FRANZ LISZT (1811-1886)/CAMILLE SAINT-SAËNS (1835-1921)
Orphée. Poème symphonique No. 4 S 98 (1853/4)
trascrizione di Camille Saint-Saëns (1885) per violino, violoncello e pianoforte
MANUEL DE FALLA (1876-1946)
Concerto (1923/26)
per pianoforte, flauto, oboe, clarinetto, violino e violoncello
Allegro - Lento - Vivace
LUIS DE PABLO (1930)
Epistola al transeunte (2000)
per flauto, clarinetto, violino, viola, violoncello e pianoforte
JOAQUIM TURINA (1882-1849)
Circulo op. 91 (1942)
fantasia per pianoforte, violino e violoncello
Amanecer - Mediodía - Crepúsculo
LUIS DE PABLO (1930)
Números (2011) Sei pezzi per ottetto
per flauto, oboe, clarinetto, tromba, pianoforte, percussioni , violino, violoncello
Commissione Ex Novo Musica con il sostegno della Fundación BBVA
Prima esecuzione assoluta
Negli anni terribili delle dittature, in Italia, in Germania
e in Spagna la cultura e le arti erano soffocate dal controllo e dalla violenza
del potere politico. In Spagna, diversamente dall'Italia e dalla Germania, la
dittatura giunse al potere dopo una
spaventosa guerra civile (scoppiata nel 1936 e durata tre anni) tra i falangisti comandati da Francisco
Franco e i Repubblicani del Fronte Popolare, legittimo governo del paese dal
1931: guerra civile cui parteciparono anche soldati volontari che giunsero da
molti paesi stranieri e combatterono su entrambi i fronti. Ad alimentare il
conflitto si aggiunsero le spinte autonomiste (originate dalla presenza di
forti minoranze linguistiche) presenti in diverse regioni del paese e ancor
oggi, seppur meno cruentemente, vive.
L'avvento al potere di Francisco
Franco provocò il drammatico isolamento culturale del paese, in quanto il forte
nazionalismo centralista, una delle cifre della dittatura spagnola, determinò
la diaspora di molti intellettuali di grande valore (per citare solo due nomi
Juan Ramón Jiménez e José Ortega y
Gasset), molti dei quali furono identificati dal regime come elementi di
disgregazione della vagheggiata unità politica e culturale del Paese.
Fra i musicisti - anche qui per citare solo le personalità
più eminenti - Manuel De Falla , benché da tempo vivesse prevalentemente a
Parigi, fu costretto a fuggire in Argentina (anche Parigi, dopo il '40, era
infatti occupata dai nazisti); Rodolfo Halffter emigrò in Messico e Pablo
Casals si rifugiò in un paesino dei Pirenei francesi. Il suo impegno politico
giunse fino ad astenersi nel dopoguerra dal suonare nei paesi retti da governi
dittatoriali e amici del regime franchista.
In Spagna opere come il Concierto de Aranjuez di Joaquín Rodrigo divennero il manifesto di
una concezione della musica legata al nazionalismo e al ritorno alla
tradizione. Il regime di Franco considerava gli eventi musicali come spettacoli di stato, ma non c'era
una vera politica per la promozione di
una linea che fosse gradita al regime; i musicisti che si formarono in Spagna
dopo la seconda guerra mondiale dovettero in qualche modo convivere con una
dittatura che tollerava che la musica nuova venisse coltivata da minoranze
universitarie, ma al tempo stesso continuava ad infierire con una persecuzione
capillare forse meno evidente, ma certo non meno violenta.
«Ciò che importa soprattutto è essere golosi. Ammetto di
essere più un edonista che un analista ». Sono parole di Luis de Pablo, la personalità
musicale più eminente nella Spagna contemporanea. Ed effettivamente nel
musicista, ormai ottantenne, non è mai venuta meno la voglia di sperimentare,
di conoscere, di rinnovare. Negli anni del franchismo - anni bui per la
conoscenza e la diffusione della musica in Spagna - la sua scelta di conciliare
hispanidad e partecipazione alla vita culturale europea non fu facile da
attuare.
Personalità di spicco in seno a questa generazione, Luis de
Pablo fece entrare in Spagna una ventata d'aria nuova, che scosse l'anacronistico
conservatorismo nazionalista del regime. Fondatore dell'associazione Nueva Música
insieme a Cristóbal Halffter e del gruppo Alea, nonché del primo studio elettroacustico in terra
iberica, organizzatore delle stagioni concertistiche Tiempo y Música
e Jeunesses musicales, oltre che di una Biennale di musica contemporanea, il
compositore, nel corso degli anni Sessanta, presentò al pubblico spagnolo le
esperienze più importanti che si potevano cogliere nel panorama musicale
europeo - a Darmstadt, nello stesso periodo, conobbe Bruno Maderna, Pierre
Boulez, György Ligeti, Karlheinz Stockhausen e poi a Parigi seguì i corsi di
Max Deutsch, eminente allievo di Schoenberg - proseguendo anche negli anni
successivi la sua instancabile attività, volta a far uscire il suo paese dall'isolamento
culturale cui lo costringeva il regime. Ne seguì la condanna all'esilio nel
Nord America, da cui tornerà solo dopo la morte di Franco.
Già ai tempi di Darmstadt, dopo aver conosciuto Boulez, si era
reso conto di non essere adatto per aderire "a un sistema". Le sue composizioni
evidenziano una conoscenza enciclopedica delle culture musicali mondiali
attraverso tutte le epoche, sempre in anticipo sugli sviluppi contemporanei e
"integrata" ad un idioma assolutamente personale. Scrive De Pablo:
«La conoscenza e l'elaborazione delle musiche [extraeuropee] è dovuta ad una
mia particolare predilezione e ad un dovere etico che mi spinge alla
conservazione di questo patrimonio di inestimabile valore. I riferimenti che provengono
da questi popoli da noi così lontani non prendono mai la forma di una pura e
semplice citazione […]. Quando mi siedo ad un tavolo per lavorare alle mie
musiche, sento chiaramente che l'influenza esercitata dalle culture diverse
dalla mia si manifesta in me come un arricchimento della mia sensibilità.» E
ancora: «nonostante il mio amore per le tecniche vocali extraeuropee non ho mai
chiesto ad un cantante che eseguiva le mie composizioni di usare una tecnica
diversa da quella con la quale si era formato; un europeo non si può comportare
secondo le tradizioni di una cultura completamente diversa dalla sua. La mia
speranza è che comunque, fra qualche anno, la conoscenza e la pratica delle
musiche extraeuropee possano diventare comuni a tutti, anche se il pubblico di
oggi, condizionato eccessivamente dai suoi studi, continua a preferire solo la
musica classica tradizionale.» La
curiosità di De Pablo lo ha condotto ad amare «qualsiasi forma di
linguaggio; sono basco di nascita, a scuola ho studiato il francese, poi ho
imparato il tedesco, l'inglese e l'italiano; il risultato è stato un interesse
profondo per la struttura di tutte le lingue che parlo. Mi affascina sia il
suono prodotto dalle parole che il meccanismo per cui variazioni di altezze
danno luogo a significati diversi. Inoltre penso che la comunicazione verbale,
essendo sostanzialmente una sequenza di suoni e di ritmi, sia strettamente
legata ai modi dell'espressione musicale».
Luis De Pablo Epistola al transeunte
Più volte Luis De Pablo ha dichiarato: «la poesia ha svolto un ruolo fondamentale nella mia formazione e nella mia carriera; […] ho avuto la grande fortuna di conoscere personalmente un grande poeta spagnolo, Vicente Aleixandre. Il nostro incontro è avvenuto quasi per caso: era un uomo straordinario che sapeva vivere a contatto con i giovani […] Ogni giovedì trascorrevo i pomeriggi , insieme ad altri ragazzi, parlando con il grande maestro che, dopo la lettura dei suoi ultimi poemi, ascoltava le nostre sensazioni. Aleixandre, che non si è mai allontanato dalla Spagna, rappresenta il punto di riferimento non solo per me, ma per tutta una generazione di poeti spagnoli che invece furono costretti ad emigrare per colpa della guerra civile; è l'immagine stessa della poesia spagnola in quegli anni difficili.» Il titolo Epístola al transeúnte è stato estratto, liberamente modificato, da uno degli ultimi poemi di César Vallejo: Epístola a los transeúntes. «Questo riferimento letterario - scrive ancora Luis De Pablo - non incide sull'autonomia della forma musicale, anche se l'ambiente sonoro che questo brano intende ricreare può evocare il mondo delirante, popolare, aggressivo, del poeta peruviano».
Luis De Pablo Números
Números è stato composto fra febbraio e marzo di quest'anno durante la convalescenza da una operazione al ginocchio destro, ed è dedicato agli amici dell'Ensemble Ex Novo. L'organico è costituito da flauto (anche ottavino e flauto in sol), clarinetto in la (e clarinetto basso), tromba in do, pianoforte, percussione, violino e violoncello. L'opera è costituita da sei sezioni (sei Numeri), da eseguirsi senza pause. Il titolo è volontariamente neutro: ho ricercato una musica che esprima sé stessa; un suono organizzato in maniera cangiante, a tratti anche in modo vertiginoso: raramente si trova un tutti e i passaggi solistici, o a due, tre o più strumenti sono frequenti. Il timbro è protagonista, assieme alla metrica, nella costante contrapposizione regolare/irregolare, e alla struttura degli intervalli, che dipende dai due precedenti parametri. Da quanto detto si indovinerà che c'è un forte aspetto ludico nell'impulso creativo. Ma questo gioco non ha nulla di gratuito o superficiale, analogamente a quanto avviene negli haikai giapponesi, o in tanti disegni di Picasso, o nei Proverbi di Antonio Machado…Il pezzo ha una durata complessiva di circa 18 minuti. (Luis de Pablo)
Franz Liszt /Camille Saint-Saëns Orphée, Poème symphonique No. 4, S98
All'insegna dell'universalità del linguaggio musicale questa
serata ci propone in apertura una rarità, e cioè Orphée il più breve, ma
forse il più bello e meno eseguito, poema sinfonico di Liszt. La trascrizione
per trio di Camille Saint-Saëns del 1885, per violino, violoncello e
pianoforte, autorizzata dallo stesso Liszt, è ancor più rara. Il lavoro
rappresenta, recuperando un'espressione usata da Wagner, uno splendido
Idillio musicale che esprime la visione
interiore del compositore di uno dei miti che più ha ispirato gli artisti. È un'atmosfera
sovrumana, onirica, quella che accompagna l'ascolto di idee melodiche che si
dipanano, nascendo una dall'altra senza soluzione di continuità, in una forma
ciclica, a spirale. Liszt manifesta il suo entusiasmo per la versione per trio
in una lettera al musicista francese del 27 gennaio del 1885. Fu per questo,
probabilmente, che lui stesso non compose mai una versione cameristica dell'Orfeo,
sebbene sembri che l'abbia suonato in qualche riunione privata improvvisandolo.
(Il catalogo di Liszt menziona una versione dello stesso Liszt per arpa,
armonium, violino e violoncello, citata in una lettera del 1871, ma nessun
manoscritto è stato mai trovato).
Nella sopracitata lettera, Liszt propone a Saint-Saëns di inviare il
manoscritto a Budapest a Breitkopf & Haertel con istruzioni sulla
pubblicazione. Ma sembra che Listz, una volta venuto in possesso del
manoscritto, non abbia apportato alcuna modifica significativa, ma si sia
assicurato soltanto che il manoscritto fosse stampato. La copia della versione
di Saint-Saëns, che si trova alla Biblioteca Nazionale di Parigi, presenta
infatti solo piccole indicazioni dell'autore dell'Orfeo. Da un'atmosfera
subito irreale, con gli archi su note tenute e arpeggi eseguiti dal pianoforte
a simulare la lira, nasce un incipit tematico che è il cuore dell'amoroso
incanto: la melodia struggente e pacata
del violino (germinatrice dei futuri gesti melodici) è subito oscurata da un
accompagnamento pianistico con andamento di marcia funebre, presago della
tragedia; tale accompagnamento ricomparirà
in altre sezioni del brano, come lugubre reminiscenza. Un appassionato sviluppo
del motivo iniziale avrà culmine nel
tema lanciato da tutti e tre gli strumenti in un'enfasi romantica di
straordinario effetto. Una figurazione discendente cromatica del violino,
sostenuta con furore da ostinati tremoli del pianoforte, rappresenta la
rovinosa discesa agli inferi. Un ultima declamazione del tema iniziale conduce
ad un finale sognante di puro edonismo armonico con accordi degli archi che
ripropongono (a valori aumentati) l'incipit tematico, ormai
irriconoscibile melodicamente, fino all'estinzione del suono. Dopo tanto pathos
si rimane malinconicamente attoniti, frastornati. Il caleidoscopio delle
sonorità lascia senza fiato, la forza emozionale, la potenza sonora, il lirismo
e l'enfasi narrativa fanno dell'ascolto del trio un'esperienza folgorante.
Difficilissimo trovarne un'incisione, così come ascoltarne l'esecuzione in
concerto.
Manuel de Falla Concerto (1923/26)
Il Concerto di De Falla rappresenta una tappa importante nel
processo evolutivo che conduce il musicista andaluso a proporre forme sempre
più astratte di stilemi propri del folclorismo nazionale o locale. Nei sette
anni (1907-1914) trascorsi a Parigi - dove vedono la luce i suoi primi
capolavori - Manuel de Falla aveva stretto con Albeniz e Turina, quella sorta
di patto per la creazione di una musica puramente spagnola. Il Concerto per
clavicembalo e strumenti fu composto su incarico di Wanda Landowska (alla quale
evidentemente piacque poco, poiché lo eseguì due sole volte) nel piccolo carmen
dell'Antequeruela Alta, sulle pendici dell'Alhambra a Granada; luogo
rimasto mitico in ragione del concorso per il cante jondo organizzato da
de Falla insieme a Federico García Lorca e Gerardo Diego nel giugno del
1922. In questa composizione tutti e sei
gli esecutori sono solisti; gli archi, grazie alla prescrizione di "attacco al
tallone", sono trattati in modo da ottenere una accentazione persistente che dà
origine a sonorità corpose e ruvide, allo scopo di competere - dallo stretto
punto di vista fonico - con i più sonori strumenti a fiato. Analogamente la scrittura per il clavicembalo
(nel nostro caso il pianoforte, in una versione che l'Autore scrisse proprio
per poterlo eseguire lui stesso al pianoforte data l'indisponibilità della
Landowska) non è sempre in linea con la tradizione: l'impiego di mordenti,
fioriture, trilli e figurazioni tipiche dello strumento è moderato, mentre il
compositore fa largamente ricorso, specie nel secondo tempo, ad accordi
perfetti maggiori, spesso in rapida successione e arpeggiati, dunque
particolarmente sonori.
Il tema principale del primo movimento è uno dei pochissimi
autenticamente popolari di tutta la produzione del musicista: si tratta dell'antica
canzone del folclore castigliano del sec. XV, «De los Álamos, vengo, madre»
(«Dai pioppi vengo, madre»): l'Andalusia
(sua terra natale) non è dunque la fonte di ispirazione, quanto la musica
popolare dell'ormai lontana Castiglia. Nel corso del movimento il tema popolare
viene proposto anche caratterizzato da un'armonia marcatamente politonale,
nonostante De Falla abbia sempre negato il ricorso a questa tecnica, sostenendo
che gli aggregati accordali da lui impiegati si spiegano in ogni caso, all'interno
di un sistema basato sugli armonici naturali degli accordi perfetti.
Sorprendente la stringata e ben accentata cadenza finale, che chiude il
movimento in un esasperato rallentando assai
La melodia del secondo movimento, dal sapore squisitamente
liturgico medievale, trae origine nella canzone del primo tempo, ed è scritto
nella forma di stretto canone a tre voci (a distanza di tono) nello stile
polifonico antico che tanto affascinava il compositore. Energica anche in
questo caso l'armonia, sempre con robusti accordi raddoppiati per le due mani.
Pregevole la tecnica di scrittura di arpeggi con fondamentale molto grave, appartenente ad una tonalità
lontana, che evoca un maestoso rintocco di campana. Anche in questo movimento
compare una sezione bitonale: l'incedere perentorio di un accordo di la
maggiore alla tastiera, si contrappone al luminoso tema affidato agli altri
strumenti nella tonalità di fa maggiore. Si crea la suggestione dell'incedere
di due cortei diversi; segue una magnifica cadenza.
Il terzo movimento, formalmente assai elaborato, rivela con
evidenza l'intenzione di ricreare lo stile di Domenico Scarlatti, giustamente
tanto ammirato da De Falla, attraverso una musica piena di grazia
settecentesca. Danzante conclusione di un concerto che ci lascia con il sapore
di una tonadilla, di un breve intermezzo
di sapore teatrale dal sapore
antico. Una musica che non poteva non ottenere i favori del più geniale
esponente del neoclassicismo musicale novecentesco, Igor Stravinskij, che così
ricorda l'esecuzione londinese del Concerto nel giugno 1927: «Ascoltai anche,
con vero piacere, il suo Concerto per clavicembalo o pianoforte ad libitum,
che eseguì personalmente su quest'ultimo strumento. Per conto mio, queste
due opere [il Concerto e il El retablo de Maese Pedro, eseguito nella
stessa occasione] segnano un progresso incontestabile nello sviluppo del suo
grande talento, che si è quasi liberato risolutamente dall'impaccio
folcloristico che rischiava di sminuirlo.»
Joaquim Turina Circulo
op. 91
Forse speculare a quello di De Falla il percorso che porta
Joaquin Turina - anch'egli andaluso - a contatto con l'ambiente musicale
europeo. La sete di aprirsi a nuove
esperienze e il fascino della vitalità culturale della capitale francese
contrastano, in certo senso, con la scelta di Turina di applicarsi nello studio
formale, ordinato e regolamentato, proposto alla Schola Cantorum,
istituzione presso la quale il musicista spagnolo si formò dal 1905 al 1913:
istituzione senz'altro prestigiosa, fondata da Vincent d'Indy, che
riconosceva in César Franck il più autorevole maestro della musica francese. Tale istituzione fu anche molto criticata;
in particolare da Debussy che, detestando
l'accademismo e la retorica, la riteneva colpevole di aver sempre
impedito il fiorire di una sensibilità autenticamente francese imponendo alla
composizione i modelli complicati e austeri del tardoromanticismo tedesco. Pur
tuttavia Turina sentiva la Schola Cantorum depositaria di una dottrina
musicale di cui avvertiva un autentico bisogno; i suoi amici, e primo fra tutti
Albéniz, tentarono in tutti i modi di dissuaderlo dall'aderire in modo radicale
ai precetti della Schola, facendogli avvertire l'urgenza di coltivare il
patrimonio musicale andaluso.
Prodotti di questi anni furono infatti la Suite per pianoforte dall'emblematico
titolo Sevilla, seguita dopo poco dalla Sonata romántica sobre un
tema español, opere ispirate al folklore spagnolo ma dominate dalla spirito
contrappuntistico della Schola.
In Circulo, il suo
ultimo lavoro per trio con pianoforte, Turina riesce a sintetizzare con una
concisione davvero rimarchevole le due esigenze artistiche cui sopra si
accennava scrivendo una "musica a programma" permeata di riferimenti alla
cultura spagnola, ma al tempo stesso fedele alla consueta predilezione per le
forme cicliche: il pezzo infatti illustra lo svolgersi di un solo giorno, dall'alba
(Amanecer), attraverso il mezzogiorno (Mediodía), al tramonto (Crepúsculo);
ma - per portare un unico esempio - l'ombroso tema con il quale il violoncello
apre Amanecer, riappare, sempre al
violoncello nelle battute finali del Crepúsculo,
preceduto dal motivo principale del Mediodia. In Mediodía
Turina non rinuncia agli stereotipi della cultura popolare spagnola, ma li
espone con finezza e garbo davvero magnetici: un episodio tratteggia il fasto e
la cerimonia delle corride; un altro la spavalderia di un cantaor di flamenco,
accompagnato da un suono di chitarra rasgueada.
Come testimoniato dalle indicazioni agogiche delle sue
sezioni (Allegro vivace, Allegro, Allegro molto moderato, Andantino, Andante
lento) in Crepúsculo il progressivo scemare dell'energia evoca la
descrizione del finire di una giornata.
Completato solo
poche settimane prima dello scoppio della Guerra Civile Spagnola, Círculo dovette aspettare fino al 1 marzo del
1942 per la sua prima esecuzione presso l'Università di Madrid. La sua
vena elegiaca risulta in netto e volontario contrasto con l'incertezza e la
pericolosità della situazione politica in cui fu composto.
( a cura di RC)