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Lunedì 29 settembre 2014, ore 20.00
Gran Teatro la Fenice, Sale Apollinee

LIETO E TRISTE INSIEME

Massimo Somenzi pianoforte

Ex Novo Ensemble
Davide Teodoro clarinetto
Carlo Lazari violino
Mario Paladin viola
Carlo Teodoro violoncello
Luca Stevanato contrabbasso

Preludio critico di Massimo Contiero

Hans Pfitzner (1869-1949)
Sestetto op. 55 (1945) in sol maggiore per clarinetto, violino, viola, violoncello,
contrabbasso e pianoforte
Allegro con passione (leidenschaftlich) - Quasi minuetto - Rondoletto (Allegretto) -
Semplice (misterioso) - Comodo (gemachlich, doch mit Fluss)

Franz Schubert (1797-1828)
Quintetto op. 114, D667 “La trota” (1819), in la maggiore per violino, viola, violoncello,
contrabbasso e pianoforte
Allegro vivace - Andante - Scherzo - Tema con variazioni - Allegro giusto


Citando Victor Hugo, potremmo dire che la malinconia è la felicità di essere triste.
I due lunghi brani proposti ostentano gaiezza e imperturbabilità, luminosità e giocondità.
Eppure, se si fende la superficie dell'ascolto distratto, si percepirà la stretta al cuore,
l'odore di un ricordo, un rimpianto malcelato,
che ne sanciscono la complessa umanità
.



Franz Schubert Quintetto op. 114, D667 “La trota” (1819)

Nel ruscello la trota capricciosa guizzava allegra, facendosi beffe delle minacce della lenza di un pescatore. Ma il pescatore, stanco di aspettare, intorbidò le acque chiare del ruscello e la trota, ingannata, abboccò. Christian Friedrich Daniel Schubart (1739-1791), poeta tedesco vicino agli ideali dello Sturm und Drang, seppe raccontare questa storia con accenti di semplice immediatezza e Schubert se ne invaghì, componendo uno dei suoi Lieder più famosi, Die Forelle (La trota).
Durante il viaggio dell'estate 1819 nell'Austria Superiore Schubert, in compagnia del cantante Johann Michael Vogl, fu ospite per un certo periodo a Steyr ed ebbe modo di far conoscere la sua musica alle famiglie più in vista della città. Sylvester Paumgartner, mecenate dell'arte e violoncellista dilettante, si innamorò a tal punto del Lied Die Forelle da pregare Schubert di utilizzarlo in un'opera di musica da camera. Tornato a Vienna, Schubert, per sdebitarsi dell'ospitalità ricevuta, compose nell'autunno un quintetto in la maggiore in cui riprese il tema del Lied per costruire un ciclo di variazioni: nacque così il Forellenquintett, che fu trascritto nelle parti staccate e inviato a Paumgartner. Eseguito numerose volte in circoli privati, fu pubblicato postumo solo nel 1829 da Joseph Czerny a Vienna, con il numero d'opera 114. Quanto all'organico inconsueto, che unisce al pianoforte non il classico quartetto d'archi ma violino, viola, violoncello e contrabbasso, esso si può spiegare con l'intenzione di riservare al violoncello, lo strumento suonato dal committente, una maggiore libertà melodica nella dinamica dell'opera, affidando il ruolo e la funzione del basso al contrabbasso.
Il Quintetto è in cinque movimenti; inserendo un Andante tra il primo tempo (Allegro vivace) e il terzo (Scherzo), Schubert costruisce una struttura simmetrica d'ampio respiro: presto-lento-presto-lento-presto; lo stesso accade anche nella successione della Tonalità: La-Fa-La-Re-La, tutte maggiori. La caratteristica più curiosa del Forellenquintett è il trattamento del pianoforte come strumento monofonico: quasi sempre la mano destra e la sinistra suonano all'ottava una sola melodia, spesso senza accordi.
Il primo movimento ha la struttura di un tempo di sonata, il tema principale è caratterizzato da due motivi diversissimi tra di loro, il “guizzo” della sestina affidato al pianoforte e il motivo cantabile degli archi; la sestina ha origine proprio dall'accompagnamento del Lied ed è un elemento che ricorre in tutti i movimenti. La scioltezza fluente del discorso è periodicamente contraddetta da accenti marcati e da impennate baldanzose, su cui si innesta nello sviluppo un ritmo di marcia che conduce verso tonalità remote e porta con sé tensioni assai marcate. Tensioni si sciolgono nella ripresa, ma tornano poi a riproporsi nella coda con rinnovata vitalità, mimando quasi un atto drammatico.
Il senso di attesa provocato da questo primo movimento si estende al secondo, Andante in fa maggiore, che ne riprende anche tematicamente alcuni elementi, come l'ascesa per terze, il trillo e il ritmo puntato; l'elaborazione segue un percorso armonico inquieto e ondivago, oscillante tra maggiore e minore. Tutto il movimento è costruito in due grandi episodi: un crescendo cromatico ascendente, danzante e irrequieto nel primo episodio (fa - fa diesis - sol) si contrappone ad un secondo episodio che inizia invece in la bemolle maggiore, per scendere sul la minore e concludersi in fa maggiore: la reiterazione della tenerezza in questo secondo episodio appare quasi dolorosa.
Lo Scherzo vorticoso, in la maggiore, ristabilisce la solidità vigorosa ed energica dell'atmosfera di fondo, gli accordi del pianoforte sostengono il ritmo costante ben affermato dagli archi. Il Trio in re maggiore richiama quelle estatiche contemplazioni liriche che avevano fin qui contrappuntato e impreziosito l'andamento del Quintetto; gli archi divisi in due gruppi e il pianoforte si palleggiano un motivo sereno, cambiando di volta in volta grado e colore tonale.
Si arriva così al cuore dell'opera, l'Andantino, anch'esso in re maggiore, che espone il tema del Lied (originariamente in re bemolle) e lo elabora in cinque variazioni. Il tema originale è in realtà trasformato fin dalla sua apparizione, non solo nella veste tonale ma anche in quella strumentale e ritmica (note puntate), né accenna agli aspetti drammatici del Lied, conservandone solo freschezza e gioia. Il tema è enunciato dai soli archi, il pianoforte entra nella prima variazione, introducendo fioriture e abbellimenti che lo arricchiscono di eleganza e fantasia. La seconda variazione utilizza solo la prima cellula del tema, enunciata da viola e violoncello da un lato e dal pianoforte dall'altro, mentre il violino disegna rapido una ghirlanda aerea. Dalla terza variazione il discorso si fa più concitato, dove stavolta è il pianoforte a sbizzarrirsi in fioriture. Nella quarta variazione, in re minore, emergono veemenza e contrasto, mentre nella quinta variazione domina la voce del violoncello, che un po' alla volta introduce elementi del tema, terminando con un esteso ponte modulante, carico di aspettative. E finalmente il tema del Lied viene presentato nella sua forma originaria, la melodia vocale è affidata al violino e l'accompagnamento tale e quale al pianoforte, in tempo di un grazioso Allegretto, che termina su rapide sestine. In la maggiore, il Finale Allegro giusto, con il suo primo tema affermativamente ritmico e il secondo addirittura trionfale sembra riassumere e fondere un gioco perpetuo, un'atmosfera di allegria e di buon umore suggellata dalla vivacità di una danza popolare.

Hans Pfitzner Sestetto op. 55 (1945)

Quando Pfitzner scrisse il Sestetto la sua vita stava esperendo un momento particolarmente drammatico: era in accoglimento temporaneo in ospedale e aveva perduto gran parte della vista. Apprendiamo inoltre dalle sue lettere che la carta da musica era di pessima qualità, che minacciava di strapparsi al minimo contatto di penna e inchiostro. Nonostante tutte queste difficoltà soggettive e oggettive il carattere impresso al Sestetto è al contrario spensierato e imperturbabile. Stilisticamente si avvicina alla musica di intrattenimento del primo periodo romantico, ad esempio alle sinfonie di Carl Maria von Weber o al Nonetto di Louis Spohr. La sensazione è quella di immediata fruibilità, il contrappunto e le difficoltà tecniche sono ridotte; le forme tradizionali si ritirano per dar spazio ad uno stile più libero, una sorta di sequenza associativa di immagini che si susseguono come gli argomenti di chi scrive una lettera, che esposti talvolta con carattere di contrasto. Il linguaggio musicale è essenziale, ma esibisce una ricca tavolozza armonica di stati d'animo piacevoli, comparabile ai lavori tardi di Richard Strauss.
Il primo movimento, Allegro con passione, in sol minore, è strutturato in forma-sonata, offre una serie di temi idillici che scorrono l'uno dentro l'altro con naturalezza e fluidità. Il seguente Quasi minuetto è in sol maggiore, ammiccante e spiritoso; è strutturato secondo un crescendo ritmico ed emozionale, si trasforma in un valzer tra il nostalgico e il sentimentale e termina con uno stretto abbastanza lontano dai canoni usuali del minuetto. Il Rondoletto è in mi bemolle maggiore. Qui il ritmo di marcia di matrice schubertiana si presta ad una serie di proliferazioni, trovando poi la sua strada nel si maggiore, e lasciandosi andare a momenti di improvvisazione; un motivo di accompagnamento pospone la conclusione tra una serie di mutevoli combinazioni strumentali. Segue un movimento lento, il Semplice misterioso in mi maggiore, che presenta un tema armonizzato delicatamente, alla maniera di un inno. Le quattro strofe, legate da interludi che emergono dalle terzine finali dell'inno, sono suonate prima dal trio d'archi, poi dal pianoforte, infine da tutti gli strumenti, dando luogo ad un vero apogeo sonoro; tocca al pianoforte prima e poi agli archi più gravi riportare l'ascoltatore a un senso di pace e di serenità.
La melodia si modifica leggermente e si è subito proiettati nel Comodo in sol maggiore, costituito da una ghirlanda di idee musicali sempre nuove. Un assolo di contrabbasso dai potenti accenti è interrotto dagli accordi del pianoforte e il movimento termina con slancio sul primo motivo del tema principale del primo movimento.
Bruno Walter scrisse nel 1950 alla vedova di Pfitzner: «Tra le opere finali della sua carriera è il Sestetto quello che ho sentito più vicino. Dovete capire che […] avevo provato in un primo momento un senso di estraneità di fronte a quest'opera dell'ultimo periodo. Il drammaturgo possente, il poeta immaginifico non li riconoscevo più in queste sonorità a tal punto più deboli […] che mi si rivelavano in queste ultime composizioni. C'è in loro una calma […] che mi era nuova e alla quale dovevo prima di tutto abituarmi. Non ho bisogno di sottolineare che ho ritrovato in queste opere la sua antica padronanza della condotta delle parti e della strutturazione. Insomma, ammiro questo stile nuovo per me e sento che mi ci avvicino poco a poco, sì, che parla al mio cuore in una maniera personale e nuova».