

Gran Teatro "La Fenice", Sale Apollinee, Domenica 12 settembre 2010, ore 20.00
PATTERN ASIMMETRICI
Davide Teodoro clarinetto
Carlo Teodoro violoncello
Aldo Orvieto pianoforte
Preludio critico di Giada Viviani
JOHANNES BRAHMS (1833-1897)
Trio in la minore op. 114 (1892)
Allegro - Adagio - Andantino grazioso - Allegro
HENRYK MIKOLAY GÓRECKI (1933)
Recitatives and Ariosos "Lerchenmusik"op. 53 (1984),
PRESENTAZIONE
L’artista dovrebbe solo garantire l’essenziale ed eliminare tutto il resto;
in questo modo egli trasforma il reale in ideale.
La frase appare, sottolineata dalla mano dello stesso Brahms, sulla
pagina di un libro tra i tanti della sua enorme biblioteca, quel Faust.
Der Tragödie dritter Teil del poeta e filosofo Friedrich Theodor
Vischer, che rappresenta una versione tragicomica del Secondo
Faust di Goethe. La frase descrive perfettamente la concezione
estetica di Brahms, caratterizzante in particolare la sua ultima
stagione creativa, che corrisponde ad un’intensa produzione
cameristica.
A partire dal 1880 nascono, infatti, le tre sonate per violino e
pianoforte dell’op. 78, 100 e 108, la seconda sonata per violoncello
in fa maggiore op. 99, i trii con pianoforte in do maggiore op. 87 e in
do minore op. 101, i due quintetti per archi in fa maggiore e in sol
maggiore, capolavori di perfezione e sobrietà mozartiana, cui fanno
seguito negli anni Novanta quattro composizioni dedicate al
clarinetto: il Trio in la minore op. 114, il Quintetto in si minore op. 115
e le due sonate op. 120, altrettanti gioielli, la cui cifra distintiva è
proprio quella della concisione, della riduzione all’essenza.
Brahms, nella visione di Hanslick, nemico ricambiato di Wagner,
rappresenta il legittimo erede del classicismo viennese; eppure il
fascino della sua musica sta in quella certa inquietudine che pervade
le forme tradizionali e si manifesta soprattutto in una segreta
tensione volta a piegarle alle nuove necessità espressive del
presente, a rinnovarle dall’interno attraverso un fine lavoro di
cesello; lavoro che modifica con sublime originalità spesso un unico
dato tematico generando inattesi sviluppi melodici e facendo
scaturire una dialettica di caratteri contrastanti; riconducibili però
sempre a pochi incisivi schemi intervallari con un procedimento che
assicura dunque una meravigliosa unità formale all’opera.
La forma accademica e regolare di Brahms cela più di qualche
‘trasgressione’ sia sotto l’aspetto metrico che armonico. Alla
tradizionale partizione metrica binaria (per 2 battute o multipli di 2) si
sostituisce un periodare asimmetrico che presenta un’originale
strutturazione del discorso musicale, preludendo all’assoluta libertà
dei compositori posteriori; l’armonia non è scevra da arditezze come
le celebri progressioni ‘diagonali’, procedimenti attraverso i quali una
mutazione armonica (tradizionalmente intesa in senso ‘verticale’)
viene stemperata – appunto ‘diagonalmente’ – nel tessuto musicale.
A questa poetica fortemente sperimentale – dunque solo
apparentemente contraddittoria – appartiene il trio brahmsiano, che
costituisce la prima proposta di questa soirée musicale all’insegna
appunto delle strutture musicali asimmetriche. Si tratta del primo dei
quattro lavori da camera con clarinetto cui si dedicò il compositore
amburghese dopo aver conosciuto Richard Mühlfeld, clarinettista
dell’orchestra di Meiningen dalle qualità eccezionali e dal
temperamento verosimilmente alquanto singolare: musicista
autodidatta, un giorno decise di abbandonare il gruppo dei violini,
di cui inizialmente faceva parte, per passare alla sezione dei legni.
Sta di fatto che Brahms rimase colpito dalle sonorità che Mühlfeld
sapeva trarre dallo strumento con brillante abilità esecutiva, tanto da
indurlo a cimentarsi ancora nella composizione di musica da
camera, nonostante una sua recente dichiarazione, all’editore a cui
aveva consegnato il manoscritto dell’op. 111, secondo la quale non
avrebbe avuto altre energie da spendere dopo quest’ultima fatica,
che doveva essere dunque considerata il suo testamento spirituale.
Il clarinetto è il comune denominatore di questi lavori; lo stimolo di
Mühlfeld coniuga mirabilmente la predilezione brahmsiana per le voci
medie con un forte vigore creativo; la presenza del clarinetto viene
percepita da Brahms come fonte di nuova linfa in grado di forzare la
stereotipia degli organici strumentali. Come sappiamo Brahms era
solito lavorare parallelamente nello stesso tempo a due opere dello
stesso genere ed è interessante notare come vi siano continui
rimandi, travasi, soluzioni gemelle tra il Trio op. 114 e il Quintetto op.
115; ma quello che nel Quintetto è, come dire, risolto, definitivamente
fissato sulla carta, nel Trio è sempre cercato, provato, tentato strada
facendo, attraverso un lavoro accurato e paziente molto simile a
quello di uno scultore, sempre a togliere, sino a delineare, dalla
semplice delicatezza delle mescolanze, dal raffinato equilibrio del
gioco formale, il cuore del problema, la pura essenza.
Quanto alla seconda composizione in programma, il lavoro fu
commissionato al compositore polacco Henryk Mikolaj Górecki da
Louise Lerche-Lerchenborg, vedova del compositore danese Poul
Rovsing Olsen, nel 1983. La prima stesura dell’opera (1984) venne,
però ritirata dall’autore stesso, evidentemente insoddisfatto, per
sottoporla a revisione. La composizione riveduta fu eseguita nel 1985
nel corso del Warsaw Autumn Festival, per essere ancora rimaneggiata
ed eseguita, nelle sua versione definitiva, l’anno successivo.
Il trio, composto da tre movimenti piuttosto lenti, è concepito in modo
da mettere in rilievo, in ogni movimento, uno dei tre strumenti in
successione: il violoncello nel primo, il clarinetto nel secondo, il
pianoforte nel terzo. Il titolo sembra presupporre una parte vocale,
pur non essendoci alcun testo affidato alla voce: sono gli strumenti
che con grande espressività devono ‘parlare’ anche attraverso una
dinamica di estrema ampiezza, che va dal ppp al fff e oltre.
Si tratta di un’imponente architettura musicale. Il primo movimento
inizia con una distesa melodia affidata al registro grave del
violoncello, scandita dalle ottave del pianoforte, che ha la durata di
circa sette minuti. Ma l’atmosfera solenne che permane così a lungo
si dissolve improvvisamente nell’esplosione, che introduce la
sezione centrale del movimento, inesorabilmente aggressiva,
formata dalla giustapposizione di brevi motivi in strutture ripetitive
che procedono in modo asimmetrico. Gli accordi bitonali del
pianoforte avvolgono di un’aspra risonanza la vibrante perorazione
del clarinetto, che si basa su un motivo lidio di tre note (do-mi-fa#)
con l’accompagnamento dalle stridenti figurazioni del violoncello. Poi
si ritorna alla lenta solennità iniziale.
Il movimento centrale inizia con un arioso d’intenso lirismo, intonato
dal clarinetto, costruito sulla sequenza modale evidenziata in
precedenza. Il pianoforte suona ripetuti accordi bitonali che variano,
ma raramente. Il violoncello si unisce al clarinetto in terze
dolcemente armoniose, ma poi il clima si fa più acceso (attraverso
ruvidi intervalli di nona) al pari della dinamica, per ottenere la
massima intensità espressiva.
Il movimento finale è il più elaborato dei tre. Una dolce melodia
intonata dal clarinetto e dal violoncello, molto distanziati,
accompagnata da accordi ribattuti del pianoforte, conduce, come per
magia, ad una citazione dal concerto per pianoforte e orchestra n. 4
di Beethoven. La musica continua con riferimenti a Messiaen (al
Quatuor pour la fin du temps, che utilizza questi stessi tre strumenti
con l’aggiunta di un violino) e al ‘motivo dell’uccello’ che deriva dal
nome della committente, Louise Lerche-Lerchenborg (Lerche in
ungherese significa allodola).
Alla fine le armonie bitonali del pianoforte si risolvono in pure triadi,
stabilendosi sull’accordo di la bemolle maggiore. Il pezzo si conclude
con una interminabile eco del motivo lidio ricorrente in tutta la
composizione. (Roberto Campanella)