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Domenica 1 dicembre 2013, ore 12.00
Gran Teatro la Fenice, Sale Apollinee

Appello interstellare

«La musica vera, la musica meravigliosa puoi ascoltarla senza capirla: non devi aver studiato armonia o orchestrazione. Devi sentirla dentro. […] Si è sopraffatti dallo choc del suono»
(Olivier Messiaen, 1988)

Guglielmo Pellarin corno

Ex Novo Ensemble

Davide Teodoro clarinetto
Carlo Lazari violino
Annamaria Pellegrino violino
Mario Paladin viola
Carlo Teodoro violoncello

Con la partecipazione di Martina Morello clarinetto (*)

Benjamin Britten (1913-1976)
Tre divertimenti (1933/36) per quartetto d'archi
March - Waltz - Burlesque

Françis Poulenc (1899-1963)
Sonata (1918/45) per due clarinetti (*)
Presto - Andante (Tres lent) - Vif (Vite, avec joie)

Olivier Messiaen (1908-1992)
Appel interstellaire da Des Canyons aux étoiles (1971/4) per corno

John Ireland (1879-1962)
Sestetto (1898), per clarinetto, corno e quartetto d'archi
Allegro non troppo - Andante con moto -Intermezzo (Allegretto con grazia) - In tempo moderato


Il 19 giugno 1930 Benjamin Britten sosteneva l'esame di ammissione al Royal College of Music. Vaughan Williams, uno dei tre membri della commissione giudicante, ricordava il ragazzo entrare con un grosso pacco di partiture sotto il braccio. Quando il maestro gli chiese: «Questo è tutto?», Britten rispose tranquillamente «Oh, no … ne ho altre due valigie piene là fuori!» La discussione sul candidato fu contrastata ma il vero sostenitore del talento di Britten fu John Ireland il quale affermò convinto che fosse «il cervello musicale più fine che sia entrato in quest'edificio da generazioni». L'incontro di Britten con Ireland non fu facile: il giovane allievo aveva sì uno straordinario talento ma - per quanto negli anni dell'adolescenza fosse stato seguito da Frank Bridge - non aveva mai compiuto studi regolari, armonizzato un basso, scritto a parti reali, né studiato la fuga in maniera sistematica. Gli studi con Ireland rappresentarono per Britten la via per ristabilire un forte legame con la tradizione musicale inglese: le molte sollecitazioni linguistiche di quegli anni e la sua natura estremamente recettiva richiedevano il ritorno ad un percorso accademico focalizzato sul contrappunto: è il controllo delle voci - ebbe a dire in seguito lo stesso Britten - «che fa l'armonia; se pensi l'armonia come un'entità in sé, diventa troppo strutturale e non sei consapevole delle voci interrelate». Le opere che ascolteremo questa sera furono scritte entrambe quando i due protagonisti di questa vicenda erano intorno ai vent'anni e ben rappresentano i meravigliosi frutti dello slancio giovanile di due straordinari talenti musicali della vita musicale inglese. Non dobbiamo dimenticare che gli anni '30 furono in Inghilterra un periodo di feconda discussione sulle possibilità di evoluzione del linguaggio tonale: se da un lato Frank Brifge, aveva come riferimento il mondo musicale mitteleuropeo e in particolare la musica di Alban Berg, dall'altro Vaughan Williams, Ireland e Arthur Benjamin «guardavano unidirezionalmente a Parigi e all'eco della musica americana». Come afferma efficacemente Alessandro Macchia «la Francia rimaneva dunque l'unico diversivo a una tradizione accademica ancora fortemente incentrata sul modello brahmsiano». Per questo si è ritenuto opportuno inserire in questo percorso concertistico due brevi brani di due autori francesi: la Sonata per due clarinetti di Françis Poulenc e Appel interstellaire di Olivier Messiaen, opere affascinanti e sorprendenti che si impongo immediatamente all'ascolto per la loro freschezza comunicativa. Se il giovane Poulenc guarda a Stravinskij per scrollarsi di dosso la pesante tradizione dell'impressionismo francese, con Messiaen ci immergiamo in un mondo sonoro di profonda religiosità, di meraviglia e stupore per il creato, di serenità contemplativa.

Benjamin Britten Tre divertimenti (1933/36)

Iniziata nel febbraio del 1933, la suite era stata concepita come una raccolta di cinque brani. Già all'epoca della prima esecuzione, con il titolo Alla Quartetto serioso, ad opera del Machnaghten String Quartet, il 4 dicembre 1933, Britten presentò un lavoro costituito da soli tre numeri: All'introduzione (Physical Training), Alla valse (at the party), Alla burlesca (ragging), indicazioni evidentemente destinate a descrivere le esperienze importanti della giovinezza e della vita scolastica. Seguirono numerosi rimaneggiamenti tra il gennaio e l'aprile del 1934; nel febbraio 1936, a seguito di una ulteriore revisione l'opera fu licenziata come Three Divertimenti for String Quartet "Go play, boy, play". Il sottotitolo proviene dalla seconda scena del primo atto dello shakespeariano The Winter's Tale e ben tratteggia l'intento del compositore di fornire una galleria di ritratti musicali dei suoi compagni di scuola all'epoca del suo ultimo anno di studi al Royal College. L'opera è ricca di effetti strumentali (glissando, flautati, effetti con le corde vuote) e sfrutta abilmente le molteplici modalità di attacco ottenibili con gli strumenti ad arco. Il gusto per l'effetto sonoro, talvolta compiaciuto, è caratteristico della produzione giovanile di Britten e genera una scrittura fortemente innovativa: l'irruenza creativa di tali gesti (mai gratuiti e sempre calibrati con estrema sapienza) spesso infatti determina la forma e addirittura l'impianto tonale dell'opera. Tali tratti stilistici furono origine di molte amarezze per il loro autore: i Three Divertimenti presentati nella versione definitiva dallo Stratton Quartet alla Wigmore Hall nel febbraio 1936, vennero «accolti con risatine e da un silenzio glaciale». J. A. Westrup recensisce il brano sul Daily Telegraph come «deprimente più che divertente» e conclude: «Mr Britten arriverà ad essere un autentico compositore quando scriverà musica che conta di meno su effetti superficiali». Britten fu così avvilito da questa recensione che ritirò i Divertimenti e l'opera poté essere ripresentata in pubblico solo dopo la sua morte, nel 1982.

Françis Poulenc Sonata per due clarinetti

La Sonata per due clarinetti fu composta nel 1918 e rivista dall'Autore nel 1945: è la prima tra le sonate di Poulenc. Come afferma Darius Milhaud negli Etudes: Poulenc «nella sua musica da camera si rifà al modello della "sonata breve", come la concepiva Domenico Scarlatti, nella quale tutti gli elementi sono ridotti al minimo». In essa l'autore impiega rudimentali schemi ripetitivi (pattern e ostinati) che radicalizzano questo effetto di "semplificazione" e che nel contempo originano una costante varietà metrica. In questo gruppo di prime opere da camera per fiati (tra le quali anche la Sonata per clarinetto e fagotto e la Sonata per corno, tromba e trombone) è evidente l'impronta di Stravinskij, non solo riferibile all'impiego di formule linguistiche proprie del compositore russo ma anche all'uso di colori e timbri inediti che Stravinskij per primo aveva concepito nel suo trattamento dei fiati (in particolare in Le Sacre du Printemps, Pétrouchka, L'Oiseau de feu). Il modello formale ed estetico per il compositore francese sarà invece quello dello Stravinskij neoclassico (Pulcinella, Le baiser de la fée, Jeu de Cartes, Mavra), ove gli elementi melodici sono coscientemente usati con grande parsimonia e sempre in forme stilizzate. Si comprende ciò che Poulenc ha dichiarato a Stephane Audel: «Il suono della musica di Stravinskij è stato per me un'esperienza così nuova che spesso mi domando e mi dico "se Stravinskij non fosse esistito, avrei scritto musica?"». Le considerazioni fin qui esposte non debbono oscurare l'originalità della Sonata per due clarinetti che già rileva quell'incontenibile fantasia emotiva, sempre in bilico tra impulsi ritmici e lirismo malinconico, che diverrà un tratto stilistico distintivo della musica di Poulenc. Il compositore ha trovato nella Sonata per due clarinetti la sua personale cifra espressiva, prova ne è la ripresa di un ampio estratto del suo andante ne Les dialogues des Carmélites (1° interludio dell'atto III). L'uso di un clarinetto in si bemolle e di un clarinetto in la, non solo conferisce un particolare charme timbrico alla Sonata ma determina l'intero sviluppo armonico dell'opera. Poulenc ne era particolarmente fiero: «E' un'armonia curiosa e fluida - scrive. Quando la si ascolta non si può dire come è stata scritta».

Olivier Messiaen Appel interstellaire da Des Canyons aux étoiles (1971/4)

Des Canyons aux étoiles è un lavoro concertante per una inusuale formazione di grande ensemble composto da 44 solisti, nato per commissione di Alice Tully a celebrazione del bicentenario americano. Le dimensioni dell'ensemble erano probabilmente influenzate dalla capienza della Alice Tully Hall di New York, dove la composizione fu eseguita la prima volta il 20 novembre 1974. Dopo lunga riflessione, Messiaen individuò il Bryce Canyon nello Utah come «la cosa più bella degli Stati Uniti», un luogo ideale cui riferirsi per la contemplazione dell'unità di cielo e terra e per magnificare in musica il miracolo della creazione. L'opera, della durata di più di un'ora e mezza, si divide in tre parti, prevedendo cinque movimenti per la prima e la terza parte e solo due per la seconda. Tra questi dodici numeri vi sono cinque movimenti basati su canti di uccelli e tre dedicati alle stelle. Perché - osserva Messiaen - nei canyon inevitabilmente si guarda verso l'alto «si procede dalle profonde viscere della terra e si ascende verso le stelle». Tra i dodici movimenti di Des Canyons aux étoiles furono inclusi tre brani solistici, due per pianoforte ed uno per corno. Come afferma Richard Steinitz « La scrittura per il corno è spettacolare dal punto di vista tecnico e, come sempre in Messiaen, ha un carattere simbolico: questa melodia senza accompagnamento, costellata di pause quasi cercasse una risposta, evoca la vastità e il vuoto dello spazio in cui i richiami solitari dello strumento rimangono senza esito». Appel interstellaire (che si colloca come sesto brano del ciclo, il primo della seconda parte) si compone di frasi lente, arpeggi, flutter-tongued, note trillate e - forse ispirandosi all'ampia ricerca di nuove tecniche di esecuzione strumentale tipica degli anni sessanta - include numerose tecniche “sperimentali” come la richiesta di suonare oscillazioni di altezze con le valvole premute solo a metà. Messiaen scrisse questo brano nella primavera del 1971 dedicandolo alla memoria del suo giovane pupillo e collega Jean-Pierre Guézec (1934-1971).

John Ireland Sestetto (1898)

Negli anni in cui studiava pianoforte, organo e composizione con Charles Stanford al Royal College of Music Ireland fu presente alla prima esecuzione a Londra del Quintetto per clarinetto e archi di Brahms con il Quartetto Joachim e Richard Mühlfeld, il clarinettista al quale Brahms dedicò le quattro opere da camera con clarinetto scritte negli ultimi anni. Valente pianista, John Ireland aveva studiato a fondo il repertorio brahmsiano e, su consiglio di Standford, la musica da camera di Antonín Dvo?ák. Il Sestetto per clarinetto, corno e quartetto d'archi fu dunque frutto di questi appassionati studi giovanili della letteratura del tardo Romanticismo mitteleuropeo, in particolare per l'organizzazione formale dei materiali e lo sviluppo armonico delle melodie. Malgrado il giudizio positivo del suo severo maestro (il quale criticò solo l'organicità dell'ultimo movimento) Ireland non credette che i suoi lavori giovanili fossero degni di essere pubblicati ed eseguiti. I manoscritti dei due primi Quartetti per archi (1896) e del Sestetto (1898) rimasero dunque nascosti in un cassetto della sua scrivania per tutta la sua vita. La giovane virtuosa clarinettista Thea King (1925-2007), recatasi in visita da Ireland nel 1959 per discutere alcuni aspetti esecutivi della sua Fantasy-Sonata (1943) per clarinetto e pianoforte, chiese al Maestro se avesse scritto altri brani con il clarinetto e con stupore si trovò tra le mani il manoscritto del Sestetto. Thea King racconta che, pur non avendo più guardato né ascoltato l'opera da più di sessant'anni il maestro ne ricordava con precisione ogni elemento saliente. La prima esecuzione pubblica del complesso lavoro avvenne il 25 marzo 1960 a Londra con Thea King al clarinetto, John Burden al corno e il Quartetto Pro Musica: in prima fila sedette Ireland che ascoltò per la prima volta l'opera ben 62 anni dopo averla composta. Alcuni riferimenti all'opera di Brahms risultano evidenti: basti citare l'introduzione del corno del primo movimento (allegro non troppo) che ricorda il meraviglioso solo di corno che apre l'Andante del Concerto op. 83 per pianoforte e orchestra e la cantabilità dell'Intermezzo che guarda allo Scherzo del Quintetto op. 115. Come Elgar, Ireland considerò sempre la sua musica “fuori tempo”, essendo conscio di scrivere pagine sontuose, a tratti mistiche, in un linguaggio tardo-romantico, ispirandosi spesso a soggetti e leggende della tradizione nazionale. Nelle sue opere mature la sua musica acquista una naïveté, un gusto sonoro di matrice impressionistica, che guarda in particolare agli amatissimi Ravel e Gershwin: Ireland si domandava che senso avesse comporre sinfonie e concerti dopo un song come The Man I Love! Pur trattandosi di un'opera giovanile il Sestetto è apprezzabile per il suo artigianato minuzioso, la sicura abilità nel progettare lavori di grandi dimensioni, il sottile senso dell'armonia e le cospicue doti di immaginazione musicale del suo autore.