Gran Teatro "La Fenice", Sale Apollinee, Giovedì 17 novembre 2011, ore 20.00


Omaggio a Luis De Pablo


In collaborazione con la Fondazione Giorgio Cini e AndreaMolinoStudio e con il sostegno della Fundación BBVA



Andrea Molino direttore
Aldo Orvieto pianoforte

Ex Novo Ensemble
Daniele Ruggieri flauto
Mario Frezzato oboe
Davide Teodoro clarinetto
Diego Cal tromba
Carlo Lazari violino
Mario Paladin viola
Carlo Teodoro violoncello
Annunziata Dellisanti percussioni

Guida critica di Luis De Pablo e Mario Messinis


FRANZ LISZT (1811-1886)/CAMILLE SAINT-SAËNS (1835-1921)
Orphée. Poème symphonique No. 4 S 98 (1853/4)
trascrizione di Camille Saint-Saëns (1885) per violino, violoncello e pianoforte

MANUEL DE FALLA (1876-1946)
Concerto (1923/26)
per pianoforte, flauto, oboe, clarinetto, violino e violoncello
Allegro - Lento - Vivace

LUIS DE PABLO (1930)
Epistola al transeunte (2000)
per flauto, clarinetto, violino, viola, violoncello e pianoforte

JOAQUIM TURINA (1882-1849)
Circulo op. 91 (1942)
fantasia per pianoforte, violino e violoncello
Amanecer - Mediodía - Crepúsculo

LUIS DE PABLO (1930)
Números (2011) Sei pezzi per ottetto
per flauto, oboe, clarinetto, tromba, pianoforte, percussioni , violino, violoncello
Commissione Ex Novo Musica con il sostegno della Fundación BBVA
Prima esecuzione assoluta



PRESENTAZIONE

Negli anni terribili delle dittature, in Italia, in Germania e in Spagna la cultura e le arti erano soffocate dal controllo e dalla violenza del potere politico. In Spagna, diversamente dall'Italia e dalla Germania, la dittatura giunse al potere dopo una spaventosa guerra civile (scoppiata nel 1936 e durata tre anni) tra i falangisti comandati da Francisco Franco e i Repubblicani del Fronte Popolare, legittimo governo del paese dal 1931: guerra civile cui parteciparono anche soldati volontari che giunsero da molti paesi stranieri e combatterono su entrambi i fronti. Ad alimentare il conflitto si aggiunsero le spinte autonomiste (originate dalla presenza di forti minoranze linguistiche) presenti in diverse regioni del paese e ancor oggi, seppur meno cruentemente, vive.
L'avvento al potere di Francisco Franco provocò il drammatico isolamento culturale del paese, in quanto il forte nazionalismo centralista, una delle cifre della dittatura spagnola, determinò la diaspora di molti intellettuali di grande valore (per citare solo due nomi Juan Ramón Jiménez e José Ortega y Gasset), molti dei quali furono identificati dal regime come elementi di disgregazione della vagheggiata unità politica e culturale del Paese.
Fra i musicisti - anche qui per citare solo le personalità più eminenti - Manuel De Falla , benché da tempo vivesse prevalentemente a Parigi, fu costretto a fuggire in Argentina (anche Parigi, dopo il '40, era infatti occupata dai nazisti); Rodolfo Halffter emigrò in Messico e Pablo Casals si rifugiò in un paesino dei Pirenei francesi. Il suo impegno politico giunse fino ad astenersi nel dopoguerra dal suonare nei paesi retti da governi dittatoriali e amici del regime franchista.
In Spagna opere come il Concierto de Aranjuez di Joaquín Rodrigo divennero il manifesto di una concezione della musica legata al nazionalismo e al ritorno alla tradizione. Il regime di Franco considerava gli eventi musicali come spettacoli di stato, ma non c'era una vera politica per la promozione di una linea che fosse gradita al regime; i musicisti che si formarono in Spagna dopo la seconda guerra mondiale dovettero in qualche modo convivere con una dittatura che tollerava che la musica nuova venisse coltivata da minoranze universitarie, ma al tempo stesso continuava ad infierire con una persecuzione capillare forse meno evidente, ma certo non meno violenta.

«Ciò che importa soprattutto è essere golosi. Ammetto di essere più un edonista che un analista ». Sono parole di Luis de Pablo, la personalità musicale più eminente nella Spagna contemporanea. Ed effettivamente nel musicista, ormai ottantenne, non è mai venuta meno la voglia di sperimentare, di conoscere, di rinnovare. Negli anni del franchismo - anni bui per la conoscenza e la diffusione della musica in Spagna - la sua scelta di conciliare hispanidad e partecipazione alla vita culturale europea non fu facile da attuare.
Personalità di spicco in seno a questa generazione, Luis de Pablo fece entrare in Spagna una ventata d'aria nuova, che scosse l'anacronistico conservatorismo nazionalista del regime. Fondatore dell'associazione Nueva Música insieme a Cristóbal Halffter e del gruppo Alea, nonché del primo studio elettroacustico in terra iberica, organizzatore delle stagioni concertistiche Tiempo y Música e Jeunesses musicales, oltre che di una Biennale di musica contemporanea, il compositore, nel corso degli anni Sessanta, presentò al pubblico spagnolo le esperienze più importanti che si potevano cogliere nel panorama musicale europeo - a Darmstadt, nello stesso periodo, conobbe Bruno Maderna, Pierre Boulez, György Ligeti, Karlheinz Stockhausen e poi a Parigi seguì i corsi di Max Deutsch, eminente allievo di Schoenberg - proseguendo anche negli anni successivi la sua instancabile attività, volta a far uscire il suo paese dall'isolamento culturale cui lo costringeva il regime. Ne seguì la condanna all'esilio nel Nord America, da cui tornerà solo dopo la morte di Franco.
Già ai tempi di Darmstadt, dopo aver conosciuto Boulez, si era reso conto di non essere adatto per aderire "a un sistema". Le sue composizioni evidenziano una conoscenza enciclopedica delle culture musicali mondiali attraverso tutte le epoche, sempre in anticipo sugli sviluppi contemporanei e "integrata" ad un idioma assolutamente personale. Scrive De Pablo: «La conoscenza e l'elaborazione delle musiche [extraeuropee] è dovuta ad una mia particolare predilezione e ad un dovere etico che mi spinge alla conservazione di questo patrimonio di inestimabile valore. I riferimenti che provengono da questi popoli da noi così lontani non prendono mai la forma di una pura e semplice citazione […]. Quando mi siedo ad un tavolo per lavorare alle mie musiche, sento chiaramente che l'influenza esercitata dalle culture diverse dalla mia si manifesta in me come un arricchimento della mia sensibilità.» E ancora: «nonostante il mio amore per le tecniche vocali extraeuropee non ho mai chiesto ad un cantante che eseguiva le mie composizioni di usare una tecnica diversa da quella con la quale si era formato; un europeo non si può comportare secondo le tradizioni di una cultura completamente diversa dalla sua. La mia speranza è che comunque, fra qualche anno, la conoscenza e la pratica delle musiche extraeuropee possano diventare comuni a tutti, anche se il pubblico di oggi, condizionato eccessivamente dai suoi studi, continua a preferire solo la musica classica tradizionale.» La curiosità di De Pablo lo ha condotto ad amare «qualsiasi forma di linguaggio; sono basco di nascita, a scuola ho studiato il francese, poi ho imparato il tedesco, l'inglese e l'italiano; il risultato è stato un interesse profondo per la struttura di tutte le lingue che parlo. Mi affascina sia il suono prodotto dalle parole che il meccanismo per cui variazioni di altezze danno luogo a significati diversi. Inoltre penso che la comunicazione verbale, essendo sostanzialmente una sequenza di suoni e di ritmi, sia strettamente legata ai modi dell'espressione musicale».


Luis De Pablo Epistola al transeunte

Più volte Luis De Pablo ha dichiarato: «la poesia ha svolto un ruolo fondamentale nella mia formazione e nella mia carriera; […] ho avuto la grande fortuna di conoscere personalmente un grande poeta spagnolo, Vicente Aleixandre. Il nostro incontro è avvenuto quasi per caso: era un uomo straordinario che sapeva vivere a contatto con i giovani […] Ogni giovedì trascorrevo i pomeriggi , insieme ad altri ragazzi, parlando con il grande maestro che, dopo la lettura dei suoi ultimi poemi, ascoltava le nostre sensazioni. Aleixandre, che non si è mai allontanato dalla Spagna, rappresenta il punto di riferimento non solo per me, ma per tutta una generazione di poeti spagnoli che invece furono costretti ad emigrare per colpa della guerra civile; è l'immagine stessa della poesia spagnola in quegli anni difficili.» Il titolo Epístola al transeúnte è stato estratto, liberamente modificato, da uno degli ultimi poemi di César Vallejo: Epístola a los transeúntes. «Questo riferimento letterario - scrive ancora Luis De Pablo - non incide sull'autonomia della forma musicale, anche se l'ambiente sonoro che questo brano intende ricreare può evocare il mondo delirante, popolare, aggressivo, del poeta peruviano».


Luis De Pablo Números

Números è stato composto fra febbraio e marzo di quest'anno durante la convalescenza da una operazione al ginocchio destro, ed è dedicato agli amici dell'Ensemble Ex Novo. L'organico è costituito da flauto (anche ottavino e flauto in sol), clarinetto in la (e clarinetto basso), tromba in do, pianoforte, percussione, violino e violoncello. L'opera è costituita da sei sezioni (sei Numeri), da eseguirsi senza pause. Il titolo è volontariamente neutro: ho ricercato una musica che esprima sé stessa; un suono organizzato in maniera cangiante, a tratti anche in modo vertiginoso: raramente si trova un tutti e i passaggi solistici, o a due, tre o più strumenti sono frequenti. Il timbro è protagonista, assieme alla metrica, nella costante contrapposizione regolare/irregolare, e alla struttura degli intervalli, che dipende dai due precedenti parametri. Da quanto detto si indovinerà che c'è un forte aspetto ludico nell'impulso creativo. Ma questo gioco non ha nulla di gratuito o superficiale, analogamente a quanto avviene negli haikai giapponesi, o in tanti disegni di Picasso, o nei Proverbi di Antonio Machado…Il pezzo ha una durata complessiva di circa 18 minuti. (Luis de Pablo)


Franz Liszt /Camille Saint-Saëns Orphée, Poème symphonique No. 4, S98

All'insegna dell'universalità del linguaggio musicale questa serata ci propone in apertura una rarità, e cioè Orphée il più breve, ma forse il più bello e meno eseguito, poema sinfonico di Liszt. La trascrizione per trio di Camille Saint-Saëns del 1885, per violino, violoncello e pianoforte, autorizzata dallo stesso Liszt, è ancor più rara. Il lavoro rappresenta, recuperando un'espressione usata da Wagner, uno splendido Idillio musicale che esprime la visione interiore del compositore di uno dei miti che più ha ispirato gli artisti. È un'atmosfera sovrumana, onirica, quella che accompagna l'ascolto di idee melodiche che si dipanano, nascendo una dall'altra senza soluzione di continuità, in una forma ciclica, a spirale. Liszt manifesta il suo entusiasmo per la versione per trio in una lettera al musicista francese del 27 gennaio del 1885. Fu per questo, probabilmente, che lui stesso non compose mai una versione cameristica dell'Orfeo, sebbene sembri che l'abbia suonato in qualche riunione privata improvvisandolo. (Il catalogo di Liszt menziona una versione dello stesso Liszt per arpa, armonium, violino e violoncello, citata in una lettera del 1871, ma nessun manoscritto è stato mai trovato).
Nella sopracitata lettera, Liszt propone a Saint-Saëns di inviare il manoscritto a Budapest a Breitkopf & Haertel con istruzioni sulla pubblicazione. Ma sembra che Listz, una volta venuto in possesso del manoscritto, non abbia apportato alcuna modifica significativa, ma si sia assicurato soltanto che il manoscritto fosse stampato. La copia della versione di Saint-Saëns, che si trova alla Biblioteca Nazionale di Parigi, presenta infatti solo piccole indicazioni dell'autore dell'Orfeo. Da un'atmosfera subito irreale, con gli archi su note tenute e arpeggi eseguiti dal pianoforte a simulare la lira, nasce un incipit tematico che è il cuore dell'amoroso incanto: la melodia struggente e pacata del violino (germinatrice dei futuri gesti melodici) è subito oscurata da un accompagnamento pianistico con andamento di marcia funebre, presago della tragedia; tale accompagnamento ricomparirà in altre sezioni del brano, come lugubre reminiscenza. Un appassionato sviluppo del motivo iniziale avrà culmine nel tema lanciato da tutti e tre gli strumenti in un'enfasi romantica di straordinario effetto. Una figurazione discendente cromatica del violino, sostenuta con furore da ostinati tremoli del pianoforte, rappresenta la rovinosa discesa agli inferi. Un ultima declamazione del tema iniziale conduce ad un finale sognante di puro edonismo armonico con accordi degli archi che ripropongono (a valori aumentati) l'incipit tematico, ormai irriconoscibile melodicamente, fino all'estinzione del suono. Dopo tanto pathos si rimane malinconicamente attoniti, frastornati. Il caleidoscopio delle sonorità lascia senza fiato, la forza emozionale, la potenza sonora, il lirismo e l'enfasi narrativa fanno dell'ascolto del trio un'esperienza folgorante. Difficilissimo trovarne un'incisione, così come ascoltarne l'esecuzione in concerto.


Manuel de Falla Concerto (1923/26)

Il Concerto di De Falla rappresenta una tappa importante nel processo evolutivo che conduce il musicista andaluso a proporre forme sempre più astratte di stilemi propri del folclorismo nazionale o locale. Nei sette anni (1907-1914) trascorsi a Parigi - dove vedono la luce i suoi primi capolavori - Manuel de Falla aveva stretto con Albeniz e Turina, quella sorta di patto per la creazione di una musica puramente spagnola. Il Concerto per clavicembalo e strumenti fu composto su incarico di Wanda Landowska (alla quale evidentemente piacque poco, poiché lo eseguì due sole volte) nel piccolo carmen dell'Antequeruela Alta, sulle pendici dell'Alhambra a Granada; luogo rimasto mitico in ragione del concorso per il cante jondo organizzato da de Falla insieme a Federico García Lorca e Gerardo Diego nel giugno del 1922. In questa composizione tutti e sei gli esecutori sono solisti; gli archi, grazie alla prescrizione di "attacco al tallone", sono trattati in modo da ottenere una accentazione persistente che dà origine a sonorità corpose e ruvide, allo scopo di competere - dallo stretto punto di vista fonico - con i più sonori strumenti a fiato. Analogamente la scrittura per il clavicembalo (nel nostro caso il pianoforte, in una versione che l'Autore scrisse proprio per poterlo eseguire lui stesso al pianoforte data l'indisponibilità della Landowska) non è sempre in linea con la tradizione: l'impiego di mordenti, fioriture, trilli e figurazioni tipiche dello strumento è moderato, mentre il compositore fa largamente ricorso, specie nel secondo tempo, ad accordi perfetti maggiori, spesso in rapida successione e arpeggiati, dunque particolarmente sonori.
Il tema principale del primo movimento è uno dei pochissimi autenticamente popolari di tutta la produzione del musicista: si tratta dell'antica canzone del folclore castigliano del sec. XV, «De los Álamos, vengo, madre» («Dai pioppi vengo, madre»): l'Andalusia (sua terra natale) non è dunque la fonte di ispirazione, quanto la musica popolare dell'ormai lontana Castiglia. Nel corso del movimento il tema popolare viene proposto anche caratterizzato da un'armonia marcatamente politonale, nonostante De Falla abbia sempre negato il ricorso a questa tecnica, sostenendo che gli aggregati accordali da lui impiegati si spiegano in ogni caso, all'interno di un sistema basato sugli armonici naturali degli accordi perfetti. Sorprendente la stringata e ben accentata cadenza finale, che chiude il movimento in un esasperato rallentando assai
La melodia del secondo movimento, dal sapore squisitamente liturgico medievale, trae origine nella canzone del primo tempo, ed è scritto nella forma di stretto canone a tre voci (a distanza di tono) nello stile polifonico antico che tanto affascinava il compositore. Energica anche in questo caso l'armonia, sempre con robusti accordi raddoppiati per le due mani. Pregevole la tecnica di scrittura di arpeggi con fondamentale molto grave, appartenente ad una tonalità lontana, che evoca un maestoso rintocco di campana. Anche in questo movimento compare una sezione bitonale: l'incedere perentorio di un accordo di la maggiore alla tastiera, si contrappone al luminoso tema affidato agli altri strumenti nella tonalità di fa maggiore. Si crea la suggestione dell'incedere di due cortei diversi; segue una magnifica cadenza.
Il terzo movimento, formalmente assai elaborato, rivela con evidenza l'intenzione di ricreare lo stile di Domenico Scarlatti, giustamente tanto ammirato da De Falla, attraverso una musica piena di grazia settecentesca. Danzante conclusione di un concerto che ci lascia con il sapore di una tonadilla, di un breve intermezzo di sapore teatrale dal sapore antico. Una musica che non poteva non ottenere i favori del più geniale esponente del neoclassicismo musicale novecentesco, Igor Stravinskij, che così ricorda l'esecuzione londinese del Concerto nel giugno 1927: «Ascoltai anche, con vero piacere, il suo Concerto per clavicembalo o pianoforte ad libitum, che eseguì personalmente su quest'ultimo strumento. Per conto mio, queste due opere [il Concerto e il El retablo de Maese Pedro, eseguito nella stessa occasione] segnano un progresso incontestabile nello sviluppo del suo grande talento, che si è quasi liberato risolutamente dall'impaccio folcloristico che rischiava di sminuirlo.»


Joaquim Turina Circulo op. 91

Forse speculare a quello di De Falla il percorso che porta Joaquin Turina - anch'egli andaluso - a contatto con l'ambiente musicale europeo. La sete di aprirsi a nuove esperienze e il fascino della vitalità culturale della capitale francese contrastano, in certo senso, con la scelta di Turina di applicarsi nello studio formale, ordinato e regolamentato, proposto alla Schola Cantorum, istituzione presso la quale il musicista spagnolo si formò dal 1905 al 1913: istituzione senz'altro prestigiosa, fondata da Vincent d'Indy, che riconosceva in César Franck il più autorevole maestro della musica francese. Tale istituzione fu anche molto criticata; in particolare da Debussy che, detestando l'accademismo e la retorica, la riteneva colpevole di aver sempre impedito il fiorire di una sensibilità autenticamente francese imponendo alla composizione i modelli complicati e austeri del tardoromanticismo tedesco. Pur tuttavia Turina sentiva la Schola Cantorum depositaria di una dottrina musicale di cui avvertiva un autentico bisogno; i suoi amici, e primo fra tutti Albéniz, tentarono in tutti i modi di dissuaderlo dall'aderire in modo radicale ai precetti della Schola, facendogli avvertire l'urgenza di coltivare il patrimonio musicale andaluso. Prodotti di questi anni furono infatti la Suite per pianoforte dall'emblematico titolo Sevilla, seguita dopo poco dalla Sonata romántica sobre un tema español, opere ispirate al folklore spagnolo ma dominate dalla spirito contrappuntistico della Schola.
In Circulo, il suo ultimo lavoro per trio con pianoforte, Turina riesce a sintetizzare con una concisione davvero rimarchevole le due esigenze artistiche cui sopra si accennava scrivendo una "musica a programma" permeata di riferimenti alla cultura spagnola, ma al tempo stesso fedele alla consueta predilezione per le forme cicliche: il pezzo infatti illustra lo svolgersi di un solo giorno, dall'alba (Amanecer), attraverso il mezzogiorno (Mediodía), al tramonto (Crepúsculo); ma - per portare un unico esempio - l'ombroso tema con il quale il violoncello apre Amanecer, riappare, sempre al violoncello nelle battute finali del Crepúsculo, preceduto dal motivo principale del Mediodia. In Mediodía Turina non rinuncia agli stereotipi della cultura popolare spagnola, ma li espone con finezza e garbo davvero magnetici: un episodio tratteggia il fasto e la cerimonia delle corride; un altro la spavalderia di un cantaor di flamenco, accompagnato da un suono di chitarra rasgueada.
Come testimoniato dalle indicazioni agogiche delle sue sezioni (Allegro vivace, Allegro, Allegro molto moderato, Andantino, Andante lento) in Crepúsculo il progressivo scemare dell'energia evoca la descrizione del finire di una giornata.
Completato solo poche settimane prima dello scoppio della Guerra Civile Spagnola, Círculo dovette aspettare fino al 1 marzo del 1942 per la sua prima esecuzione presso l'Università di Madrid. La sua vena elegiaca risulta in netto e volontario contrasto con l'incertezza e la pericolosità della situazione politica in cui fu composto.

( a cura di RC)