciassette anni, prima di aderire al metodo dodecafonico, l'Invenzione per quattro clarinetti è una densa pagina di musica cameristica. La cellula sulla quale si costruisce il brano è tanto breve quanto ricca e varia al suo interno. É esposta all'inizio dal quarto clarinetto e ripresa in senso ascendente dagli altri in struttura canonica, ma mai in maniera pedissequa o scolastica: non sono rispettati gli intervalli usualmente utilizzati per i canoni preferendo l'adozione di procedure intervallari inusuali; la cellula stessa, pur mantenendo la sua organicità, subisce continue manipolazioni cromatiche che ne alterno la fisionomia intervallare. Dopo la prima esposizione le voci si ravvicinano, contendendosi il tema o esponendolo a coppie; fanno il loro ingresso decorative figurazioni di semicrome, che si trasformano poi in elemento tematico. Un lungo trillo fa presagire un'esplosione, che si farà però attendere a lungo. Inventiva ritmica, audaci fusioni timbriche, sommessi ripiegamenti, conducono alla riapparizione della cellula iniziale, mai uguale a se stessa, che placidamente conclude il brano.

Eliott Carter Canon for 3 (1971)

In seguito alla morte Igor Stravinskij, il 6 aprile 1971, la rivista musicale britannica Tempo dedicò un intero numero e parte di un altro a tributi di vario genere per il compositore. Oltre a fotografie, ricordi e analisi musicali, diversi compositori, tra cui Carter, contribuirono a una serie di Canoni ed epitaffi, che apparvero nei numeri estivi e autunnali. Boulez, Copland, Sessions, Milhaud, Berio, Maxwell Davies, Schnittke, Birtwhistle, e numerosi altri compositori donarono i loro tributi musicali. Il risultato fu un'antologia straordinariamente varia. Il canone di Carter sembra supportare un qualche simbolismo inconscio che invita alla sospensione momentanea del tempo, la capacità di un gesto di uscire da se stesso e di guardare da tutti i lati, come in una sorta di ologramma cronologico.
Della durata di meno di due minuti, è una delle opere più concise e concentrate della raccolta. L'organico richiesto è di tre strumenti uguali non specificati, con la medesima ampiezza di registro. All'epoca fu presentato per trombe con sordina, ma la partitura suggeriva anche clarinetti, oboi e altri fiati. Il canone è esposto per intero dalla prima voce per la durata di cinque battute. La seconda voce entra presentando lo stesso canone invertito e trasposto di un tritono. La terza voce interviene con una linea identica alla prima, in contrappunto con le altre due voci. Dopo l'esposizione della terza voce il canone prende una piega sorprendente: il soggetto canonico appare di nuovo, nella forma di grappoli di suoni prodotti dai tre strumenti. Mentre gli attacchi dei suoni delineano la forma esatta del soggetto canonico, le durate originali non vengono però rispettate. Questo crea una variazione un po' straniante del materiale, come se l'inchiostro utilizzato per scrivere i soggetti cominciasse a scorrere su tutta la pagina, invitando tutte le voci del canone a confluire nell'alveo del tema stesso.

Krzysztof Penderecki Quartetto (1993)

In una delle sue interviste il compositore ha ammesso che la fonte di ispirazione per la scrittura di questo lavoro fu l'ascolto del Quintetto per archi di Schubert durante un concerto nella località svizzera di Evian. La scrittura del Quartetto era iniziata, in bozza, per iniziativa autonoma di Penderecki ma fu poi ripresa solo quando il Festival dello Schleswig-Holstein glielo commissionò formalmente. L'opera fu eseguita per la prima volta il 13 agosto 1993 a Lubecca per il Festival, con la partecipazione di Sharon Kam (clarinetto), Kim Kashkashian (viola) e Boris Pergamenschikow (violoncello).
Pur avendo lavorato alacremente alla partitura fin pochi giorni prima della prèmiere, la mancanza di tempo impedì a Penderecki di realizzare il suo progetto iniziale, che prevedeva sette movimenti; l'opera venne dunque strutturata in quattro tempi: Notturno (Nocturne), Scherzo, Serenade, Abschied (Addio), i cui titoli -secondo l'autore- hanno lo scopo di evocare immagini di Vienna. Il fatto che l'opera avrebbe dovuto essere molto più estesa ha determinato lunghezza e drammaturgia dei quattro movimenti, tra loro intimamente correlati.
Con il sottotitolo “reminiscenze barocche” il compositore ha voluto rendere omaggio a un periodo che ha svolto un ruolo fondamentale nella storia della cultura polacca. L'opera infatti contiene molte allusioni alla musica antica, e il desiderio di suscitare nel'ascoltatore determinate associazioni è chiaramente distinguibile. Il Nocturne si apre con un esteso monologo del clarinetto, gradualmente raggiunto dalla viola e dagli altri strumenti. L'atmosfera malinconica è determinata dal grande uso di intervalli di seconda e di terza minore, così come di sesta maggiore. All'inizio domina l'incertezza tonale e modale, ma lentamente la melodia si stabilizza sul si bemolle minore.
Lo Scherzo è caratterizzato da un'eccezionale semplicità. Tranne poche eccezioni, è un susseguirsi continuo di crome, alla maniera degli scherzi di Beethoven. Qui sono gli archi a condurre il discorso, raggiunti poi solo dopo sessantadue battute dal clarinetto, che prorompe con una nota acuta e poi raggiunge il registro degli altri strumenti. A metà del movimento la musica subisce una metamorfosi di tempo, struttura e ritmo, per tornare subito dopo all'andamento iniziale.
La Serenade è il movimento più breve e differisce molto da tutti gli altri. Benché sia indicato dal compositore “tempo di valzer”, il brano non ha molto in comune con la danza, poiché soggetto a continui cambiamenti di tempo; il largo uso di sincopi rende inoltre difficile seguire con chiarezza l'andamento ternario. Potrebbe alludere al valzer del Pierrot lunaire di Arnold Schoenberg.
Il Larghetto finale è intriso di malinconia infinita; il tempo è estremamente lento, gli strumenti suonano a turno recitativi molto lunghi, che rendono l'atmosfera sospesa, quasi statica.