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sabato 27 ottobre 2012, ore 20.00

Gran Teatro La Fenice, Sale Apollinee



Ex Novo Ensemble
Daniele Ruggieri flauto
Davide Teodoro clarinetto
Carlo Lazari violino e viola
Carlo Teodoro violoncello
Aldo Orvieto pianoforte
Annunziata Dellisanti percussioni

preludio critico di
Paolo Furlani

forme come sistemi di differenze

“Le forme che hanno la pretesa
di guidare il musicista o il pittore
[…] sbarrano più di quanto non
aprano la strada dell’intuizione
poetica: sostituendo un’attività del
linguaggio rinchiusa per sempre su
se stessa al pieno incontro con ciò
che è”

YVES BONNEFOY, 2007

Hanns Eisler (1898-1962)
Vierzehn Arten, den Regen zu beschreiben, Op. 70 (1941)
per flauto, clarinetto, violino, viola, violoncello e pianoforte
(dedicato ad Arnold Schoenberg per il suo 70° compleanno)

Claude Debussy (1862-1918)
Première Rhapsodie, per clarinetto e pianoforte (1909/1910)

Erwin Schulhoff (1894-1942)
Sonata (1927) per flauto e pianoforte
Allegro moderato - Scherzo (Allegro giocoso)
- Aria (Andante) - Rondò Finale (Allegro molto gajo)

Francesco Filidei (1973)
Preludio e Filastrocca (2012)
per pianoforte
prima esecuzione assoluta

Giorgio Gaslini (1929) Circular Dances (2012)
per flauto, clarinetto, violino, violoncello, pianoforte e percussioni
Habanera - Rumba - English Waltz - Blue Dance - Circle Polka
Commissione Ex Novo Musica
prima esecuzione assoluta


Nel lontano 1956 Iannis Xenakis notava che le procedure seriali che al tempo dominavano
la scrittura musicale, avevano privato l'ascoltatore della possibilità
di formarsi un'immagine mentale del messaggio di cui era destinatario.
Xenakis era uno dei pochi, in quegli anni, a scandagliare il paradosso di
un'arte sulla carta estremamente rigorosa, ma dall'apparenza sensibile
quasi indeterminata: una forma di casualità non assimilabile a nessuna
forma di improvvisazione, pratica che anzi rifuggiva. I suoi presupposti
deterministici - ulteriore paradosso - manifestavano la loro presenza quasi
solo attraverso una forma di rigidezza interpretativa. Partiture estremamente
complesse che vincolavano l'esecutore a portare il cilicio di una
performance nella quale troppi erano i parametri di cui era richiesto tener
conto; dunque poco libera, poco musicale; tratto, questo sì, sicuramente
ben riscontrabile all'ascolto. Anche all'apparire delle molteplici forme di
scrittura, variamente antagoniste al serialismo, nei decenni seguenti - dal
neoclassicismo, al neoromanticismo, alla musica concreta, al minimalismo
ai vari influssi delle culture afroamericane - non fu più possibile tornare
indietro: la fruizione musicale, che già sul finire dell'Ottocento aveva perso
il suo valore psicologicamente rassicurante, perdeva ora i suoi tratti
(ben più fondanti) di plasticità, e di immediatezza. In altre parole, l'ordine
sintattico del testo musicale, l'equilibrio tra le parti, la coerenza strutturale
o stilistica vengono spesso alterati, deformati, così come vengono
esasperate le differenze e le tensioni interne al testo musicale. L'ascoltatore
si sente spaesato di fronte ad un universo sconosciuto e inquietante
che suscita in lui sentimenti di sorpresa, di estraneità, di straniamento:
si può usare l'analogia fra le nuove composizioni e alcune figure, l'anacoluto,
l'anafora, l'iperbole, l'ossimoro, proprîe della retorica classica. E'
tutto cambiato rispetto alle forme classiche che sono presenti nella musica
che aveva dominato i nostri ascolti fino a pochi anni orsono. Ma da
quella che spesso viene definita frettolosamente la "dissoluzione della
forma" - sia ben chiaro si parla solo di un livello percettivo - derivano altre
conseguenze. «La musica è l'esempio unico di ciò che si sarebbe potuto
dire - se non ci fosse stata l'invenzione del linguaggio, la formazione
delle parole, l'analisi delle idee - la comunicazione delle anime», afferma
Proust ne La Prigioniera. L'ascoltatore è dunque costretto a rinunciare ad
una aspettativa che gli era divenuta abituale: cioè il trovare nella musica
un senso compiuto, una "parole" formulata in base ad una "langue", nel
senso saussuriano dei termini. E' innegabile che, come per apprezzare
un'opera cubista dobbiamo rinunciare ad assumere come principio-guida
quello dell'arte che si ispira direttamente alla natura, così non possiamo
capire lo specifico della musica dell'oggi, se non abbandoniamo la forma
mentis che attendeva al puro godimento estetico, a quel "sollievo per lo
spirito" cui erroneamente pensavamo quest'arte fosse preposta. La nuova
musica ci impone di vivere i turbamenti, le sofferenze e lo contraddizioni
che continuamente assillano le nostre giornate. Il concerto di stasera
presenta opere che forniscono un'ampia antologia di tali stati d'animo:
dalla Filastrocca, di Francesco Filidei che «gira in continuazione su se
stessa ripetendo la stessa cellula melodica e facendola talvolta inciampare,
balbettare, stonare, deragliare», al lavoro di Hann Eisler da lui stesso
definito «quattordici modi per essere tristi con decenza»; alla non meno
inquietante «giostra sonora che potrebbe ripetersi all'infinito» creata con
danze di diverse provenienze culturali le Circular Dances di Giorgio Gaslini
(Roberto Campanella)


Hanns Eisler Vierzehn Arten, den Regen zu beschreiben 

(Quattordici modi di descrivere la pioggia) nasce come musica 

per film e, contemporaneamente, come hommage di Eisler 

al suo maestro, Arnold Schoenberg. Nel 1928 il regista
Joris Ivens aveva realizzato un documentario muto (Regen) sui diversi
effetti prima, durante e dopo la pioggia ad Amsterdam, per il quale Lou
Lichtfeld aveva composto la prima musica. Eisler compose un nuovo brano
che, tramite una nuova tecnica, potesse sottolineare la complessità e la
sperimentalità del film di Ivens. La tecnica in questione è quella dodecafonica,
i cui dettami teorici furono precisati da Schoenberg nei primi anni
'20: partendo da una serie di dodici suoni è possibile edificare un sistema
melodico/armonico, che utilizza la serie originale, e i suoi derivati (l'inverso,
il retrogrado, l'inverso del retrogrado, etc.) seguendo procedimenti
costruttivi completamente precisati. Come per ogni altro sistema musicale
non è ovviamente sufficiente aderire al metodo e rispettarne puntigliosamente
le regole, per creare buona musica. Eisler riesce mirabilmente, in
quest'apparente costrizione compositiva, a realizzare atmosfere che spaziano
dal più semplice naturalismo, in perfetta simbiosi con le immagini
filmiche, al più estremo contrasto con queste ultime. Il brano consiste in
quattordici brevi momenti che si susseguono in un alternarsi sapiente di
caratteri e suggestioni. Non solo l'organico è quello utilizzato nel Pierrot
lunaire di Schoenberg, ma anche la serie musicale è dedotta dal nome
del compositore (A, D, eS, C, H, E, B, G). La composizione fu iniziata
nell'estate del 1941 e conclusa il 18 novembre dello stesso anno a New
York. La prima ebbe luogo il 13 settembre di tre anni dopo, in occasione
del settantesimo compleanno del maestro e ispiratore di Eisler. Anni dopo
il compositore, durante un colloquio con il dottor Hans Bunge, confessò
che il titolo del brano potrebbe essere anche «Vierzehn Arten, mit Ansand
traurig zu sein» (Quattordici modi per essere tristi con decenza), poiché in
molte lingue la pioggia è un simbolo della tristezza, e quindi egli stesso,
con la sua composizione, aveva descritto un' «anatomia della tristezza -
o un'anatomia della malinconia». Il suo interlocutore gli rispose: «Anche
questo fa parte dell'arte. Non voglio dire che sia il tema centrale del XX
secolo… ma anche questo può accadere in un'opera d'arte».


Claude Debussy Première Rhapsodie Nel 1909 Gabriel Fauré, conscio dei problemi economici
e di salute di Claude Debussy, fece eleggere l'amico membro del
consiglio superiore del conservatorio di Parigi, del quale era direttore dal
1905. Da quel momento all'anno successivo il compositore prepara il brano
per la prova del Concorso di clarinetto dell'istituto: si tratta della Première
Rhapsodie per clarinetto e pianoforte, dedicata al docente dello
strumento Prosper Mimart. Il pezzo fu eseguito per la prima volta il 14
luglio dello stesso anno in occasione del concorso e il compositore, da
quanto apprendiamo in una sua lettera all'editore Durand, fu soddisfatto
dell'impatto sulla commissione, particolarmente colpita dall'esecuzione di
un certo Vandercruyssen. Il brano vide poi una trascrizione per clarinetto
e orchestra. La composizione, anche se alla percezione appare poetica,
capricciosa e brillante, cela una struttura coerente e precisa. L'introduzione
dura otto battute, in un'atmosfera diafana e sospesa, con l'indicazione
«rêveusement lent» (lento e sognante). Di questo inizio ha scritto Vladimir
Jankelevitch che «a volte i preliminari ritardano l'installazione di uno
sviluppo che sarebbe sul punto di iniziare, ma che è stranamente lento a
decidersi, a esitare, a brancolare». Si dipana poi il primo tema, calmo e penetrante.
Ma la quieta sobrietà dell'attacco è infranta poco dopo l'inizio:
il ritmo si sfasa quasi a suggerire il moto perpetuo e irregolare dell'acqua.
Il secondo tema si anima con arpeggi ascendenti, che sembrano illustrare
lo scintillio dei raggi del sole sull'acqua; il discorso musicale si fa più
pressante, con molte articolazioni, trilli, passaggi, per diventare ancora più
concitato e minaccioso con l'arrivo del terzo tema. Quest'ultimo tema è
ripreso senza fioriture nella seconda sezione del brano, mentre si annuncia
lo Scherzando. Dopo poche battute gli arabeschi diventano febbrili e
animano il tempo. Sempre secondo Jankelevitch, qui è il vento panico che
soffia, l'uragano che spazza via tutto, tempo e tonalità, in un accelerando
cromatico vertiginoso. Nell'arco di poche battute poi la tempesta si quieta,
le dissonanze si risolvono e la Rhapsodie volge al termine. Debussy
adopera la materia sonora in modo estremamente raffinato, con costante
attenzione al timbro, alla chiarezza e all'eleganza. Si percepiscono in
questo brano richiami alle composizioni descrittive dello stesso periodo,
in particolar modo a La mer. Da non sottovalutare inoltre l'influsso della
musica che imperversava a New Orleans, che ispirerà poco più di un decennio
dopo la famosa rapsodia di Gershwin.


Erwin Schulhoff Sonata (1927) Schulhoff compose la sua Sonata per flauto e pianoforte
nel 1927, quando era già un giovane talento conosciuto a livello internazionale.
I quattro movimenti piuttosto brevi che la compongono costituiscono
un delizioso lavoro di matrice impressionistica, che - come era abituale
per Schulhoff in questa fase creativa - rielabora elementi jazzistici e
presenta occasionalmente sezioni politonali. Nel primo movimento, scritto
con impegno e slancio propositivo, si oppongono ritmi energici e piuttosto
mobili all'eleganza e giocosità della linea del flauto, che ne attenua il
vigore. Il secondo movimento è uno scherzo conciso, con un solo di flauto
agile ed energico posto a confronto con una curiosa parte pianistica: lo
strumento a tastiera, come senza fiato, sembra quasi annaspare per cercare
di recuperare sul flauto. L'uso di Schulhoff degli estremi della tastiera è
molto fantasioso, e il movimento termina con una certa asciuttezza, quasi
a concludere quando è stato detto abbastanza. Il terzo movimento è un
Andante sognante, con un profumo di esotismo. Schulhoff lo intitola Aria,
e il carattere un po' malinconico della canzone è palpabile. Il finale impegna
entrambi gli strumenti in un inseguimento frenetico, ma giocoso, in
una reciproca e continua imitazione delle frasi. In un episodio contrastante
il flauto piroetta su un ritmo ostinato assillante; questo materiale servirà a
Schulhoff, come una sorta di sigla, per lo spensierato finale del brano.
Francesco Filidei Preludio e Filastrocca Preludio è stato scritto nel 2003 accogliendo
l'invito a partecipare ad un progetto didattico e si basa su una semplice
scala di do maggiore che sale e scende in continuazione con note disposte
su ottave sempre diverse. Ne risulta una modalità seriale che pur suonando
completamente tonale è basata su un principio del tutto diverso.
Filastrocca, nata da un precedente pezzo per pianoforte preparato, gira in
continuazione su se stessa ripetendo la stessa cellula melodica e facendola
talvolta inciampare, balbettare, stonare, deragliare. [Francesco Filidei]

Giorgio Gaslini Circular Dances è una composizione articolata in cinque sequenze di danze
dai caratteri derivati da diverse provenienze culturali. Cinque movimenti
che "circolano" collegandosi tra loro come in una sorta di giostra sonora
che potrebbe ripetersi all'infinito. E' affidata a sei virtuosi strumentisti
ognuno dei quali trova in essa, via via, il proprio risalto solistico. Nella
quinta danza finale, Circle Polka, questa giocosa circolazione di temi, di
ritmi, di colori, confluisce nel "tutti" unitario col quale l'ensemble si lancia,
incisivo e pulsante verso la conclusione dell'opera. [Giorgio Gaslini].