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sabato 3 novembre 2012 ore 20.00
Gran Teatro La Fenice, Sale Apollinee


In collaborazione con SaMPL (Sound and Music Processing Lab)

Aldo Orvieto pianoforte
Alvise Vidolin live electronics e regia del suono
Claudio Ambrosini direttore


Ex Novo Ensemble
Daniele Ruggieri flauto
Davide Teodoro clarinetto
Carlo Lazari violino
Mario Paladin viola
Carlo Teodoro violoncello
Annanziata Dellisanti percussioni


con la partecipazione di
Carlo Pinardi, Filippo Barbagallo,
Laura Micelli clarinetto (*)


preludio critico di Massimo Contiero


paesaggi immaginari

Festa per gli ottant'anni di Mario Messinis


John Cage (1912-1992)
Imaginary Landscape No. 5 (1952)
per 42 dischi fonografici
Imaginary Landscape No. 1 (1939)
per dischi a frequenza costante e
variabile, piatto cinese grande, string piano


Claude Debussy (1862-1918)
Terza sonata (1918), per violino e
pianoforte
Allegro vivo - Intermède Fantasque
et léger - FinaleTrès animé


Elliott Carter (1908)
Canonic Suite (1945/1981) per quattro clarinetti (*)
Deciso - Allegretto con moto - Allegro


Claudio Ambrosini (1948)
Vite di suoni illustri (2012) per flauto,
clarinetto, violino, violoncello e pianoforte (**)
Commissione Ex Novo Musica 

prima esecuzione assoluta


Fabio Nieder (1957)
M. M. = 80 (Der schöne Kreis des Lebens) (2012) 

per pianoforte (**)
Commissione Ex Novo Musica
prima esecuzione assoluta


Adriano Guarnieri (1947)
… l'alba dei suoni … 

(a Mario Messinis - 2012) 

per flauto, clarinetto, violino, viola, violoncello,
percussioni, pianoforte e live electronics (**)
Commissione Ex Novo Musica/ SaMPL
prima esecuzione assoluta



(**) lavori scritti per e dedicati a Mario Messinis,
in occasione del suo ottantesimo compleanno

 

Mario Messinis critico musicale del Gazzettino di Venezia è stato Bibliotecario 

al Conservatorio "Benedetto Marcello" di Venezia dal 1958 al 1996; direttore della
Biennale Musica, dal 1979 al 1989 e dal 1992 al 1996; direttore artistico delle
Orchestre RAI di Torino e di Milano (1986/94) del settore musica delle Orestiadi
di Gibellina (1991/2) dell'Orchestra Sinfonica Siciliana (1995/6), sovrintendente
del Teatro La Fenice (1997/2000). Dal 1992 è direttore artistico di
Bologna Festival. Ha curato, con Giovanni Morelli, per la casa editrice Marsilio,
la collana Musica Critica. Dal 2001 al 2004 è stato docente a contratto
di Storia della Musica presso lo IUAV.
Fin qui la biografia istituzionale. Molto sarebbe da aggiungere per dar conto
dell'inesauribile sete di conoscenza per tutte le espressioni musicali che gli
hanno consentito di innovare in modo incisivo i format della programmazione
creando festival e rassegne esemplari per fecondità di stimoli culturali e
ricchezza di visioni di insieme sul mondo musicale contemporaneo. Le sue
scelte artistiche rivelano una riflessione linguistica sulla musica, intesa come
forma di pensiero filosofico fondato sulla superiorità estetica del suono:
suono che non si fa solo contemplare, ma schiude quel mondo di polisensi
in grado di trascendere la povertà espressiva del razionale e far rilucere ciò
che la realtà empirica spesso vela.
I segni della sua presenza a Venezia si colgono inequivocabili: la ricca raccolta
di opere contemporanee di cui la Biblioteca del Conservatorio "Benedetto
Marcello" è dotata; il prezioso patrimonio di contributi critici presentati
da "Il Gazzettino" che hanno costituito e costituiscono tuttora un autentico
"spirito guida" per la vita culturale veneziana; la promozione culturale
dei tesori musicali della città, da quelli del mondo antico (1585-1985
Andrea Gabrieli, Biennale Musica 1985) a quelli dei grandi contemporanei
Bruno Maderna (Eco e Narciso, 1988, RAI/La Repubblica/Casa Ricordi) e
Luigi Nono (Con Luigi Nono, Biennale Musica 1992/3) a quelli di musicisti
veneziani più giovani quali Giuseppe Sinopoli e Claudio Ambrosini; per
citare solo alcuni degli autori cui Mario Messinis ha rivolto il suo amoroso
interesse di musicista e di studioso. Se i Festival veneziani riservano ancor
oggi una particolare attenzione al rapporto tra musica e tecnologia ciò si
deve alle iniziative da lui promosse fin dal 1981: il Laboratorio permanente
per l'Informatica Musicale della Biennale (LIMB, 1981), il Festival Numero
e Suono e la International Computer Music Conference (1982); eventi che
portarono a Venezia il centro del dibattito culturale sulle nuove tecnologie
dedicate alla musica. Il tentativo di tratteggiare in poche righe la figura di
Mario Messinis non può che concludersi esaltando il valore più alto della sua
lunga carriera: quello di essersi assunto il compito - quasi missionario, certo
ingrato - di condurre una costante, certosina ricerca di "nuova musica": una
ricerca meticolosa, competente, appassionata, sempre equilibrata tra gusto
personale e apertura critica, nel gioco instancabile di individuare e rilanciare
nelle sue programmazioni i tratti geniali delle opere e degli autori in cui ha
fortemente creduto. [Aldo Orvieto]


Quando ci siamo trovati a pensare un programma per un concerto-festa che si intendeva
dedicare a Mario Messinis per il suo ottantesimo compleanno ci siamo
voluti impegnare nell'elaborare un programma che davvero narrasse le passioni
musicali del dedicatario. Nel corso degli anni - sarebbe meglio dire dei
decenni - Mario Messinis è stato per noi musicisti veneziani non solo una
guida preziosa nell'ideare progetti artistici ma una figura di riferimento con
la quale confrontarsi giorno per giorno sul "fatto musicale". Sarebbe troppo
lungo - e forse, come per tutte le forme d'arte, impossibile - dar conto
dell'intuito ragionante che ha sempre accompagnato l'opera di Messinis e
portato al successo le tante edizioni della Biennale Musica da lui progettate:
festival che fecero diventare Venezia una laboriosa fucina che produceva
musica e "idee sulla musica" in luoghi affascinanti sfruttando ogni momento
delle densissime giornate che l'istituzione dedicava alla musica. La lezione
di Nono: «lo spazio partecipa, generandolo, al lavoro di composizione.
Basta studiare Andrea e Giovanni Gabrieli, Monteverdi, Bach, i polifonisti
spagnoli del rinascimento per scoprire come si diversificavano a seconda degli
spazi deputati alla esecuzione le tecniche di composizione» era divenuta
il fulcro nodale della scelta degli ambienti veneziani in cui rappresentare
la musica contemporanea. La riflessione sullo spazio sonoro che diventa
co-autore di un evento musicale era scevra da motivazioni scenografiche e
spettacolari (queste semmai sono state valutazioni a cui si è giunti più tardi)
ma si concentrava davvero sull'architettura sonora degli spazi, in particolare
in relazione alla diffusione del suono nelle opere di musica elettronica. Tale
tema - centrale, direi folgorante, in quegli anni - ci pareva dover costituire
un punto di partenza per il concerto di questa sera che contempla dunque
ben tre lavori di musica elettronica. Si inizia con due brani della serie delle
Imaginary Landscape di John Cage, «un prestigiatore venuto da lontani
orizzonti a mostrarci il vuoto delle nostre categorie»; sono le splendide parole
di Pierre Boulez (1982) che non potrebbero essere più adatte per presentare
questi due brevi brani i quali impiegano per la prima volta suoni non
solo elettrici (come quelle dei cicalini e delle molle amplificate) ma autenticamente
elettronici, attraverso l'espediente ingegnoso ed economico di
usare dischi a frequenza costante come dei veri oscillatori. Ad esse seguirà la
prima esecuzione assoluta del brano acusmatico lúomo strano mi hà riportato
a Trieste pecola che non son nato morto di Fabio Nieder (di cui ascolteremo
anche il brano pianistico Dodici note per Mario), la cui produzione è stata
curata presso gli studi del laboratorio SaMPL - naturale filiazione del CSC
dell'Università di Padova - da Alvise Vidolin che fu collaboratore di primo
piano di Mario Messinis delle ormai storiche Biennali Musica del decennio
'80-'90; concluderà la sezione dedicata alle nuove tecnologie la nuova opera
di Adriano Guarnieri … l'alba dei suoni … con le sue «esplosioni ed implosioni
di magma sonoro» che Guarnieri dedica a Messinis in nome «di tutta
questa ricerca di nuovi suoni che ancora "preme" in me». Nel presentare
Il satellite sereno, brano che Mario Messinis gli aveva commissionato per
l'ampia rassegna che la RAI di Milano dedicò a Bruno Maderna (1989), Claudio
Ambrosini scriveva: «Il satellite sereno è una sorta di riscrittura-di-unariscrittura
o, meglio, un esercizio di riappropriazione o, forse meglio ancora,
un omaggio/divertissement, un gioco in famiglia. La famiglia è quella della
Venezia musicale degli anni (fine)'60 - (fine)'80; il gioco, quello di passarsi
la consegna da una generazione all'altra». Ed esisteva effettivamente
una "Venezia musicale" che dibatteva di nuove tecniche strumentali e di
processi compositivi e Mario Messinis ne era uno dei grandi protagonisti.
Scrive ancora Ambrosini nel presentare il brano che ascolteremo stasera Vite
di suoni illustri: «il suono inteso come organismo vivente, dotato di caratteristiche
uniche e ben precise, connesse a questioni complesse derivanti
sia dalla natura degli strumenti che dalla fisiologia umana: cioè sia dalla
produzione del suono, che dalla sua percezione, dall'ascolto.» Erano queste
le discussioni che animavano la "Venezia musicale" di quegli anni, in questo
clima, in queste discussioni, con queste passioni è cresciuto l'Ex Novo
Ensemble i cui musicisti tutti, con grande affetto, suoneranno stasera per
Mario Messinis. [Aldo Orvieto]


John Cage Imaginary Landscape No. 5 (1952) è stata la prima opera di John Cage per
nastro magnetico, immaginata con completa libertà nelle scelte musicali,
obbligata però in un struttura predeterminata molto precisa. La partitura
è un grafico diviso in blocchi. Ogni blocco equivale a tre pollici di nastro,
ovvero a un quinto di secondo di musica preregistrata. In totale ci sono
otto tracce simultanee da riprodursi con quarantadue dischi fonografici.
Durata e ampiezza (volume) sono annotati per ciascuno dei quarantadue
frammenti, ma non vi è alcuna indicazione di ciò che i frammenti devono
esprimere. Il risultato finale, ad ogni modo, deve essere un oggetto musicale
inalterabile. Il processo compositivo di Cage è basato sugli I-Ching,
sistema simbolico cinese che permettere di individuare un ordine in cose
apparentemente casuali considerando l'equilibrio dinamico degli opposti,
l'evoluzione degli eventi come processo e l'accettazione della inevitabilità
del cambiamento. In origine, Cage ha scritto questo brano per accompagnare
la coreografia "Ritratto di signora" di Jean Erdman, utilizzando soprattutto
i dischi di musica jazz che la danzatrice soleva riprodurre nel suo
studio per le esercitazioni di improvvisazione corporea. Per la versione che
verrà presentata questa sera - poiché appunto vi è assoluta libertà nelle
scelte delle musiche da riprodurre - Alvise Vidolin ha creato un paesaggio
immaginario con frammenti tratti da opere predilette da Mario Messinis.
Un regalo di compleanno che riunisce filosofia, arte e scienza, racconto di
una vita più eloquente di qualsiasi saggio o romanzo.


John Cage Imaginary Landscape No. 1 Il 1939 fu l'anno in cui John Cage fondò alla Cornish
School di Seattle, dove lavorava come compositore da tre anni, un'orchestra
di percussioni; contemporaneamente iniziò ad immaginare la radio
come strumento non solo per riprodurre musica, ma anche per produrne
a sua volta. Alla Cornish School era presente uno studio radiofonico molto
vicino al teatro, e questa prossimità rendeva possibile utilizzare le apparecchiature
in studio indirizzando però i suoni elettronici alla diffusione nel
teatro ove avvenivano le performance. Imaginary Landscape n. 1 (Paesaggio
immaginario) è un quartetto per pianoforte (suonato solo sulla cordiera),
piatto cinese e due fonografi che riproducono dischi a frequenza
costante e variabile. L'idea del fonografo era stata suggerita a Cage dal
marito di Bonnie Bird, una ballerina della compagnia di Martha Graham.
L'uomo era uno psicologo interessato alla musica e un giorno aveva fatto
ascoltare a Cage delle registrazioni di suoni puri realizzate dai Bell Laboratories.
Cage ne era rimasto incuriosito e aveva cominciato a giocare
con i selettori di velocità, in modo che il fonografo alterasse le frequenze
girando meno velocemente, così da ottenere straordinari glissati. In Imaginary
Landscape n. 1 l'esecutore al fonografo ha il compito di aumentare
o diminuire il volume e di modificare la velocità. La prima esecuzione dal
vivo fu condotta simultaneamente nel teatro (per gli strumenti acustici) e
nello studio radiofonico (per la produzione delle frequenze mediante i fonografi).
Secondo la danzatrice, il risultato fonico fu «straordinariamente
inquietante» e il pubblico, molto incuriosito, si lasciò guidare nella costruzione
di un paesaggio immaginario, suggerito anche dalla performance
coreutica, nella quale i danzatori erano come spezzettati nelle pose, quasi
a creare un unico lungo corpo.


Claude Debussy Terza sonata La Sonata per violino e pianoforte fu composta tra l'estate
del 1915 e l'inverno del 1917, quando Debussy era già ammalato di cancro
e si sentiva sempre più isolato. In Europa stava imperversando la Prima
Guerra Mondiale e il musicista chiese ripetutamente di parteciparvi, ma
le gravi condizioni di salute non lo resero possibile, sicché pensò che la
musica avrebbe potuto prendere idealmente il posto di una sua attiva
partecipazione alla guerra. Inizialmente il musicista pensava di scrivere sei
sonate per vari strumenti, sotto il titolo «Sonates pour divers instruments,
composées par Claude Debussy musicien français», quasi a sottolineare
certe caratteristiche dell'arte francese, in polemica con la tradizione
musicale tedesca e il post-wagnerismo. Non si trattò però di una musica
impegnata propagandistica secondo i canoni di un facile romanticismo;
l'intento era quello di scrivere musica secondo il modello dei secoli d'oro
della musica francese, quelli che avevano visto il fulgore di Rameau e di
Couperin. A causa del progredire del male, Debussy, che subì anche un
intervento chirurgico nel dicembre del 1915, potè portare a conclusione
soltanto tre delle sei sonate: la Sonata per violoncello e pianoforte, la
Sonata per flauto, viola e arpa e la Sonata per violino e pianoforte, composta
con fatica e riluttanza. Scrive il compositore: «Posso dirvi anche che
questa Sonata è stata scritta per accontentare il mio editore che mi era
sempre alle calcagna. Voi che sapete leggere tra le righe troverete qui le
tracce di quel demone della perversità che ci spinge a scegliere idee che
bisognerebbe, invece, lasciare da parte... Questa Sonata sarà interessante
da un solo punto di vista, puramente documentario, e come esempio di
ciò che un uomo malato ha saputo scrivere durante la guerra. E ora basta
con questa Sonata...». Sarebbe stato infatti l'ultimo lavoro compiuto, ed
anche l'occasione per l'ultima apparizione in pubblico: fu lo stesso compositore
infatti a sedere al pianoforte la sera del 5 maggio 1917 alla Salle
Gaveau per la prima esecuzione mentre Gaston Poulet affrontava la parte
violinistica. Questo brano non ha nulla o quasi della poetica impressionista
e vi si avverte una maggiore plasticità nel disegno melodico e un
più marcato senso chiaroscurale, rispetto alle atmosfere sfumate e pittoricamente
evocative della produzione tipicamente debussyana. Anche se
divisa in tre movimenti, la Sonata non segue schemi classici o romantici,
ma utilizza cellule melodiche fondamentali continuamente riproposte e
modificate, secondo il principio della cosiddetta "variazione totale", che
vuole proporre una nozione circolare del tempo musicale. Infatti nel primo
movimento (Allegro vivo) non viene evidenziato un tema vero e proprio,
ma piuttosto una ininterrotta variazione dell'inciso melodico esposto dapprima
dal violino e contraddistinto da una successione di terze collegate
fra di loro. L'inciso melodico assume le forme più diverse, sia quando è
proposto dal pianoforte sia quando assume forma melodicamente variata
nel violino. Il secondo movimento (Intermède. Fantasque et léger) ha un
carattere di improvvisazione, segnata da eleganti arabeschi del violino;
nella parte centrale si avverte il contrasto fra il brillante ritmo pianistico
e i piacevoli effetti timbrici del violino. Non manca un raffinato ésprit
intellettualistico, vagamente ironico, di gusto stravinskiano. Il terzo movimento
(Très animé) si svolge in modo rapsodico e virtuosistico, secondo
i canoni del finale della sonata classica: in esso ritorna il motivo proposto
dal violino nel primo tempo, ma con tono più vivace e scintillante. Lo stesso
Debussy definì questo terzo pannello «pieno di vita, quasi gioioso per
un fenomeno di sdoppiamento», come a nascondere la fatica che gli era
costata portarlo a termine, tra sofferenze angosciose e terribili.


Elliott Carter Canonic Suite Tra il 1930 la fine degli anni '40 Elliot Carter scrisse opere
corali e vocali armonicamente complesse, ma concepite avvalendosi del
sostegno di un solido impianto tonale. La sua esigua produzione cameristica
di quegli anni è analogamente distante dal suo stile più tardo, dai
gesti repentini, multiformi e ritmicamente instabili. Solo quattro opere
cameristiche anteriori al 1948 sono sopravvissute: di queste, solo la composizione
di un'elegia del 1942 non era stata assegnata o ispirata da uno
degli insegnanti di Carter. La Canonic Suite nacque dagli stimoli della sua
insegnante parigina, Nadia Boulanger, che gli assegnava periodicamente
esercizi di contrappunto. Carter ha successivamente assemblato tre di
questi esercizi e ne ha aggiunto un quarto, raggruppandoli sotto il nome di
"Studi Musicali", per ensemble strumentale non specificato. Solo nel 1939
gli studi si trasformarono in veri e propri brani da esecuzione, in occasione
di un concorso di composizione sponsorizzato dalla BMI che prevedeva
brani per l'inusuale ensemble strumentale di quattro sassofoni contralto.
Successivamente il compositore rivisitò la partitura, escluse uno degli
studi e riadattò il brano per quattro clarinetti, pubblicandolo nel 1956. I
canoni della suite hanno una fattura accurata e sapiente, di suggestiva
raffinatezza contrappuntistica. Il primo canone (Deciso), si presenta quasi
come un brano minimalista, in una rete di materiale musicale pulsante i
cui singoli filamenti vengono continuamente oscurati alla vista dalla fitta
trama del contrappunto. Il secondo canone (Allegro con moto) è un palindromo
perfetto, in cui il soggetto canonico va contemporaneamente
in quattro direzioni diverse: in avanti, per moto contrario, all'inverso e al
contrario dell'inverso. Carter costruisce il terzo canone, una tarantella giocosa,
sfoggiando la sua abilità di contrappuntista: dopo un inizio ordinato
e regolare, avvalendosi di un crescendo dai toni sempre più drammatici,
si assiste ad un rincorrersi - quasi un accavallarsi - furioso delle voci che
conduce la suite al termine con un grandioso climax.


Claudio Ambrosini Vite di suoni illustri Quello che caratterizza alcuni compositori della
mia generazione - non tutti, naturalmente - è forse una diversa attenzione
al suono, una concezione nuova del suono. Non più le "note",
appartenenti a questo o quel "sistema" - tonale, seriale, strutturalista
o altro, da sottoporre poi a retrogradazioni, permutazioni, interpolazioni,
rispecchiamenti, griglie e altri giochi piuttosto abs-tracti - e non più
nemmeno la nota, intesa come evento isolato e magari derivato da fatti
casuali, estrazioni numeriche, lanci di dadi, di bastoncini o di monete,
o da interpretazioni di grafie più o meno suggestive o da altre divinazioni.
Piuttosto, invece, il suono inteso come organismo vivente, dotato
di caratteristiche uniche e ben precise, connesse a questioni complesse
derivanti sia dalla natura degli strumenti che dalla fisiologia umana: cioè
sia dalla produzione del suono, che dalla sua percezione, dall'ascolto. Tra
un do e il do all'ottava sopra (o sotto) nel sistema tonale - o in quello,
all'opposto, dodecafonico - la parentela è grande; in una musica "sonora"
le differenze sono grandi. Oltre a questa idea di suono c'è altro, per esempio
il confronto con il passato e molti dei miei lavori si rifanno alla storia,
denunciano - spesso fin dal titolo, come nel caso di Rondò di forza, di De
vulgari eloquentia o di Prelude à l'après-midi d'un fauve - un affetto che
ho sempre cercato, spero, di tenere esente da nostalgie. Anzi, tentando di
non limitarmi a uno sguardo devoto ma sviluppando una teoria - che ho
chiamato della prospettiva - secondo la quale un chiaro riferimento storico,
un rimando - quasi un "correlativo oggettivo" eliotiano - può essere
funzionale. E non tanto per abbandonarsi a rimpianti quanto piuttosto per
segnare, prospetticamente appunto, una presenza ma nello stesso tempo
una distanza: il passato ha prodotto magnifiche cose, certamente, che noi
ascoltiamo, ammiriamo, amiamo ma... loro erano lì e noi siamo qui. E da
qui le guardiamo. Da questo o quel capolavoro a noi, tra quell'epoca e la
nostra, c'è il tempo che è intercorso, i passi in avanti che le tecniche strumentali
e il pensiero musicale hanno fatto nel frattempo. I secoli e, in particolare,
i decenni della modernità hanno aperto il "ventaglio dei suoni"
fino a esiti un tempo inimmaginabili. Vite di suoni illustri è, in quest'ottica,
un affettuoso divertissement rivolto da una parte verso pietre miliari della
storia dei suoni, dall'altra verso gli ascoltatori, che di sicuro tali suoni hanno
già sentito. In particolare uno, di ascoltatore, di un tipo assolutamente
speciale, assetato di suoni nuovi e insieme capace di valutare musiche di
ogni tempo: Mario Messinis, cui questo lavoro è dedicato, in occasione
dei suoi ottanta anni. Con i migliori auguri, e con grande stima, e affetto.
(Claudio Ambrosini)


Fabio Nieder M. M. = 80 (Der shöne Kreis des Lebens) M. M. = 80 significa: Metronom
Mälzen, tempo 80. Johann Nepomuk Mälzen era uno degli inventori del
metronomo. È stato proprio Beethoven che ha stimolato il signor Mälzen
a costruire questo oggetto meccanico per poter segnare all'inizio delle sue
partiture il tempo precisamente. Ma M. M. sono anche le iniziali di Mario
Messinis. Questo mio piccolo pezzo pianistico è un dono in occasione
del suo ottantesimo compleanno ed è anche un gran ringraziamento per
quello che Mario ha fatto per la musica contemporanea! [Fabio Nieder]


Adriano Guarnieri … l'alba dei suoni … sintetizza in una forma breve le mie personali
concezioni di sonorità materiche, con una forma ad arco galattica,
piena di microeventi sonori, in continuo movimento ellittico. Esplosioni
ed implosioni di magma sonoro, tratteggiano via via la forma del brano.
Molte linee multiverse, convergono sul finire in una sola linea uniforme.
Il tempo stesso, nella seconda parte, si fa sempre più statico, infinito,
cosmico (quasi un "tempo zero"). Una ricerca sonologica, con l'ausilio del
live electronics, metabolizzata da anni di "ascolti veneziani". Penso alle
bellissime e storiche Biennali degli anni dal 1970 al 1990 che ci ha regalato
il prezioso ed instancabile lavoro di Mario Messinis (a cui è dedicato
questo brano, per i suoi 80 anni). Una gratitudine dovuta, al suo pensiero
artistico e musicologico che in tante programmazioni (anche "fenicee",
ma non solo) ha lasciato segni indelebili nella formazione di tanti musicisti
contemporanei. Io stesso, mi sono formato grazie alle sue bellissime
proposte di tanta bella musica che spaziavano dall'avanguardia storica del
Novecento sino alle creazioni dell'oggi; senza le quali, forse, tutta questa
ricerca di nuovi suoni che ancora "preme" in me, non ci sarebbe mai stata.
Grazie, Mario, del tuo prezioso, generoso e gratuito lavoro. E ... "Buon
Ottantesimo!" [Adriano Guarnieri]