Gran Teatro "La Fenice", Sale Apollinee, Martedì 19 ottobre 2010, ore 20.00


ELOGIO DELL'ARCHEOLOGIA MUSICALE



Ex Novo Ensemble
Daniele Ruggieri flauto
Elia Guglielmo flauto*
Davide Teodoro clarinetto
Carlo Lazari violino
Mario Paladin viola
Carlo Teodoro violoncello
Aldo Orvieto pianoforte

Preludio critico di Maria Giovanna Miggiani


BARTOLOMEO CAMPAGNOLI (1751-1827)
Quartetto in mi minore per flauto, violino, viola e violoncello
Allegro espressivo - Andante grazioso - Allegro assai

AMILCARE PONCHIELLI (1834-1886)
Paolo e Virginia(1877), per clarinetto, violino e pianoforte

PIETRO MASCAGNI (1863-1945)
Canzone Amorosa, Canzone Militare (1882),
per flauto, violino, violoncello e pianoforte

FERRUCCIO BUSONI (1866-1924)
Duo (1880),
per due flauti e pianoforte(*)

GIAN CARLO MENOTTI (1911-2007)
Trio (1996)
per clarinetto, violino e pianoforte
Capriccio - Romanza - Envoi

RENATO MIANI (1965)
Doubles II
per violino, violoncello e pianoforte



Presentazione

Giancarlo Maselli, autore di un Lessico musicale sui generis afferma di aver dubbi sull’utilità degli archeologi musicali, bramosi di mettere in circolazione lavori che in tempi passati giacevano in pace senza far male a nessuno, in polverosi archivi dove erano stati relegati dalla maggior rilevanza di opere e compositori coevi. L’idea poi di compilare un intero programma con lavori, se vogliamo, assolutamente minori può sembrare bizzarra, se non proprio fastidiosa. Il punto è che negli anni del dominio assoluto del melodramma, i più grandi autori del nostro teatro musicale si dedicarono anche alla composizione di musica non concepita per la scena. Pensiamo agli adorabili Péchés de vieillesse di Rossini, ai Quartetti per archi di indubbio valore che ci ha lasciato Donizetti, alle bellissime Ariette del Bellini, al Quartetto in mi minore di Verdi. Il nostro ideale percorso archeologico inizia forse da Ponchielli, figura che visse ai margini della notorietà fino all’enorme successo di Gioconda e la cui musica certamente crea un trait-d’union tra l’opera verdiana e le nuove tendenze della scena musicale italiana. Il virtuosistico Paolo e Virginia - ancor oggi inedito! - è un prezioso duetto dal quale traspare il felice periodo del maestro cremonese. La Canzone Amorosa e la Canzone Militare di Mascagni - proprio degli anni in cui fu allievo di Ponchielli al Conservatorio di Milano - solo recentemente pubblicate, non possono che lasciare allibiti per equilibrio e squisitezza di fattura. Conclude il nostro piccolo percorso ai margini dei teatri d’opera italiani il Trio di Menotti, opera tra le ultime del Maestro, di cui oggi godiamo per merito dell’insistenza davvero ostinata dei committenti, il famoso trio Verdher di New York. Un divertissement che ripensa, con humor scevro da qualsivoglia nostalgia, i grandi gesti del teatro menottiano. Un percorso parallelo, non meno affascinante, si compie attraverso le musiche di ascendenza prettamente strumentale degli altri tre autori presenti nel programma di questa serata: ascolteremo un virtuosistico Quartetto di Bartolomeo Campagnoli, erede del grande violinismo di Tartini e Nardini, per mezzo secolo celeberrimo presso le corti tedesche e davvero ignorato persino nell’Italia del suo tempo; un lavoro di Busoni quattordicenne, sorprendente per cultura e gesto musicale e Double II di Renato Miani, compositore contemporaneo di cultura italo-tedesca - in questo dunque fratello di Ferruccio Busoni - che ci trasmette il suo amore per Robert Schumann proiettando il meraviglioso Lied Auf einer Burg in una nuova straniante dimensione atemporale. (Roberto Campanella)




Bartolomeo Campagnoli Quartetto in mi minore

Molti professori mi dissero che nessuno può suonare meglio di me e pensavano: qui c’è un artista del violino con la scienza tedesca e l’anima italiana. Come sappiamo Campagnoli abbandonò l’Italia nel 1776 sicuramente all’apice della sua fama di virtuoso del violino. Non era facile - verrebbe da dire, neppure all’epoca, e neppure per un grande virtuoso - ottenere un posto di Primo violino, direttore e compositore in una corte italiana! Gli anni trascorsi nelle corti straniere, soprattutto al Gewandhaus di Lipsia (la città di Bach e Telemann), furono per Campagnoli anni di grande apprendistato linguistico e di ricerca tecnica sul violino (il famoso Metodo è appunto degli anni di Lipsia, degli ultimissimi anni del Settecento); anni di prodigioso sviluppo che permisero a Campagnoli di coniugare la condotta melodica della scuola italiana - in Germania grandemente ammirata - con la scienza tedesca, cioè con una robustezza costruttiva e un uso ricercato dell’armonia. Il flauto era all’epoca strumento alla moda e Campagnoli affrontò l’uso di questo strumento nell’ambito dei desideri dei dilettanti delle corti tedesche, non ultimo il Principe di Sassonia, uno dei suoi molti datori di lavoro. Le composizioni per flauto rimangono dunque per lo più nell’ambito di un gusto squisitamente classico pur trascendendo a volte ampiamente l’ambito della loro destinazione. La temperie espressiva dell’ incipiente romanticismo fa da sfondo al fluire elegante e sicuro della musica: ma ad ogni ascolto sempre più ci si convince che questo sfondo cela - quasi pudicamente - una sapienza armonica e una ricercatezza formale di grande valore.


Amilcare Ponchielli Paolo e Virginia (1877)

Il duetto Paolo e Virginia risale al 1877, quando Ponchielli viveva a Roma, all’apice del successo, subito dopo il trionfo della Gioconda. Anche questo pezzo non fu mai pubblicato e il manoscritto è oggi conservato presso la biblioteca del Conservatorio di Milano. Il titolo si riferisce all’omonimo romanzo di Jacques-Henry de Saint Pierre scritto nel 1787 e, nel corso dell’Ottocento, soggetto per molte diverse interpretazioni musicali. Nella versione di Ponchielli si rilevano due tratti significativi: la ben riuscita integrazione del melodismo di matrice romantica alla tradizione operistica; una scrittura fantasiosa scevra da inutili rigidezze strutturali che esibisce con efficace disinvoltura effetti timbrici e sonorità inaspettate. La breve introduzione di Paolo e Virginia integra abilmente nella forma della Sinfonia operistica la presentazione della cantabilità degli strumenti. Nell’Andante che segue il tema, introdotto dal clarinetto, lascia il posto a giochi contrappuntistici del violino, progressivamente più carichi di effetti drammatici. Nella seconda esposizione il tema è pariteticamente affidato al violino che suona in ottave in un registro molto acuto, mentre al clarinetto è affidato un ruolo virtuosistico. Nel climax finale si trova la stessa tensione emotiva caratteristica dei duetti d’amore vocali. Questa tensione è raggiunta non solo sfruttando la melodicità del pregevole tema, ma attraverso il colore strumentale, le armonie e con l’uso di una strumentazione raffinata, gradualmente carica di pathos. Queste tecniche mettono in luce sia l’autore d’opera che il conoscitore profondo degli idiomi caratteristici del linguaggio strumentale. L’Allegro finale ha un carattere più leggero e giocoso, che il timbro del violino vena a tratti di un colore sentimentale.


Pietro Mascagni Canzone Amorosa, Canzone Militare (1882)

La Canzone Amorosa, assieme alla Canzone Militare, doveva far parte di una Suite di quattro canzoni. Il giovane Mascagni infatti, quale allievo dell’Istituto Musicale Cherubini in Livorno, in una lettera al Soffredini del 26 maggio 1882 da Milano, parla di un progetto nato dopo un incontro avuto con Giambattista Piccio, collaboratore della Casa Editrice Lucca di Milano. L’idea era quella di scrivere, in ordine: una Canzone Popolare, una Canzone Erotica, una Canzone Ditirambica, una Canzone Militare. La Canzone Ditirambica non venne probabilmente mai scritta per il dissenso dell’editore Lucca; riguardo la Canzone popolare (attualmente ritenuta perduta) fu presentata da Mascagni al suo maestro Ponchielli che ebbe a dire: Bravo, molto graziosa e molto ben fatta (lettera del 7 giugno 1882). La Canzone Amorosa fu miracolosamente rintracciata da Arnaldo Bonaventura presso la signora Elena Luisida a Firenze solo negli anni ‘30. La composizione fu presentata dal Bonaventura in un ricevimento che la Società Leonardo da Vinci dette il l0 aprile 1932 in onore del Maestro Mascagni, il quale assistette commosso all’esecuzione di questo suo pezzo composto cinquant’ anni prima. Si tratta di una suggestiva composizione in forma A-B-A, in tempo Quasi Largo, il cui inizio, affidato al violoncello in uno struggente mi minore, crea immediatamente un singolare pathos; alla ripresa ancor maggiormente esaltato dall’esposizione del tema all’unisono da parte dei due archi. Nella sezione centrale il pianoforte rimane in silenzio e i timbri del violino e violoncello si fondono col canto del flauto creando dolcissime sonorità e intime atmosfere. La Canzone Militare, datata 22 giugno 1882, anch’essa in forma A-B-A si snoda da un delicato inizio affidato al violino e al violoncello, fino ad avvalersi, in un clima marziale, di sonorità fragorose affidando al pianoforte una scrittura densa, quasi listziana, che ben sostiene l’intensità degli strumenti all’unisono.


Ferruccio Busoni Duo (1880)

In un promemoria inviato ad un influente personaggio di Lipsia Busoni sottolineava di aver dato più di cinquanta concerti, di aver imparato «da solo» tutta l’armonia e il contrappunto e di aver già scritto, a tutto il 1879 (cioè a tredici anni e mezzo) circa 150 composizioni: cifre sbalorditive ma vere. Fin dai primissimi anni Busoni possedeva, innato, e non si stancò mai di coltivare con lo studio, il senso della forma, dell’architettura e della costruzione musicale classica. Wilhelm August Mayer fu colui che fece compiere a Busoni il salto di qualità. Nato a Praga nel 1831, dove era un noto compositore sotto lo pseudonimo di W. A. Remy, abbandonò in seguito la composizione per dedicarsi all’insegnamento. Busoni lo conobbe a Graz e fu suo allievo per 15 mesi nel periodo 1879/1871. Sotto la sua guida Busoni svolse un corso completo e sistematico di armonia, contrappunto, fuga, strumentazione e composizione. Quando Mayer morì nel 1898 Busoni, artista ormai affermato, dedicò un articolo di commosso ringraziamento alla sua memoria, nel quale rievocò con gratitudine e malinconia il delizioso godimento che gli avevano offerto le lezioni di Mayer. L’affascinante Duo per due flauti e pianoforte fu scritto da Busoni nel giugno del 1880, e mette bene in luce l’intenso periodo di studio sui testi bachiani con Mayer dal quale egli imparò a capire, che è cosa diversa dall’apprezzare, la continuità organica della musica occidentale. Il Duo - contrariamente a quanto potrebbe far pensare il titolo - affida al pianoforte una parte contrappuntisticamemte significativa, ed è stato sicuramente uno dei lavori che Busoni ha sottoposto e discusso con il suo maestro.


Gian Carlo Menotti Trio (1996)

Nel 1989 Menotti si accordò per comporre un nuovo lavoro per il trio Verdher. A causa degli intensi impegni organizzativi a Spoleto passarono diversi anni prima che potesse dedicarsi al progetto. Consegnò il manoscritto dei due primi tempi a New York nel 1995 e promise che avrebbe completato il lavoro per il Natale seguente. I primi due movimenti furono proposti in prima esecuzione assoluta dal Trio Verdher a Spoleto nel 1996, e Menotti promise il terzo movimento per il concerto celebrativo per il suo 85° compleanno alla Michigan State University nel settembre dello stesso anno. Così i musicisti del trio raccontano di quel pomeriggio precedente il concerto: "Il maestro Gian Carlo Menotti era al lavoro - un accanito, furioso lavoro - sull’ultimo movimento del Trio. Le note scorrevano dalla sua mano sulla carta da musica, e l’orologio ticchettava. La prima esecuzione era programmata per la sera stessa, solo alcune ore dopo. Noi aspettavamo per provare l’ultimo movimento, ma il Maestro non aveva ancora finito il pezzo!". I musicisti lessero a prima vista direttamente dal manoscritto per la prova che seguì immediatamente. Non nuovo a imprese del genere Gian Carlo Menotti paragonò spesso la figura del compositore a quella del rabdomante: "Il rabdomante è quella persona che ha il bastone e va alla ricerca dell’acqua: cammini con il tuo bastone, aspettando che il tuo bastone tremi. E vai, vai, vai... poi, il tuo bastone fa trrrrr. Allora tu sai che c’è l’acqua! Allora butti il bastone e cominci a scavare, a scavare, e, finalmente, trovi l’acqua". Il Trio, scritto in un trasparente linguaggio tonale, è una strana opera che, pur aderendo con levità alle grandi Scuole stilistiche del Novecento, da Prokofieff a Stravinskij (nei tempi estremi) e a Shostakovich (nella canzone lirica e melanconica del tempo lento), conserva l’iter fantasioso e imprevedibile della musica per la scena.


Renato Miani Doubles II (2006)

È il secondo di una serie di brani, in cui l’antica formula del double si intreccia con quella ancor più antica della parafrasi e con la tecnica delle variazioni. In questo caso, il lavoro si sviluppa a partire da una delle pagine più singolari di Robert Schumann, il lied Auf einer Burg, tratto dal Liederkreis op. 39, che a sua volta sembra rifarsi a tecniche rinascimentali. Il mio lavoro trae spunto da alcuni passaggi estremamente originali presenti nel lavoro schumanniano, in cui la voce a tratti sembra dissociarsi dal pianoforte creando una sorta di eterofonia: pur mantenendo, sullo sfondo, un afflato romantico, Doubles II sviluppa, espande questa idea giocando su stratificazioni e su indipendenze sempre più complesse, proiettando le premesse dell’originale in nuove dimensioni. (Renato Miani)