domenica 16 dicembre 2012 ore 20.00
Gran Teatro La Fenice, Sale Apollinee


Lina Uinskyte violino
Aldo Orvieto pianoforte
preludio critico di
Giada Viviani

Hanns Eisler (1898-1962)
Reisesonate (1937/1938) per violino e pianoforte
Con spirito - Intermezzo (Andante semplice) - Allegro con spirito

Bruno Maderna (1920-1973)
Widmung (1967) per violino

Erik Satie (1866 – 1925)
Choses vues à Droite et à Gauche
(Sans Lunettes)
(1914), per violino e pianoforte
Choral hypocrite – Fugue à tâtons –
Fantaisie musculaire

John Cage (1912-1992)
Notturno (1947), per violino e pianoforte

Stefano Gervasoni (1962)
Folia, (Omaggio ad Aldo Clementi)
(2011/12) per violino

Karol Szymanovski (1882 - 1937)
La Berceuse d’Aïtacho Enia op. 52
(1925) per violino e pianoforte

Stefano Gervasoni (1962)
Précieux (2011) per toy piano
Pré paré e Pré épuré (2012) per pianoforte, [da: Prés, Libro II]
prima esecuzione assoluta

Erwin Schulhoff (1894-1942)
Sonata (1927) per violino

Stefano Gervasoni (1962)
Sonatinexpressive (2012) per violino e pianoforte
Commissione Ex Novo Musica
prima esecuzione assoluta


L’assunto di partenza – ha scritto Stefano Gervasoni – è la convinzione che la forza espressiva di una composizione risulta magnificata dalla volontà profonda del suo creatore quando questi consapevolmente si oppone al desiderio di manifestarla in maniera diretta. È, insomma, più espressivo dire le cose trattenendole; filtrare il lirismo attraverso l’ironia fin quasi a metterlo in crisi; nascondere gli indizi di senso anziché mostrarli apertamente. Stefano Gervasoni mette dunque, metodologicamente in sordina - anziché amplificare – il suo pensiero musicale; e crea, per così dire, ostacoli inespressivi alla sua stessa “vocazione” (o “propensione”) espressiva. Dare voce musicale alle proprie idee significa svestirle di quegli elementi seduttivi e retorici che, se da un lato sono in grado di veicolarle attraverso la loro potente fascinazione, dall’altro le banalizzano impedendone un ascolto autentico, che richiede meditazione e introspezione. Solo una riduzione dell’eloquenza conquisterà l’ascoltatore, e lo condurrà per mano dapprima alla ricerca del mistero di ogni suono per poi consentirgli di catturare il senso semantico dei suoni nel contesto di una più ampia fraseologia. Il programma del concerto propone – con ricercata simmetria - tre lavori strumentali di Stefano Gervasoni: Folia per violino solo, un trittico di tre brani pianistici della raccolta Prés (work in progress, iniziata nel 2008 che si arricchisce ora con due nuovi lavori) e la recentissima Sonatinexpressive per violino e pianoforte. Anche se questa sera ascolteremo solo sue opere strumentali ritengo importante accennare ad alcuni aspetti particolarmente significativi della scrittura vocale di Stefano Gervasoni: sarà chiaro poi il perché. Il compositore muove da un grande rispetto per il testo poetico, di cui propone una lettura al microscopio non solo delle parole ma quasi delle microcellule di ogni fonema: tale processo di scandaglio gli consente la creazione di una fraseologia musicale ricca di polisensi nella quale la musica riuscirà ad esprimersi in alleanza con il testo, senza tradirne il valore semantico. Allo stesso modo, nella musica strumentale, la qualità dei suoni emessi dagli strumenti (cioè il linguaggio con cui essi possono esprimersi) è frutto di una medesima analisi “al microscopio” in grado di donare al singolo suono una ricchezza, una musicalità che costituisce il primo valore armonico di più ampie strutture fraseologiche. Il tema di questa serata, Wanderung mit Stefano Gervasoni, è prima di tutto un invito al percorso, al peregrinare, alla strada da fare insieme. In una famosa intervista il compositore ungherese György Ligeti, uno dei punti di riferimento importanti per Gervasoni, affermò con esemplare senso dell’ironia che, se proprio volevano intitolargli una via di Budapest, la dizione doveva almeno essere: “strada sbagliata György Ligeti”. Non è una coincidenza che uno dei temi ricorrenti del compositore bergamasco sia proprio quello della “strada” intesa in senso problematico: la “strada non presa” (che è anche il titolo di un suo lavoro del 2001) oppure la strada che ha “davanti a sé il niente”. «La strada – osserva Gervasoni – è anche il labirinto e l´andare senza una meta: una metafora dei nostri tempi che si riflette nell’arte con il crollo dei paradigmi estetico-ideologici. Per cui una discreta libertà dagli schemi precostituiti comporta anche non poter operare una selezione nella musica del passato, ma abbracciarla tutta e sentirne il peso. Bisogna però capire se ci si sente perduti o più ricchi: per me è una condizione di felicità, dove il compositore può dimenticare in maniera intelligente le strade che già esistono per intravederne delle nuove, anche se non le percorrerà per intero.» Ogni brano di Stefano Gervasoni può essere inteso come testomondo percorribile come un territorio inesplorato; dal quale si è irresistibilmente attratti ma che a volte può apparire inquietante o persino inospitale. Ciò non deve spaventarci: Stefano Gervasoni - come György Ligeti – sono campioni delle “strade sbagliate” e dunque senz’altro troveremo la via per comprendere la loro musica! [Aldo Orvieto]

Hanns Eisler Reisesonate Nel 1929 Eisler aveva iniziato a collaborare con Bertolt Brecht e, dopo la fuga forzata dalla Germania per la presa di potere del nazismo, tornò dapprima a Vienna, per far visita poi a più riprese a Brecht in Danimarca. Dopo una visita al fronte della guerra civile spagnola nel gennaio 1937, tornò dall’amico poeta e si diresse in seguito verso Praga nel mese di ottobre. In questo percorso arduo e pericoloso crea una sonata per violino e pianoforte, che intitola Reisesonate, la sonata del viaggio. Si tratta di una composizione essenzialmente atonale, cromatica e dissonante, ma ogni movimento si conclude con un accordo tonale invertito. La sonata presenta notevoli sfide tecniche, ritmiche e stilistiche. La parte del violino, che include diverse cadenze, è estremamente difficile e quasi anti-violinistica. Il tema principale del primo movimento è costituito da una serie dodecafonica con note ribattute che attraversa molte trasformazioni, mentre il secondo tema si sviluppa su una figurazione marziale. Il lirico Intermezzo inizia come un canone in tre parti, al quale si aggiunge poi una melodia cantabile in contrappunto. Il finale è costellato di ritmi pungenti con frequenti modifiche di metro, nella cui trama si alternano linearità e sviluppo accordale. Il cromatismo adoperato è grammaticalmente ineccepibile, ciononostante duro anche graficamente, irto di alterazioni, con abbondanza di doppi-diesis e doppi-bemolli. La gamma dinamica spazia dal pppp al ffff; abbondano i segni di espressione, in italiano, in tedesco e talvolta in entrambe le lingue.

Bruno Maderna Widmung La produzione per strumenti solisti di Bruno Maderna è costituita da una rosa di brani abbastanza ridotta e, tra questi, solo due sono per violino solo: Widmung e Pièce pour Ivry. Il termine Widmung vuol dire dedica e probabilmente il titolo del brano si ricollega all’occasione della sua creazione, l’inaugurazione a Nürtgen del Museo privato di pittura astratta di Ottomar e Greta Domnick. La prima esecuzione, il 27 ottobre 1967, vide al violino Theo Olof, strumentista originario di Bonn al quale spesso i compositori di quegli anni dedicavano le proprie opere, e caro amico di Maderna. L’opera è caratterizzata da una ricca scrittura musicale, formale e dinamica. Il fatto che sia stata scritta per un determinato esecutore non è di secondaria importanza. Se da un lato, come sostiene Laurent Feneyrou, Widmung evoca l’atmosfera colta e cordiale di un Lied di Robert Schumann; dall’altro traduce un’amicizia. Widmung vuol dunque essere un dono che, nella sua essenza, fornisce un devoto ritratto della vita spirituale dell’amico mantenendo - come ogni vero dono - tratti di intimità e segretezza e senza chiedere ringraziamenti. La genesi dell’opera non è avvenuta in vista di un’esecuzione, bensì di un esecutore; il mondo sonoro immaginato non è stato quello del violino, ma quello dei suoni cari ad un violinista.

Erik Satie Choses vues à Droite et à Gauche (Sans Lunettes) La musica di Satie sorprende sempre per la sua apparente ingenuità, per il suo sguardo totalmente nuovo su forme e oggetti, per la capacità espressiva che impiega mezzi dall’aria infantile. I brevi brani che compongono Choses vues à droite et à gauche (sans lunettes) sono dei piccoli scrigni di bellezza. Melodie essenziali descrivono con tangibile esattezza la percezione sfocata di un’avventura vissuta senza il supporto degli occhiali, nella quale è ribaltato il valore normale della percezione. Così il Corale introduttivo è ipocrita e si conclude con la nota del compositore «Mes Chorals égalent ceux de Bach, avec cette différence qu’ils sont plus rares et moins prétentieux.» Questa non è né un’azzardata affermazione di superiorità, né una dissacrante volontà distruttiva del passato; è piuttosto un monito per i fruitori della sua musica, per avvertirli di non scorrere veloci sulle poche facili note, ma di prestarvi attenzione e sentimento: pur senza anelare a vette trascendentali, sono il frutto di una lunga faticosa e raffinata ricerca. La fuga successiva è piuttosto bislacca, poiché procede a tentoni e, laddove ci si aspetterebbe determinate armonie, ne subentrano altre inaspettate e fuorvianti. La Fantasia muscolare ha ben poco di un’affermazione di forza, ma è piuttosto svolazzante, con vari interventi cadenzali del violino dall’ingannevole leggerezza. Il tutto quasi a sbeffeggiare le ostentazioni di virtuosismo e la loro pretenziosità, la boria compositiva ed esecutiva, l’insistenza – per usare un termine ottico – di una messa a fuoco troppo precisa e definita.

John Cage Notturno (1947) Le opere di John Cage per violino e pianoforte si dividono in due momenti: due brani giovanili - Notturno (1947) e Sei melodie (1950) - e altri due scritti alla fine della sua vita: Two4 (1991) e Two6 (1992). Stando alle parole del compositore, «nel Notturno viene effettuato il tentativo di sciogliere la differenza tra lo strumento a corde e il suono del pianoforte, anche se la convenzione di melodia e accompagnamento viene mantenuta. Il carattere del pezzo è suggestivo ed è basato per la sua esecuzione su un rubato costante e sul sostenimento delle risonanze.» In questo brano è abbastanza forte la presenza di Erik Satie, ravvisabile nell’atmosfera sospesa e sognante; tuttavia il mondo armonico è molto più complesso del cromatismo impressionista. Non vi è una vera e propria struttura, bensì, a guidare il brano, sono l’improvvisazione e l’intuizione di un momento dopo l’altro. Il tentativo di unificare il timbro dei due strumenti è dato dall’utilizzo dello stesso materiale per entrambi e dal trattamento delicato del pianoforte. Il violino, però, non si limita alle dodici note della scala, appropriandosi di passaggi microtonali, che contribuiscono alla creazione di un’atmosfera rarefatta e inafferrabile.

Stefano Gervasoni Folia, (Omaggio ad Aldo Clementi) (2011/12) è un vagabondaggio spiraleggiante con ritorno a casa assicurato (un vagabondaggio privo di avventura, dunque), ma a una casa sempre un po’ straniera (mai completamente sentita come “propria”). Un vagabondaggio “domestico” e am- biguo nello stesso tempo, nel quale la possibilità della scoperta – tipica, e dichiarata, del viaggio di avventura – non è esclusa, ma è riservata agli oggetti consueti di un consueto vagabondare, ai quali viene posta, con la sorpresa di una ri-scoperta o la decifrazione di un enigma perennemente da svelare, la curiosità del viaggiatore. Un viaggiatore non avventuroso, ma attento. In un gioco di ripetizioni, varianti, sviluppo microstrutturale di una cellula iniziale e di apparizioni di nuovi elementi per allargamento del “raggio di camminamento” del viandante compositore, come quella di due oggetti cristallizzati attorno alle note La e Do che si fanno via via più importanti, quasi a trasformarsi in persona incontrata durante il cammino e in un momento di dialogo con lei. Situazione tipica del pellegrinaggio o dell’ascesa a un monte, nella quale la storia o la natura ci staccano dalla realtà quotidiana e ci permettono di costituire un rapporto profondo con un compagno di viaggio incontrato momentaneamente forse per caso, e che si è certi di ritrovare. [Stefano Gervasoni]

Karol Szymanovski La Berceuse d’Aïtacho Enia op. 52 Il nome di questo brano trae origine da un soggiorno di convalescenza di Szymanovski nella villa di Dorothy Robinson in Francia. La Berceuse op. 52 scardina fin dalle prime note i bei propositi impliciti nel suo rassicurante titolo: nessuna melodia dolce e sognante, la disgiunzione tonale tra violino e pianoforte nelle prime battute evoca due personalità spinte ciascuna nel suo universo da un dolore misterioso e indefinito. Nonostante l’episodio centrale dia prova di sapiente sviluppo della struttura drammaturgica proposta in apertura, il brano conserva un’aria pallida e sconsolata, e allo stesso tempo toccante e inquietante. Probabilmente lo stile di questa Berceuse è anche influenzato dal nuovo clima creatosi nel primo dopoguerra nel quale molti artisti, per non essere ingiustamente classificati come epigoni dell’età tardo-romantica, tendevano a radicalizzare le proprie posizioni estetiche. In questa fase compositiva l’autore, come ha sottolineato Jim Samson, adopera un linguaggio di «austerità lineare», dove la semplicità dello slancio è rinforzata da forti contrasti tra le voci.

Stefano Gervasoni Précieux (2010) [da: Prés, Libro II] Prés è un ciclo di dodici pezzi, divisi in quattro gruppi di tre, attualmente in corso di composizione. Le loro caratteristiche principali sono la brevità e semplicità (più o meno apparente), il che li fa appartenere alla categoria dei pezzi per bambini (nella duplice e ambigua accezione di essere eseguibili da pianisti non adulti o di ispirarsi al mondo dell’infanzia). Dodici piccoli préludes, così piccoli da doversi chiamare prés, cioè prati in francese. Da lì il tema soggiacente al ciclo, declinato in quattro modalità diverse, di tre in tre pezzi: l’apparente spensieratezza di un prato dove giocano bambini e la premonizione di qualcosa di oscuro che dovrà succedere e che lo sguardo innocente di un bimbo è in grado di avvertire anticipatamente, con tutto il senso di minaccia che l’adulto non sa o non vuole cogliere. Dopo Pré ludique, Pré lubrique, Pré public, Prémisse, Précipice, Prémices che compongono il primo quaderno, Précieux è il primo preludietto del secondo quaderno: è stato scritto per pianoforte giocattolo (lo strumento per cui John Cage aveva scritto la sua Suite for Toy Piano del 1948) ed è dedicato alla figlia di un amico musicologo, il giorno della sua nascita, il 31 dicembre 2010. Uno dei regali che a questo regalo del cielo è stato fatto da un gruppo di amici, insieme, ovviamente, a quello di un pianoforte giocattolo. [Stefano Gervasoni]

Stefano Gervasoni Pré paré - Pré épuré (2012) [da: Prés, Libro II] Il libro dei Prés si articola in gruppi di tre pezzi (da una a tre pagine), tematicamente e/o musicalmente affini. Pré paré e Pré épuré, che dovrebbero essere intercalati da un Pré carré, costituiscono un altro dei trittici del secondo quaderno. Pré paré (prato abbellito) e Pré épuré (prato spoglio, curato, depurato) rappresentano due visioni antitetiche e complementari del prato (metaforicamente inteso). Una, nella quale le specie erbose convivono in maniera incontrollata (dall’uomo) con altre specie floreali spontanee, in un regime di rigogliosa felicità anarchica o democraticamente naturale (il verde come immagine di un’unità plurima). L’altra, nella quale la mano dell’uomo ha lasciato il suo segno: nella selezione delle specie erbose – ridotte a una – e nella cura della superficie – perfettamente regolare, uniforme e monocroma – da un lato; oppure nel suo impoverimento: l’artificializzazione del prato, ridotto a decoro urbano, fino al suo inaridimento per siccità (un prato “naturale” ha sempre più difficoltà a vivere da sé), manifestazione drammatica dello sconvolgimento climatico nel quale le responsabilità umane non sono certo assenti. Ad ogni modo, un prato non felice, né anarchico, né democratico. Un’immagine di unità imposta esternamente, privando il verde della sua naturale, gioiosa, complessità. [Stefano Gervasoni]

Erwin Schulhoff Sonata (1927) Nel 1927, quando compose la sua Sonata per violino solo tra Parigi e Londra, Erwin Schulhoff era un artista di talento agli inizi della carriera. Aveva studiato con Reger e Debussy ed era stimolato da tutti i linguaggi a lui contemporanei, dall’impressionismo alla musica popolare e al jazz. Questa sonata precoce è soleggiata, rustica. L’influenza della musica popolare e della tecnica violinista del suo paese d’origine pervadono il brano, che è peraltro strutturalmente solido e molto unitario. Il primo movimento (Allegro con fuoco) è un moto perpetuo di gran carattere, mentre il movimento lento (Andante cantabile) è lirico e altamente cromatico; scritto in forma circolare intorno a un motivo sincopato ricorrente, presenta un tema iniziale che utilizza tutte le dodici note della scala. Il successivo Scherzo utilizza invece allo stremo le potenzialità del violino, con un grande uso delle corde vuote, del pizzicato e di altri effetti, per dar vita ad una danza dai tratti allegri e spensierati. L’Allegro risoluto finale è anch’esso scritto in forma di danza, dai tratti ancor più ritmici e potenti di quella proposta nello Scherzo; l’armonia è a tratti colorata usando il modo lidio (una scala maggiore con la quarta aumentata), tratto comune della musica popolare dell’Europa orientale utilizzato anche da Bartók e Janácek. Quest’opera di Schulhoff fu a lungo dimenticata e si perse nel caos della Seconda Guerra Mondiale; la sua riscoperta avvenne solo nel 1980.

Stefano Gervasoni Sonatinexpressive (2012) Sonata inespressiva – Sonatina espressiva? Lo sviluppo architetturale della Sonata che sterilizza o domina l’impulso espressivo della piccola forma; l’intimità della pagina d’album, la confessione più riposta – e il desiderio di condividerla – dell’improvviso, della romanza, del preludio; la forza o la fragilità delle emozioni o il bisogno di consolazione dell’intermezzo, della berceuse, del notturno... Oppure la pienezza dell’emozione e l’inafferrabilità delle grammatiche che muovono la fantasia e che si in-scrivono nel garbo e nella discrezione di una Sonatina? Consentirsi di “dire”, ma solo microscopicamente come dietro un velo, in sordina, perché la tentazione dell’espressione e del lirismo non vadano assolte ma solo aggirate, fatte convivere con il desiderio di trattenerle per proteggerle, per consentire loro di rinnovarsi con ancora più forza. Una forza non dominabile, non cristallizzabile, non sterilizzabile in forme e modi che la mostrino pienamente, dimostrativamente, inaridendola per sempre a discorso, emblema, surrogato di un ascolto attivo, sempre, che quella forza deve ogni volta rincorrere e ritrovare... Il dilemma, evocato dal titolo scelto per questo pezzo, resta volutamente senza soluzione... [Stefano Gervasoni]