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Lunedì 13 ottobre 2014, ore 20.00
Gran Teatro la Fenice, Sale Apollinee

À VOIX HAUTE, À VOIX BASSE, AVEC MILLE HARMONIES



In collaborazione con Palazzetto Bru Zane - Centre de musique romantique française

Ex Novo Ensemble
Daniele Ruggieri flauto
Rossana Calvi oboe
Davide Teodoro clarinetto
Roberto Giaccaglia fagotto
Aldo Orvieto pianoforte

Preludio critico di Guido Viverit

Camille Saint-Saëns (1835-1921)
Caprice sur des airs danois et russes, Op. 79 (1887), per flauto, oboe, clarinetto e pianoforte

Darius Milhaud (1892-1974)
Sonate op. 47 (1918) per flauto, oboe, clarinetto e pianoforte
Tranquille - Joyeux - Emporté - Douloureux

Stefano Gervasoni (1962)
Dal ciclo Prés (2008-2014), per pianoforte
Précieux (VII, 2011)
Prétentieux (VIII, 2012) prima esecuzione assoluta
Pernicieux (IX, 2012) prima esecuzione assoluta

André Caplet (1878-1925)
Quintetto (1900) per flauto, oboe, clarinetto, fagotto e pianoforte
Allegro - Adagio - Scherzo - Finale

Il paese dell'égalité è quello dov'è nata l'inégalité musicale, un modo particolare di articolare le note, nato dalla preponderante accentuazione ossitona della lingua. Che si nasca in Francia o che se ne assorba la cultura, la trasposizione dei pensieri in musica passa attraverso la loro formulazione. Con mille armonie, sussurrando o declamando.


Camille Saint-Saëns Caprice sur des airs danois et russes, Op. 79 (1887)

Il Caprice fu scritto da Saint-Saëns durante il suo secondo viaggio tra Danimarca e Russia nel 1887 ed eseguito in una serie di sette concerti organizzati dalla Croce Rossa a San Pietroburgo durante la Settimana Santa e successivamente a Londra. Il compositore sedeva al pianoforte, affiancato dal grande flautista Paul Taffanel, dall'oboista Georges Gillet e dal clarinettista Charles Turban. L'inusuale combinazione di arie danesi e russe era stata scelta per omaggiare la dedicataria, la principessa Sophie Friederika Dagmar di Danimarca, che aveva sposato lo zar Alessandro III diventando così Maria Feodorovna. Il Caprice è diviso in tre sezioni ciascuna delle quali basata su un suo proprio impianto tematico. La prima è fondata sulla melodia popolare danese Dagmar the Queen; cui il pianoforte e le fanfare dei fiati conferiscono grande maestosità. Seguono una serie di spunti melodici secondari puntellati da passaggi virtuosi dei quattro interpreti.
La seconda melodia proviene dall'Inghilterra ed è un omaggio alla principessa Alessandra del Galles, sorella della zarina. In questa parte è la voce del flauto che domina il panorama sonoro, quasi una sorta di ringraziamento all'amico Taffanel. La terza sezione è per la maggior parte di ispirazione russa; il compositore varia con tecniche sempre diverse la melodia, concedendo qui più spazio all'oboe. Saint-Saëns usa come un acquarellista le tinte e le sfumature dei vari strumenti a fiato, espressivi e spesso malinconici, stemperandoli con passaggi brillanti del pianoforte.
Il brano si conclude con una fanfara, alla quale tutti gli strumenti concorrono maestosamente e con maestria.

Darius Milhaud Sonate op. 47 (1918)

Benché molte delle sue opere siano intrise di sonorità accattivanti e spesso umoristiche, la Sonate op. 47 evoca un'atmosfera decisamente più cupa. Qui dominano le dissonanze, le avventurose esplorazioni di politonalità, gli esperimenti timbrici. Il primo movimento, Tranquille, si apre con una sonorità che evoca lo stile debussiano, indugiando però in sinuosi ondeggiamenti tropicali; quest'atmosfera è rapidamente superata con una sezione dissonante e a tratti inquietante. Il secondo movimento, Joyeux, si presenta piuttosto spensierato all'inizio, tra gorgheggi del clarinetto e arpeggi del pianoforte; poco dopo i disegni ritmici e melodici si fanno più concitati, per poi distendersi in un clima sospeso, quasi limbico. Il terzo movimento, Emporté, è uno sfogo arrabbiato, gli accordi martellanti del pianoforte e gli interventi dei fiati sembrano evocare grida di spavento, urla di riprovazione, fughe affannate. Doloureux, infine, è una nenia piena di amarezza e disillusione; per alcuni aspetti è paragonabile a certi dipinti di Picasso: i personaggi, come le voci dei vari strumenti, faticano a trovare il tono giusto per indirizzare il proprio sgomento. Scritto alla fine della prima guerra mondiale, durante un'epidemia letale di influenza, questo brano lascia un'impressione complessiva di allegria forzata e di morte imminente.

Stefano Gervasoni Précieux, Prétentieux, Pernicieux (2011/2)

Dei diciotto piccoli preludi che compongono il ciclo dei prés, i tre eseguiti questa sera, che aprono il secondo quaderno del ciclo, sono i più autenticamente e sibillinamente infantili, cioè i più pragmaticamente e metafisicamente ispirati al mondo dell'infanzia (che per un adulto rappresenta un miscuglio indistricabile di grazia, innocenza, serenità, premonizione, acutezza di visione, capacità di afferrare le cose attraverso lo stupore, evasione e partecipazione profonda). Précieux è stato scritto e dedicato alla figlia di un amico musicologo, il giorno della sua nascita; Prétentieux e Pernicieux sono invece ispirati ai figli di un amico pianista - a cui sono dedicati. Brani realmente infantili perché scritti originariamente per pianoforte giocattolo (lo strumento per cui John Cage aveva scritto la sua Suite for toy piano del 1948) ed anche ambiguamente infantili, perché ineseguibili da un pianista bambino e difficili per un pianista adulto alle prese con uno “strumento bambino” i cui piccoli tasti con il loro meccanismo “imperfetto” trasformano l'interpretazione in una avventura “perniciosa”. Ambiziosamente sbilanciati, nonostante le loro dimensioni ridotte, verso orizzonti di tipo filosofico -con un intento di tipo umoristico, sia detto- come un bimbo che si mettesse a parlare dei massimi sistemi, con tutta l'ingenuità e il desiderio di capire che a quell'età lo contraddistinguono facendo inevitabilmente sorridere l'adulto spettatore di quella scena. In Précieux è dunque questione dell'origine, del principio che presiede alla creazione (divino o naturale), in Prétentieux dell'atteggiamento da assumere di fronte alla vita da vivere, costruire, subire o modellare (in poche battute il brano alterna didascalie come: “pessimista”, “realista”, nichilista”, etc.), in Pérnicieux della corsa a ostacoli che a volte la vita può rappresentare fino all'ostacolo finale, quello della morte. Il tutto detto con gli strumenti di un adulto che si immagina, o forse rivive (artisticamente) i toni, la sensibilità, i capricci e i desideri non ancora mediati dalla speranza che animano i protagonisti del mondo infantile. (Stefano Gervasoni)

André Caplet Quintetto (1900)

Il Quintetto per flauto, oboe, clarinetto, fagotto e pianoforte può forse sorprendere per l'impianto costruttivo volutamente accademico e le idee musicali perfettamente aderenti alla tradizione romantica francese. Fedele alla forma-sonata bitematica, si apre con primo tema brillante in re maggiore, al quale succede il secondo tema in la maggiore, più lineare, oggetto di un accurato contrappunto dei fiati su un tessuto sincopato del pianoforte. Lo sviluppo inizia con un ripresa quasi testuale del primo tema; un intervento solistico del pianoforte segna l'inizio di un generoso lavoro di sviluppo tematico, al quale segue una brillante coda in fortissimo.
Il commovente Adagio è in fa diesis minore. Dopo un'introduzione in cui il pianoforte geme debolmente, il tema principale, semplice e doloroso, è esposto dal clarinetto sostenuto da accordi regolari del pianoforte, mentre le linee dei fiati formano la cornice contrappuntistica. Dopo che tale episodio ha raggiungo il suo naturale climax, riappare il tema principale, questa volta condotto come canone a due voci, in fortissimo. Il movimento infine si distende con un fugace ritorno al tema introduttivo, e si esaurisce in misteriosi rintocchi del pianoforte. Lo Scherzo è in la minore dorico. La struttura rispetta lo schema A, B, A. La prima sezione è a sua volta composta da due parti: la prima si presenta come un dialogo tra fiati e pianoforte, basata su un andamento ritmico puntato saltellante, animato da veloci scalette dei vari strumenti; nella seconda compare un nuovo modello melodico dei fiati, accompagnati dagli arpeggi del pianoforte. La ripresa inverte l'ordine dei temi (prima il pianoforte, poi i fiati) ed è seguita da una coda di leggeri arabeschi. Il trio mantiene dapprima la tonalità di la minore con un motivo in sincope esposto dal pianoforte, poi modula verso il do maggiore, per tornare infine alla prima sezione.
Anche il Finale è concepito in maniera bitematica, ma con una struttura più libera. Il primo tema è esposto dal flauto e dal clarinetto all'unisono su un tappeto di semicrome del pianoforte, per essere poi affidato ad oboe e fagotto. Un episodio di transizione conduce al secondo tema, più accattivante, che però è presto interrotto dall'incalzare del ritmo iniziale. Lo sviluppo, piuttosto breve, si basa essenzialmente sul secondo tema, e la ripresa affida l'elemento melodico al pianoforte accompagnato dai fiati. Inaspettatamente, dopo una breve esitazione, è introdotto un episodio quasi elegiaco, disteso e pacato, che ripropone elementi tematici dell'Adagio. Lo sviluppo finale continua con la riesposizione del secondo tema e si conclude in maniera brillante, riecheggiando spunti tematici del primo movimento.