Fondazione Giorgio Cini, Sala Piccolo Teatro, Venerdì 18 novembre 2011, ore 18.00


VERSO DARMSTADT


Incontro di studio con Mario Messinis, Gabriele Bonomo, Luis De Pablo e Andrea Molino



con la partecipazione di
Daniele Ruggieri flauto
Aldo Orvieto pianoforte

LUCIANO BERIO (1925-2003)
Sequenza I (1958) per flauto

CAMILLO TOGNI (1922-1993)
Terzo Capriccio (1957)
per pianoforte

LUIS DE PABLO (1930)
Condicionado (1962)
per flauto in sol

PRESENTAZIONE


I tre anni nodali ai Ferienkurse di Darmstadt furono il 1946, 1953 e 1958. Il 1946 è l'anno dell'avvio istituzionale dei corsi estivi all'epoca ancora estranei alla cultura d'avanguardia. Come afferma Hermann Danuser, la cultura d'avanguardia «in Germania allora non esisteva più ovvero non esisteva ancora. Già all'inizio degli anni Cinquanta si mise però in moto lo sviluppo di un pensiero musicale seriale, il quale trovò la sua manifestazione più evidente nel 1953 con i festeggiamenti per il settantesimo della nascita di Webern […] L'arrivo di John Cage ai Ferienkurse del 1958 modificò di nuovo radicalmente la direzione della ricerca nel quadro di una concezione seriale e, attraverso la "liberazione" del materiale e la diversificazione di principi di casualità, indicò una nuova via ai successivi sviluppi della musica d'avanguardia». Evidentemente, soltanto a posteriori possiamo abbozzare categorie ed anche imbrigliare la vivacità di quegli anni in una schematizzazione: il proliferare di gruppi, mode compositive e peculiarità stilistiche era perenne e sembrava inesauribile; il rapporto docenti-discenti si configurava in modo del tutto nuovo poiché, come afferma Stuckenschmidt: «Dai diciottenni ai settantenni, tutti si alternavano nei ruoli di insegnanti e studenti, e proprio questa ininterrotta fluttuazione di scambi faceva sì che non prendesse piede alcuna gerarchia». Se il tradizionale concetto statico di scuola era del tutto estraneo ai Ferienkurse, appare oggi piuttosto debole persino un concetto dinamico di insegnamento poiché le opere originate da queste correnti, "suonavano simili" solo in quanto incarnavano l'idea istituzionalizzata dell'avanguardia musicale postbellica che aveva come dogma l'adeguarsi ad uno stato di rivoluzione permanente; una rivoluzione che divorava poi i propri figli.
I due importanti contributi di Nono che di seguito riportiamo ci fanno capire l'anima delle discussioni di quegli anni, e la velocità dei cambiamenti prospettici che li determinarono: nel 1958 in «Lo sviluppo della tecnica seriale» Nono proclamava, ancora con il tono di un compositore-guida del serialismo: «Altezza, ritmo, dinamica, timbro e forma, ed infine anche l'elemento temporale, cosi come le loro funzioni, tutti i soprannominati fattori fanno la loro comparsa. Fra gli inizi della dodecafonia ed il suo stato attuale predomina l'assoluta continuità storica e logica, non esiste alcuna "rottura"». Solo dopo un anno, nel 1959, dopo il memorabile intervento di John Cage, Nono in «Presenza storica nella musica d'oggi» assume un tono diverso, sostanzialmente più aspro: «Oggi si vuole far passare l'improvvisazione come liberazione, come garanzia per la libertà dell'Io. E, pertanto, naturalmente, la determinazione come costrizione, come catena dell'Io. Questa alternativa, come John Cage e il suo gruppo han cercato di porla qui a Darmstadt, è non solo un confusionario giocherellare coi concetti, ma cela in sé, soprattutto per i giovani principianti, la tentazione di scambiare composizione con la speculazione».


Luciano Berio Sequenza I

La Sequenza per flauto di Luciano Berio è dedicata amichevolmente "A Severì". Il brano richiede un prepotente virtuosismo non collegato alla rapidità dell'articolazione digitale ma basato sulla padronanza delle incessanti variazioni dei diversi modi di attacco (détaché, legato, staccato, marcato, portato) che vengono associati ad accenti e contrasti dinamici marcatissimi (dal pppp a ff). Nella scrittura della Sequenza riescono a convivere due livelli diversi: quello deterministico per quanto riguarda le altezze dei suoni, quello aleatorio per le durate. La notazione è proporzionale, realizzata mediante tratti verticali equidistanti che rappresentano l'unità metrica (M.M.=70). Luciano Berio si è rivelato più volte scontento degli esiti delle realizzazioni pratiche che la scelta della notazione proporzionale implicava: non solo delle due incisioni realizzate dal dedicatario, Severino Gazzelloni, ma anche della -  oggettivamente precisa - incisione del 1966 di Aurèle Nicolet. In una lettera a Nicolet, Berio affermava di aver  «scelto questa notazione solo per permettere una certa adattabilità, da parte dell'interprete, nei passaggi estremamente densi e rapidi». Luciano Berio nel 1993, riscrivere infatti Sequenza I in notazione ritmica tradizionale nella convinzione che «sarà certamente meno "aperta" e più autoritaria, forse, ma certamente più attendibile». Nella scelta metodologica dell'interprete che si trova a dover affrontare l'opzione tra le due versioni oggi disponibili, si possono evidentemente prendere posizioni differenti. Tra queste, coerentemente al noto assunto estetico di Ferruccio  Busoni che sosteneva la notazione essere «già trascrizione di un'idea astratta», il musicista può affrontare l'interpretazione come atto di ri-creazione e ritenere dunque preferibile ripercorrere, per quanto possibile, gli stessi tracciati mentali del compositore nell'atto creativo; in questo caso dunque, avvalersi di una certa indeterminatezza nella scrittura.
L'organizzazione delle altezze utilizza il totale cromatico senza conformarsi a un dogmatico sviluppo seriale, dato che la serie definisce qui dei campi armonici all'interno dei quali le altezze singole sono permutabili. Certe figurazioni assumono nel corso del brano una dimensione quasi motivica: Berio infatti occulta con raffinate varianti i motivi per attribuire loro un significato differente nei diversi punti del brano: ad esempio una certa struttura di altezze cromatiche sarà sottoposta, più avanti, a un'esecuzione in "legato" oppure a una distribuzione dilatata nel tempo.
L'opera utilizza per la prima volta i suoni multipli con valore di simboli per una polifonia latente; allo stesso modo, il suono prodotto dalle chiavi dello strumento appare come una tendenza dell'armonia, ad evolversi verso il rumore; medesima valenza di transizione si ricerca con l'uso del frullato. I numerosi cambiamenti di intensità, a prima vista ascrivibili a una condotta seriale, rispondono qui invece alla sommatoria di due complicati  processi: uno dei quali assicura costante mobilità all'interno di ogni parametro, l'altro costante mobilità nell'avvicendarsi dei diversi parametri.


Camillo Togni Terzo Capriccio

Camillo Togni presenziò ai Ferienkurse di Darmstadt dal 1951 al 1957, anni cruciali per la discussione sulle problematiche della dodecafonia. Come Togni stesso scrive: «Con il 1950 prevalse in me l'aspirazione a superare gradualmente ogni sopravvivenza tonale nel progressivo tendere verso un variazionismo assoluto ad opera dell'azione della serie entro il cromatismo integrale.» I Tre Capricci op. 38 furono composti dal 1953 al 1957 e sono stati senza dubbio la prima opera in cui il maestro ha sottoposto il suo vivace stile pianistico, dai molti gesti estemporanei e coloristici, ad una profonda revisione per coniugarsi al rigore formale necessario alla composizione dodecafonica. Furono eseguiti a Darmstadt nel luglio del 1957 dal pianista H. Alexander Kaul e poco dopo a Venezia, dall'autore. Il lungo arco di tempo in cui venne composta l'opera 38, circa quattro anni, preannunciava l'incessante esame cui Togni da allora avrebbe sottoposto tutte le sue creazioni soprattutto in merito ad una estrema precisazione dei modi d'attacco: da meraviglioso pianista qual era, si poneva il problema della plasticità esecutiva di una musica che un'analisi superficiale avrebbe potuto inquadrare in una troppo rigida prassi esecutiva. Così in una lettera a Teresa Rampazzi: «A proposito del III Capriccio: in esso trovi esattamente indicata la durata di suono (e quindi le varie gradazioni - nel passaggio da suono a suono - dal legato allo staccato). [...] Tutte le gradazioni di "staccato" escono automaticamente, quando si realizzino con la maggiore esattezza possibile le varie pause indicate.»
La forte razionalità di una architettura risultante da dodici sezioni, la cui ampiezza corrisponde ai dodici intervalli di cui è formata la serie, articolati in tre gruppi, in qualche modo si destruttura in una scrittura pianistica raffinata e continuamente cangiante: la denominazione "capriccio" è intimamente collegata a tale desiderio di naturalezza: «Nei termini di questo processo, che tende ad una riduzione formale assoluta all'unità seriale, si può pensare che la denominazione "capriccio" qui si esaurisca in un certo suo particolare significato settecentesco, assimilabile a quello di "studio" (sia pure in senso lato, cioè compositivo oltre che strumentale). Ma Capriccio è proprio il più ambiguo dei titoli, potrebbe con uguale pertinenza indicare una letteratura secentesca (il nostro particolare Seicento, tutto votato a una letteratura non-engagée) e, al contrario, lo studio, il diario di una crisi, il tentativo di superarla approfondendola, il contorto e il dolorante contro gli svolazzi e l'arabesco. E' per la suggestione di tale ambiguità che ho intenzionalmente intitolati Capricci i tre pezzi».
Nel luglio del 1957 Togni andò per l'ultima volta a Darmstadt; dalla corrispondenza non si ricavano particolari elementi per valutare tale scelta ma è certo che i molti importanti fatti che ebbero luogo a partire da quell'anno - e di cui in questa sede sarebbe difficile dare conto - fecero allontanare il focus delle discussioni dallo studio della dodecafonia alla maturazione del concetto di alea (famoso titolo di una conferenza di Pierre Boulez); tali episodi, che culminarono nell'intervento di John Cage ai Ferienkurse nel 1958,  indussero Togni a prendere atto che un'epoca si era conclusa.


Luis De Pablo Condicionado

Frequentando gli Internationale Ferienkurse für Neue Musik, De Pablo strinse rapporti con i più importanti musicisti del suo tempo quali Bruno Maderna (che diresse a Darmstadt con l'Ensemble da camera internazionale la prima esecuzione di Polar, 1961, per undici strumenti), Pierre Boulez (cui si deve, nel 1965, sempre nel contesto dei Corsi, la prima esecuzione di Modulos I, per undici strumenti), David Tudor (i cui stimoli influirono sulla stesura del Libro para el pianista, la cui prima esecuzione del III e IV movimento avvenne a Darmstadt nel 1961, e Severino Gazzelloni per il quale scrisse Condicionado, un breve lavoro del 1962 la cui prémiere avvenne alla Société de Musique Contemporaine de Québec, a Montréal, da parte dello stesso Gazzelloni.
La musica di Luis de Pablo si inquadra nella discussione, promossa in quegli anni dai Ferienkurse, che tentava di innestare nella severa trattazione del serialismo (De Pablo frequentò a Parigi per un periodo i corsi di Max Deutsch, eminente allievo di Schönberg), l'utilizzo di ingegnose formule di alea controllato. La sua musica di quegli anni fu debitrice all'espressività schönbergiana non tanto nel rispetto dei dogmi della composizione dodecafonica quanto - forse più sostanzialmente - nell'ammirazione per la potenza degli affreschi espressivi del grande compositore viennese.
Condicionado (op. 13, si legge sulla antica e ormai irreperibile Edizione Tonos, editore che, in quegli anni, si prese cura di editare numerose partiture di giovani compositori presenti a Darmstadt) usa il flauto in sol ponendosi con estraneità rispetto alla propensione a scrivere musica altamente virtuosistica per il grande flautista. Fin da subito all'interprete è data la scelta se iniziare con la sezione IA oppure con la sezione IB: in entrambe è esposta una quasi rigorosa serie dodecafonica la cui riconoscibilità viene abilmente occultata. Nella sezione IA (très lent) la serie delle altezze è inframmezzata da lunghe pause e trattata con raffinati artifici timbrici; nella sezione IIA (vif) è smembrata in gruppi di altezze la cui successione sarà liberamente scelta dall'esecutore. Un episodio centrale breve ma densissimo di stimoli concettuali presenta una trattazione molto articolata dei parametri compositivi. Vengono elaborate:
- la serie dei tempi: modéré, presque vif, un peu plus vif, vif, très vif, un peu moin vif, presque modéré, modéré;
- il repertorio delle tecniche flautistiche di recente codificazione: colpi di chiave, note senza suono, chiara pronuncia delle consonanti T K R, variazioni micro tonali di intonazione, flatterzunge;
- la serie delle dinamiche: pp-p-mf-f-ff, con varie modalità di accentuazione.

Il brano si conclude con una ulteriore scelta tra due gesti musicali antitetici: la sezione IIA in eclatante fortissimo virtuosistico che si stempera fino al silenzio; la sezione 2B in evanescente pianissimo (impreciso, irregolare) che sfocia in un modulo coloristico ripetitivo aleatoriamente ripetuto.

(a cura di AO)